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È necessario introdurre il reato di femminicidio?

  • Writer: Koinè Journal
    Koinè Journal
  • Apr 18
  • 4 min read

di Lucrezia Passarelli


Lo scorso mese il governo Meloni ha proposto, mediante un disegno di legge, l'introduzione del reato di femminicidio. La domanda sorge spontanea, era necessario introdurre un'apposita figura di reato? Per farlo vogliamo analizzare altre esperienze giuridiche, ma è opportuno anticipare fin da subito che tale scelta, giusta o sbagliata che sia, non è da sola sufficiente, senza la prevenzione il tema rimarrà caldo a lungo.

 

Cos'è il femminicidio?

In tale contesto necessaria è la definizione di femminicidio.

Secondo l'European Institute for Gender Equality, il femminicidio è “l'uccisione di donne e bambine a causa del loro genere, a volte commessa o tollerata da soggetti sia privati sia pubblici.” e si aggiunge “L’uccisione di una donna da parte di un partner intimo e la morte di una donna come risultato di azioni dannose per lei. Si può definire partner intimo un ex coniuge, un coniuge o un partner fisso, indipendentemente dal fatto che l’omicida abbia condiviso o condivida la stessa residenza della vittima.


Diventa evidente, allora, che ciò che differisce l'omicidio dal femminicidio è il movente: nel primo caso vi è l'uccisione di una persona, uomo o donna che sia, per qualunque motivo, così come sancito all'articolo 575 del codice penale del nostro ordinamento la cui definizione così generica ricomprende tutti i casi senza distinzione alcuna; nel secondo caso l'uccisione è specificamente della donna compiuta perché donna.


Ogni uccisione di una donna, quindi, è di conseguenza un femminicidio? No. Se una donna uccide un'altra donna perché, ad esempio, la prima le ha rubato il portafogli, quello sarà un omicidio; viceversa, un uomo che uccide una donna perché non accetta la fine della loro relazione è un femminicidio. Il movente “passionale” è ciò che determina la sostanziale differenza tra le due fattispecie.

 

L'introduzione del reato di femminicidio nell'ordinamento italiano


L'esperienza giuridica italiana non conosce il reato di femminicidio inteso come reato autonomo, tuttavia, lo scorso 8 marzo, l'attuale governo ha proposto l'introduzione di tale figura di reato.

Il disegno di legge 1433/2025 è composto da 8 articoli e, così come specificato nella relazione tecnica, “intende rafforzare in maniera preminente le disposizioni a tutela delle donne - e lo fa in due modi - integrando, da un lato le fattispecie di reato del codice penale che riguardano atti di violenza, di discriminazione e di limitazione della libertà nei confronti del genere femminile, dall’altro lato introducendo nuove tipologie di reato che rispondano fattivamente ad ogni forma di manifestazione e prevaricazione nei confronti delle donne.”.


Chiaro è l'intento principalmente repressivo: “le misure ideate sono di natura repressiva nei confronti del colpevole degli atti efferati nonché di maggiore garanzia a favore della vittima che deve essere portata a conoscenza delle misure che si intendono adottare nei confronti del reo ovvero nei confronti dei familiari superstiti e che deve essere obbligatoriamente ascoltata dal pubblico ministero nell’ambito della conduzione delle indagini preliminari. [...]”.


L'innovazione all'ordinamento la leggiamo sin dalla prima parte dell'articolo 1 di detto Ddl: introduzione dell'articolo 577bis (Femminicidio): “Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo. Fuori dei casi di cui al primo periodo, si applica l’articolo 575. Si applicano le circostanze aggravanti di cui agli articoli 576 e 577. [...]”.

Il femminicidio nel mondo

Nel mondo il reato di femminicidio è stato propriamente introdotto in Messico, Costa Rica, Guatemala, Cile, El Salvador, Perù, Nicaragua, Bolivia.

 

In Messico, in particolare, la violenza femminida è definita come: “forma estrema di violenza di genere contro le donne, risultato della violazione dei suoi diritti umani, in ambito pubblico e privato, composta da una serie di comportamenti misogini che possono comportare impunità sociale e dello Stato, e può culminare in omicidio e altre forme di morte violenta della donna”.

 

Nonostante il Messico sia uno dei primi stati ad aver introdotto il reato di femminicidio, il numero di casi di femminicidi è tra i più alti al mondo: A Ciudad Juarez, in Messico appunto, nel 2009 il tasso di femminicidio è stato di 19,1 per 100.000 abitanti di sesso femminile.

È opportuno considerare che il Messico è uno stato complicato, solo nel 2024 sono stati commessi 30.057 omicidi, ma tali dati ci permettono di fare una considerazione generale: la repressione senza prevenzione non ci restituisce risultati soddisfacenti.


In Italia, invece, solo nei primi mesi di quest'anno, sono state uccise 12 donne di cui ricordiamo in particolare Sara Campanella e Ilaria Sula, giovani donne di 22 anni uccise per mano dei loro giovani fidanzati. Oltre il sesso delle vittime, è forse anche la loro giovane età che determina la rabbia di tutte e tutti. Le incessanti morti delle donne per mano degli uomini sono sintomo di una società restia al cambiamento, che non riesce a guardare alla realtà dei fatti e a quanto questi episodi non siano frutto della gelosia di singoli uomini, ma di un problema sistemico che richiede soluzioni collettive, che partano dai singoli ma che necessitano di un grande intervento anche politico.

 

Necessaria, quindi, è la prevenzione che passa per l'educazione sessuale e affettiva nelle scuole, in cui in altri stati, come Svezia, Germania e Francia, questa è già una realtà, e per i finanziamenti nei centri antiviolenza che in Italia non sono abbastanza: l'articolo 25 della Convenzione di Istanbul, infatti, prevede la presenza di un centro antiviolenza ogni 50mila donne, in Italia, invece, c'è ne è uno ogni 76 mila donne.

 

In attesa che il disegno di legge 1433/2025 proposto dall'attuale maggioranza venga discusso in Camera e Senato, diventa chiaro, insomma, che finché continueremo solo a ragionare di repressione senza prevenzione il tema non troverà mai una soluzione soddisfacente.

 





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