di Ivan Rubino.
Restare attoniti davanti alla tv, nella sala da pranzo, ed ascoltare i telegiornali annunciare quella che sarebbe stata una delle emergenze sanitarie globali più disastrose degli ultimi decenni; guardare la notte dalla finestra, aggrottando la fronte : sembra quasi come se il tempo o non passi mai, oppure passi troppo velocemente; muovere leggermente la gamba quando si sta aspettando di svolgere un banalissimo esame da 3 Cfu , ma che per te vale qualsiasi cosa.
È molto facile nella nostra vita imbattersi nella parola paura, dal momento che quest’ultima racchiude una vasta gamma di fenomeni sintomatici.
Il ruolo della psicanalisi nel 900
Data la natura conflittuale tra ciò che noi viviamo e ciò per cui noi percepiamo paura oppure ansia, era materia di dibattito molto accesso, se non quasi un vero e proprio punto di rottura, tra i maggiori esponenti della scuola psicanalitica del 900, ponendosi tutti la stessa domanda : che cos’è la paura?
Nello specifico stiamo parlando del “trauma della nascita”, libro pubblicato nel 1924 da Otto Rank, allievo di Freud, primo filosofo a diventare psicanalista, che provò un particolare interesse per lo studio della psicanalisi in rapporto, o contrapposizione, a riferimento letterari, artistici e mitologici.
Come si può evincere già del titolo, per Rank la paura è il primo contenuto psichico che un bambino appena nato può provare, che di conseguenza elaborerà un trauma associato alla nascita stessa.
La paura non è altro che quel meccanismo, quella sorta di scudo, a difesa del desiderio di ritornare nel grembo materno.
Queste affermazioni, oltre a non essere appoggiate dalla psicologia contemporanea, suscitano una forte preoccupazione per il suo maestro nonché profondo amico, Sigmund Freud.
Freud infatti quando leggerà la seconda parte del libro di Rank, scriverà di seguito un altro libro, “Inibizione, sintomo e angoscia”, che , sebbene condivida con l’allievo la teoria secondo la quale la paura sia una barriera del bambino per difendersi, non si risparmierà a confutare le tesi che avevano portato a quella rivoluzionaria supposizione , sostenendo che il bambino appena nato, non trattandosi di entità psichica , bensì di un’entità prettamente fisica, non percepirà il trauma della nascita ; dunque la nostra paura agisce per non farci cadere, o per dire meglio, precipitare in un qualche “abisso” durante la nostra esistenza, portandoci all’atto pratico ad ansie o addirittura fobie: La fobia non è altro che il trasferimento di un trauma all’interno di un oggetto oppure di una persona, che diventano permei di quel significato che gli si vuole attribuire.
Una sentimento che non appare: l’angoscia
Quando parliamo di paura parliamo anche di un stato psichico simile , ma è meno appariscente : l’angoscia.
nello specifico, l’angoscia è riconducibile a qualcosa di passato che tuttavia non riusciamo a comprendere, manca di un oggetto vero e proprio, in cui agiscono dei fattori scatenanti: il fattore biologico, dal momento che siamo costantemente invasi sin dalla nascita da pericoli; fattori filogenetici, quella sorta di angoscia che si propaga attraverso una collettività, a seconda delle società in cui si vive.
Interessante soffermarsi sull’aspetto psicologico della questione : il rapporto dinamico tra l’io e l’es , a cui l’autore dedicherà un intero saggio omonimo pubblicato nel 1923, porterebbe così a quel meccanismo secondo cui l’angoscia svolge il determinante ruolo di proiettare questa inestricabile lotta interna in qualcosa di comprensibile, anche quando il pericolo non è visibile oppure istantaneo.
L’angoscia manca sì di oggetto, ma ha un’imprescindibile rapporto con il tempo che ne determina la natura talvolta fascinosa e suggestiva.
Portatrici di questo bagaglio culturale sono proprio la letteratura e l’arte, essendoci diverse rappresentazioni di essa e della sua fenomenologia fin dall’antichità.
La paura nell’arte
Quindi, se si dovesse in un certo senso sostenere le veci di Rank , se si dovesse mettere in rapporto questi assunti psicanalitici con il bagaglio culturale artistico, si potrebbe in maniera limpida scorgere analogie in opere quale “L’urlo” di Evdad Munch.
L’urlo, opera che iniziò ad essere concepita dall’artista nel 1893, a cui seguirono altre versioni fino al 1910, denota forti richiami alla paura e all’angoscia.
Più si tenta di analizzare questo quadro, più ci si rende conto che non solo il viso paralizzato dal terrore della figura in primo piano, con le mani sul volto, gesto tipico di chi prova una certa paura, tanto da essere ormai un “topos cinematografico” , ma anche il suo sfondo, non fanno altro che far comprendere questo carattere totalizzante della paura, che viene proiettata all’esterno nella sua forma più tangibile possibile, come un tramonto, un sentiero.
Il soggetto è un uomo, un uomo che si deforma con il paesaggio, con occhi sbarrati e la bocca tramante , in procinto di emettere un gemito.
La posizione e lo sguardo dell’uomo ci fanno capire come stia provando questo sentimento, un sentimento di terrore ed orrore, il personaggio è in balia di ciò che lui stesso sta percependo, però con gli occhi posizionati su qualcuno o qualcosa davanti a lui.
“L’urlo” e l’angoscia condividono questo “carattere frontale”: l’angoscia, ribadita la sua mancanza di oggetto e il suo rapporto con il tempo, è come se fosse la costruzione di un’attesa, è quel tentativo di prevedere un pericolo per poterci affrontare in maniera adeguata.
