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Writer's pictureKoinè Journal

Che cos'è il Greenwashing?


di Ivan Rubino.


Un pomeriggio qualunque, tra una sessione di studio e l’ora di palestra che sei riuscito questa volta a non rimandare avverti un leggero languorino, apri il frigorifero ed è vuoto cosmico: decidi di andare a fare la spesa.

Si entra così in quel “paese dei balocchi” fatto di colori e titoletti accattivanti messi in ogni singola confezione, perfettamente disposta nei banchi del supermercato.

Non ti vuoi limitare solo ad una superficiale spesa atta a soddisfare le tue necessità primordiali: vuoi fare del bene anche al mondo nel tuo piccolo, tentando di accaparrarti quanta più merce “green”.


Subito un “Valzer” di prodotti: Spugne ecologiche, che contengono una parte in plastica, detersivi “100 per cento naturali”, con tanto di scritta verde e magari qualche piccolo animaletto che fa da mascotte , ma senza una vera e propria certificazione che confermi o ribalti la fatiscente dicitura, e poi avocado, così piccolo e tondeggiante che non puoi credere che sia una delle principali cause di deforestazione, frutta e verdura completamente biologica…in imballaggi di plastica completamente inquinanti ed inutili

Te ne ritorni a casa, deluso, affranto: sei appena stato truffato, tu che volevi veramente fare del bene a questo mondo, di renderlo verde, hai appreso un’amara lezione: poco niente è verde, è tutto un grigio dipinto di verde; sei l’ennesima vittima del “Greenwashing”.


Che cos’è il Greenwashing?

Nel tracciare le genesi del neologismo “Greenwashing”, apprendiamo come questo non sia un fenomeno propriamente nuovo, ma affonda le proprie radici già alla fine del 900.

Il termine è una sincrasi delle parole inglesi green (verde, colore simbolo dell'ecologismo) e washing (lavare) che richiama il verbo “to whitewash” ( letteralmente "imbiancare ", e quindi "coprire, nascondere), coniato dall'ambientalista statunitense Jay Westerveld, che lo utilizzò nel 1986 per mettere in luce la pratica delle catene alberghiere che intimavano i loro clienti ad usare con parsimonia i propri asciugamani, facendola passare come una scelta per limitare i danni dell’inquinamento, ma che celava tuttavia altre motivazioni, di carattere economico, le vere dinamiche che stanno alla base della loro scelta.


E’ Greenwashing quel “modus operandi” aziendale che consiste nel dare un’immagine positiva della compagnia stessa, per quanto riguarda l’impatto ambientale, creando una finta immagina di se, dichiarando di usare espedienti per rendere i processi produttivi più ecosostenibili, addirittura vantandosene nei loro siti ufficiali oppure nelle etichette dei prodotti stessi.

Il loro obiettivo è quello di empatizzare con il cliente sensibile a queste tematiche, figure che in questi anni stanno notevolmente crescendo, e nascondere i loro “scheletri nell’armadio” che di ecosostenibile hanno un bel niente.


Il Greenwashing potrebbe essere considerato a tutti gli effetti una nuova frontiera del marketing, comunicare nel modo “corretto” permetterà alle aziende di penetrare nelle vite quotidiane delle persone, e di conseguenza, influenzarle verso una determinata scelta facendo leva sul senso civico e comprensivo di una società particolarmente sviluppata.

In che modo agiscono queste aziende?

In questo caso ci viene in aiuto uno studio condotto da una società di marketing ambientale Americana, la TerraChoice Environmental Marketing In, che ha stilato una lista delle azioni, dei “peccati” che compiono queste aziende.

Le aziende potrebbero infatti nascondere la verità, focalizzando la propria comunicazione solo su pochi attributi, ignorando difatti tutte le altre caratteristiche dell’azienda con maggiori criticità dal punto di vista ecologico.


Un’affermazione ambientale potrebbe non essere dimostrata, quando non ci sono a sostegno certificazioni che confermano l’autenticità delle informazioni del prodotto.

Le etichette dei prodotti spesso potrebbero essere vaghe, ingannevoli, creando confusione e malintesi da parte dei consumatori, oppure, ipotesi peggiore, false, presentando quindi certificazioni o etichette contraffatte.

Interessante soffermarci su due azioni in particolare perpetuate dalle aziende: Possiamo trovare delle affermazioni ambientali che, sebbene siano formalmente vere, non conferiscono accesso a informazioni utili per il consumatore, pertanto, sono irrilevanti.

