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Con Musk & Bezos è in pericolo la libertà di stampa

  • Writer: Koinè Journal
    Koinè Journal
  • Jun 23
  • 8 min read

di Andrea Di Carlo.


Di fronte alla continua erosione di diritti fondamentali nel mondo, ne rischiamo la perdita di un altro, la libertà di stampa. Il multimiliardario Jeff Bezos, oltre ad Amazon, è anche il proprietario di uno dei più importanti quotidiani statunitensi, il Washington Post. Su X/Twitter, Bezos ha dichiarato che il giornale avrà come unico scopo la difesa di “free markets” e “personal liberties”, con una redazione preoccupata per la deriva antidemocratica del giornale. L’ossessione tutta statunitense per il libero mercato e l’individualismo non sono un ottimo viatico per la stampa, la quale ha il dovere di difendere la libertà, non di pochi ma di tutti. Mi sento anche di aggiungere che essa non dovrebbe appannaggio del mercato ma dovrebbe essere un bene pubblico.


Inoltre, asserire che bisogna difendere soltanto le libertà del singolo pone seri problemi legislativi. Essa non coincide necessariamente con l’interesse generale: come fare con la diffusione di notizie false o di discorsi che incitano all’odio? La libertà di stampa, la lotta alla censura e anche la necessità di stimolare il dibattito pubblico sono state variamente discussi e anche legalmente tutelati. Andando per ordine, parlerò dell’importantissima pronuncia Sullivan (1964) e della concezione arendtiana di azione e di quella habermasiana della sfera pubblica. Infine descriverò il modo con cui la rappresentante di spicco della Linke, Heidi Reichinnek, ha risollevato il partito grazie all’utilizzo dei social come metodo di dibatto e di partecipazione. Alla fine di questo contributo spero di aver dimostrato come la difesa acritica delle libertà personali rischia di essere pericolosa e controproduttiva per la stessa libertà di stampa.

 

New York Times Co. v. Sullivan: Un inno alla stampa libera


Una delle più importanti pronunce della Corte Suprema degli Stati Uniti del ventesimo secolo è New York Times Co. v. Sullivan (1964), che è un vero e proprio manifesto della libertà di stampa. In Sullivan, la Corte Warren era stata chiamata a dirimere una questione spinosa: un gruppo di sostenitori del movimento dei diritti civili dell’Alabama aveva diffamato a mezzo stampa L.B. Sullivan, il commissario di polizia di Montgomery. Egli sosteneva che l’articolo del New York Times, che aveva denunciato le violenze, aveva riportato inesattezze che ledevano la sua persona in quanto responsabile dell’ordine pubblico.


All’unanimità, i supremi giudici dettero ragione ai sostenitori del reverendo King, dichiarando che spettava a Sullivan dimostrare che c’erano state intenzioni diffamatorie. C’è un’altra ragione per cui la sentenza ha fatto storia: essa ha illustrato come procedere penalmente contro un’ingiuria, cioè il test dell’actual malice. Il ricorrente deve addurre prove concrete dell’intento diffamatorio. In altre parole, qualsiasi funzionario deve dimostrare che c’è stata un’effettiva lesione della propria dignità personale prima di muovere qualsiasi accusa. Il quadro giurisprudenziale definito da Sullivan può risultare complesso, ma è l’unico che sia in grado di garantire una stampa trasparente e accessibile. Bisogna inoltre ricordare che la libertà di stampa è protetta negli USA dal Primo Emendamento (Pollicino 2018: 28).


L’obiezione degli avversari di Sullivan è che le nuove tecnologie rendano inutilizzabile la sentenza. Se questa obiezione da un lato potrebbe avere un fondamento (non è infatti facile stabilire chi potrebbe aver dileggiato un ufficiale governativo su Facebook, su X/Twitter o su Instagram a causa di pseudonimi), dall’altra parte si definisce un sistema nomofilattico chiaro da utilizzare alla bisogna nel momento in cui una figura al vertice voglia ricorrere in giudizio.