Possiamo quindi provare angoscia per qualcosa che potrebbe avvenire, oppure possiamo provare paura per qualcosa abbiamo davanti a noi, e questo quadro non fa altro che comprimere entrambi i sentimenti, creando un mondo offuscato in cui ognuno di loro permea ma non prevale, l’uomo potrebbe avere paura perché ha davanti a se un altro uomo, un cataclisma, un animale, ma al contempo potrebbe aver appreso una tragica notizia, forse stava riflettendo e non ha trattenuto il terribile sgomento derivatogli.
La paura nella letteratura
Il trattamento allegorico che viene riservato alla paura nella letteratura è vastissimo, ricordiamo tra i vari Charles Baudelaire, uno dei maggiori rappresentanti del simbolismo Francese, particolarmente sensibile a sentimenti come la paura , l’angoscia, l’inquietudine.
Il poeta nella prima sezione della sua eccezionale raccolta lirica “I fiori del male”, delineerà il concetto di “Spleen”, termine che significa letteralmente “milza”, associato dalla medicina Greca a quello stato di perpetua inquietudine che si viene a creare a causa della produzione di bile nera che interessa, per l’appunto, l’organo della milza.
Questo stato d’animo è stato reso popolare dapprima con il Romanticismo, poi da Baudelaire stesso, che contribuì a donare una nuova accezione alla parola, che diventerà manifesto di molti suoi componimenti: Lo “Spleen decadente” è una forma unica di disagio e angoscia interiore, dal momento che non si tratta di una riflessione sulla penosa condizione umana, ma si esprime “parlando per immagini”.
Lo Spleen decadente infatti troverà la sua massima espressione nelle arti, con le descrizioni dei nefasti effetti che questa angoscia interiore ci fa scaturire, da cui è impossibile fuggire; ci troviamo nelle ultime pagine della “coscienza di Zeno”, romanzo psicanalitico di Italo Svevo, che si conclude con la consapevolezza filogenetica del protagonista che siamo tutti “malati”.
Il protagonista del racconto, Zeno Cosini, tenterà in tutti i modi, talvolta anche al limite dell’assurdo, a uscire dalla sua condizione precaria di “inetto”, di malato di fronte alla società che si stava formando.
Ora vorrei porre l’attenzione su una novella, una novella ricavata da un dramma, che denota come la temporalità giochi un ruolo così essenziale per il progressivo susseguirsi di manifestazioni di paura e angoscia, sia nella realtà quanto nella temporalità di un racconto o breve narrazione.
“La Paura”, di Luigi Pirandello, opera pubblicata nel 1897 che desta dei sospetti in materia filologica, difatti sarà una delle novelle incluse solo successivamente nelle raccolta di racconti “Novelle per un anno” , oltre ad aver un corrispondente teatrale tutt’oggi messo in scena, facente parte di una sezione dell’opera “L’Epilogo”.
Non a caso L’autore nel narrare le vicende dei due amanti, Antonio Serra e Liliana, che nascondono la loro relazione segreta al marito nonché amico di Serra Stesso, strutturerà il racconto adottando il sistema del “cronotopo”: Lo spazio in cui i due amanti stanno discutendo è uno spazio chiuso, circoscritto, teatrale, descritto nei minimi dettagli, che , come nella fisica ,è in stretta interazione con il tempo.
La forte volontà dell’autore di ambientare questa novella in un luogo chiuso sottolinea il rapporto dinamico non solo tra paura e tempo, ma tra tempo e parola: i dialoghi frontali in uno spazio circoscritto aumentano e fanno accrescere pathos e tensione, vengono dilatati e talvolta azzerati i tempi della narrazione, portandoli a quelli della realtà, la loro è una normale conversazione che sfocia in qualcosa di diverso, di più grande.
I personaggi, dall’essere delle mere figure , vengono introdotti dallo stratagemma del cronotopo che ci fa percepire questa lenta trasmissione e amplificazione della paura tra di loro, la paura in questo caso è quella di essere scoperti.
La tensione tra i due diventa mano a mano insostenibile, e sfocerà con la bellissima risposta di Liana, a cui è assegnata dall’autore la spiegazione del rapporto tra paura e tempo.
L’amante ripercorre dettagliatamente tutta la catena di eventi che li hanno fatti trovare in quella drastica situazione, “quell’amara conoscenza”: non ha più diritto di amare nessuno, tutti i suoi familiari sembrano “l’ombra” della sua colpa.
E d’improvviso tutto si ferma, i tempi calzanti e frenetici fanno spazio a un ritmo più pacato, una “quiete dopo la tempesta”
Il finale promette una liberazione, quasi una urlo di espiazione del dolore che aveva fino a quel momento sopportato, ma la paura è proprio in quel momento che gioca: La paura è passata ,oppure ce lo stiamo solo costruendo?.
Per concludere, la paura è estremamente irrazionale, non possiamo davvero comprenderla e forse è questo che ha stimolato la vasta produzione artistica e letteraria; probabilmente, da sempre innata, è presente nella vita di tutti i giorni in maniera latente, tesse i rapporti ed influenza le azioni.
E’ mio dovere ringraziare lo stimatissimo Professore Stefano Colangelo, per avermi fornito gli strumenti e le competenze per trattare questo delicato argomento in maniera scrupolosa.
Bibliografia
Sigmund F., 1981, Inibizione sintomo e angoscia, seconda edizione, Bollati Boringhieri
Otto R., 2018, Il trauma della nascita, SugarCo
Pirandello L., 2017, Novelle per un anno, appendice, Edimedia
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