Scegliere “il minore dei mali” non è mai stato così faticoso per una compagnia, e trova il suo terreno fertile anche in queste dinamiche: introdurre aspetti ecosostenibili in un ramo industriale che però non risolve propriamente il danno ambientale costituito dalla totalità dell’azienda stessa.

Esempio lampante è il tabacco biologico, scelta più sostenibile, non trattato con pesticidi o componenti dannosi; Purtroppo per noi però l’industria del tabacco, seppur biologico, continuerà ad avere un impatto devastante in ogni fase della sua produzione.


Esempi concreti nel mondo e in Italia

Il caso delle emissioni della Volkswaghen, anche noto con il nome di “scandalo Dieselgate” oltre ad aver suscitato una fortissima risonanza mediatica, ci consente di comprendere le dinamiche che si celano dietro al fenomeno del Greenwashing.

La multinazionale, leader del mercato automobilistico mondiale, era rinomata per la fama di cui godeva dal punto di vista ambientale, adottando diverse strategie per migliorare il benessere dei lavoratori e ridurre le emissioni.

Tuttavia nel 2015 la loro reputazione verrà completamente rovesciata, alla luce della scoperta da parte l'Agenzia statunitense per la protezione dell'ambiente: Erano state appositamente manomesse dalla compagnia automobilistica ,tramite un software ,le centraline di 11 milioni di automobili in tutto il mondo, di cui solo 500 mila negli USA, con lo scopo di migliorare le prestazioni dei veicoli a discapito però dei vincoli ambientali presenti nella legislazione Statunitense.


La Volkswaghen ha così manifestato le sue fragilità e “scoperchiato il suo vaso di Pandora”: si palesava come un’impresa attenta e consapevole, ma questo scandalo ci ha reso sempre più chiara l’importanza della comunicazione e del profitto sopra ogni scrupolo da parte delle aziende.

Adesso diventa più chiaro il concetto di “Greenwashing” : affermare di "possedere più di quanto si abbia", in termini non di qualità del prodotto ,ma di qualità ambientale e sociale.

In sostanza la Volkswaghen ha deluso per due motivi: La mancanza del rispetto delle normative in vigore, ma ha anche disilluso tutta l’immaginario dell’impresa all’interno della società, vista inizialmente come garante della tutela e dell’innovazione.

Vediamo ora un esempio di Greenwashing nostrano, piuttosto recente.


Nel 2010 La San Benedetto, aziende operante nel settore delle bevande analcoliche, è stata multata per un ammontare di 70 mila euro da parte dell’Antitrust, l’autorità garante della concorrenza e del mercato, per “pratiche commerciali scorrette;

Si sta parlando di pubblicità “ecofriendly”, che promuoveva bottiglie “ecogreen” con una variabile e sommaria percentuale di plastica riciclata;

Le problematiche principali avanzate dall’antitrust sono sostanzialmente due: Innanzitutto la mancata comprovazione tanto dell’effettiva diminuzione della plastica, quanto nel sostanziale risparmio di emissioni che ne potrebbero derivare; Questa vicenda assume un ruolo fondamentale per il concetto di “Greenwashing” nel giudizio conclusivo da parte dell’autorità, che per la prima volta individua una “deriva ambientalista” dei messaggi pubblicitari, pertanto riportando di seguito un estratto : “I cosiddetti claim ambientali […] sono, quindi, diventati un potente strumento di marketing in grado di incidere significativamente sulle scelte di acquisto dei consumatori “


Difendersi del Greenwashing

In conclusione, come possiamo realmente difenderci dal Greenwashing?

Indispensabili a tale scopo sono le certificazioni ambientali, nel gergo tecnico “eco-etichette”, che , attraverso norme, linee guida e requisiti minimi, ci dimostrano la conformità di un prodotto o servizio a criteri di tutela ambientale e risparmio energetico.

L’arma migliore però resta sempre la curiosità: Fare la spesa in maniera consapevole, non afferrare affannosamente i primi prodotti che ci capitano, prendersi un attimo di riflessione, capire che ogni alimento ha il suo “sostrato” ed analizzarlo attentamente.

Le certificazioni aziendali sopracitate in tal senso ci donano un aiuto enorme; tuttavia, va capita anche la modalità di comunicazione truffaldina che attuano: abbiamo tanti campanelli dall’arme all’interno delle informazioni che potrebbero fornirci, come una prolissa tecnicità oppure informazioni vaghe e approssimative.

Essere curiosi ci porta ad analizzare le cose più attentamente, di conseguenza ci consente di acquisire potere di scelta e selezione, che migliorerà l’ambiente e misurerà le proprie scelte per un acquisto ponderato e consapevole.







Image Copyright: Il Bo Live

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