 

Spiegel-Affäre: La libertà di stampa in Germania


Un caso simile era avvenuto in Germania nel 1962, noto come caso Spiegel (Spiegel-Affäre). Nella vicenda in questione, due giornalisti del celebre settimanale tedesco, Conrad Ahlers e Hans Schmelz, avevano scritto che il sistema di difesa tedesco era il meno adeguato tra quelli dei paesi del blocco occidentale. Il governo Adenauer iniziò dunque un conflitto col settimanale a causa proprio della libertà di stampa richiedendo l’arresto della redazione. La vicenda Spiegel costò il cancellierato all’ambizioso ministro della difesa Franz Joseph Strauß.  In modo simile a Sullivan, la Corte costituzionale federale, con la storica pronuncia Spiegel (1966), fece sì che la libertà di stampa diventasse un diritto inattingibile. In questo modo si protegge la stampa da qualsiasi censura e, soprattutto, si mette un importante freno alla concezione assolutistica della libertà paventata da Bezos e Musk.


Hannah Arendt e Jürgen Habermas hanno definito un sistema filosofico per difendere la libertà di stampa e, più in generale, l’eccesso di libertà voluto dai nuovi oligarchi della rete. Al contempo è possibile combattere il potere di pochi per il bene di tutti. È ciò che ha fatto una figura di spicco del partito Die Linke, Heidi Reichinnek, la quale ha dimostrato che i social non sono un monopolio dell’estrema destra.


Vita Activa: Arendt e la difesa dello spazio pubblico


La pensatrice tedesca, divenuta cittadina statunitense negli anni Cinquanta, ha fatto della libertà e del pluralismo In Vita Activa. La condizione umana (1958). Arendt sostiene che ciò che caratterizza l’uomo è il concetto di azione. La filosofa tedesca (Arendt 1997: 129-130) è molto chiara al riguardo:


Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità […]. Agendo e parlando gli uomini mostrano chi sono, rivelano attivamente l’unicità della loro identità personale, e fanno così la loro apparizione nel mondo umano.


Le parole chiave sono “agendo” e “parlando”: riprendendo la concezione aristotelica dell’uomo come zoon politikon (“animale sociale”), Arendt sostiene che lo stare insieme, condividere e agire innalzano l’uomo. Il totalitarismo, che rappresenta l’opposto dell’agire e del parlare, portano alla dissoluzione della società e della pluralità. Nella polis arendtiana esiste un vero e proprio diritto alla pluralità, è come un imperativo categorico kantiano. La comunità viene (o dovrebbe) prima dell’interesse egoistico. Non può nascere niente di nuovo e di buono in una società che annulla il pluralismo in nome dell’assolutismo dei punti di vista e del laissez-faire intellettuale. Sempre sullo stesso piano si muovono le considerazioni di uno dei più importanti pensatori tedeschi contemporanei, Jürgen Habermas.

 

Jürgen Habermas e la sfera pubblica


Esponente di spicco Teoria Critica francofortese, più vicino però al normativismo kantiano che a Karl Marx, Jürgen Habermas è uno degli intellettuali europei più importanti. Egli è noto per il suo studio della sfera pubblica, sviluppata nel suo magnum opus Storia e critica dell’opinione pubblica (1962). Sintetizza Habermas che, a partire dal Settecento e grazie all’apparizione dei caffè, l’Europa ha visto l’emersione di un forum, in cui poter parlare e discutere. Come per Arendt, anche per Habermas lo spazio pubblico è dove si articola e dove nasce una comunità politica. Nello spazio pubblico, come definito da Habermas, non dovrebbe esistere la censura, ma ci si dovrebbe invece comunicare e confrontarsi senza bisogno di dover assolutizzare la propria idea di mondo (Habermas 2005).


Un teorico come Habermas dovrebbe trovarsi in difficoltà di fronte alle pretese di Bezos e Musk. Non a caso, proprio per descrivere la nascita di un forum privato e legato a interessi finanziari più che allo sviluppo di una coscienza collettiva, il filosofo tedesco ha infatti aggiornato la sua opera principale per descrivere i mutamenti apportati dalle piattaforme digitali in Nuovo mutamento della sfera pubblica e della politica deliberativa (2023). Il pensatore si chiede se i social media siano il luogo in cui possa veramente nascere un confronto fattivo come nei caffè settecenteschi. Stiamo assistendo, invece, alla privatizzazione dello spazio pubblico in nome dell’individualismo dei social media e delle proprie bolle. La teoria habermasiana non è esente da errori metodologici, ma risponde sempre all’esigenza di una partecipazione attiva dell’elettorato o comunque dei cittadini.

 

Heidi Reichinnek: c’è ancora vita a sinistra

 

La teorizzazione dello spazio pubblico di Arendt e Habermas ha purtroppo dei punti deboli. Habermas, nel descrivere la nascita dell’opinione pubblica grazie ai caffè, dimentica che si tratta di uno spazio riservato a uomini ricchi e bianchi. In altre parole, l’emancipazione che descrive il filosofo tedesco è per pochi. Su Arendt la questione è ancora più complessa. Apolide fino all’ottenimento della cittadinanza statunitense nel 1951, Arendt espresse opinioni controverse su un’altra storica pronuncia della Corte Warren, Brown v. Board of Education (1954), che ordinò la desegregazione delle scuole. Nelle sue riflessioni sui nove studenti di Little Rock (1959), ragazze e ragazzi di colore che erano stati ammesse nelle scuole appena desegregate, dimostrò di non capire cosa significasse essere di colore negli Stati Uniti e l’urgenza di Brown (cf. Gines 2014).

 

Le ultime elezioni per la cancelleria hanno dimostrato che in Germania c’è vita a sinistra. Una delle protagoniste indiscusse dell’ultima consultazione è la rappresentante della Linke Heidi Reichinnek. Se i tecno-oligarchi si servono della stampa come se fosse unicamente a loro disposizione e anche economicamente conveniente, Reichinnek ha una concezione diametralmente opposta dei social (e anche della stampa). Essa non è per pochi ma per tutti. Grazie alle sue posizioni, ella è diventata nota come la regina rossa ed è la politica più seguita su TikTok. Non bisogna stupirsi se Reichinnek ha portato il suo partito, dato per spacciato, a tornare più vivo di prima.

 

Conclusioni

 

Ritorniamo a Bezos: il Washington Post deve soltanto occuparsi di libero mercato e libertà personali. Viene da chiedersi: quali sono le libertà personali? Si tratta di un ragionamento astratto à la Kant oppure è l’ennesima iterazione degli interessi di pochi in nome di tanti, facendo leva su un sistema economico (intrinsecamente) foriero di disuguaglianze? Ovviamente la seconda: a Jeff Bezos non importa niente della libera stampa. Dicasi per Elon Musk, definitosi assolutista in materia di libertà di parola, che ha riportato su Twitter/X estremisti di destra e affini (anche loro hanno diritto alla parola, dice il multimilionario sudafricano).  


Invece, a mio parere, sono molti i viatici da riscoprire. Il Novecento ha salvato la libertà di stampa grazie alle decisioni Spiegel e a Sullivan. Pur con molti problemi, Arendt e Habermas hanno proposto teorie in cui l’importanza della partecipazione alla cosa pubblica è fondamentale. Più recentemente e con successo, Reichinnek ha dimostrato che anche la sinistra può servirsi dei social e di tutte le piattaforme di comunicazioni anche meglio dell’estrema destra.  Questa non vuole essere un’affermazione paternalista, ma necessaria, visto che come ho ripetuto sin dall’inizio la stampa si appresta a diventare appannaggio dei nuovi oligarchi. Le idee, come aveva scritto l’ex giudice della Corte Suprema Oliver Wendell Holmes Jr. nel 1919, non possono essere un libero mercato, dove vincono quelle che hanno più successo. Stiamo purtroppo assistendo agli effetti nefasti di questa concezione della vita pubblica e dovremmo invece tornare al dibattito (anche vivace) di Heidi Reichinnek. Dicendola con Gaber, “libertà è partecipazione”.

 

 

 

 

 

Bibliografia

Arendt, Hannah (1997) Vita activa. La condizione umana. Milano: Bompiani.

Gines, Kathryn T. (2014) Hannah Arendt and the Negro Question. Bloomington and Indianapolis: Indiana University Press.

Habermas, Jürgen (2005) Storia e critica dell’opinione pubblica. Roma: Laterza.

Habermas, Jürgen (2023) Nuovo mutamento della sfera pubblica e della politica deliberativa. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Pollicino, Oreste (2018) “La prospettiva costituzionale della libertà d’espressione nell’era di internet”. Rivista di diritto dei media 1(18): 1-34.






Image Copyright: Scott Olson//Getty Images

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