di Nicola Gentile.
In vista delle ormai imminenti elezioni europee dell'8 e 9 giugno, Koinè Journal intervista Matteo Di Maio, attivista LGBTQ+ e candidato di +Europa per la lista Stati Uniti d'Europa nella circoscrizione Nord-Ovest
Guardando il vostro programma e quello di Azione, anch’esso partito del gruppo di Renew Europe, non si possono non notare molte somiglianze. In cosa vi distinguete?
Partiamo dal presupposto che nella nostra visione, e in particolare in quella di Più Europa, in Italia non dovrebbero esserci due liste concorrenti che in caso di superamento della soglia di sbarramento facciano confluire i propri eurodeputati nello stesso gruppo politico. Si tratta di una grossa anomalia e soprattutto di un peccato se si guarda alle grosse difficoltà che il mondo liberal-democratico ha sempre avuto nel farsi sentire all’interno delle istituzioni. Noi come più Europa non siamo imputabili di questo però. Già a novembre 2023 abbiamo lanciato il “cantiere” di Stati Uniti d’Europa con un appello di Emma Bonino. Questo progetto ha raccolto tante realtà dell’area Renew Europa come Italia Viva e Radicali italiani, che però non ha visto la partecipazione di Azione per ragioni legate all’incapacità di Carlo Calenda di costruire alleanze in cui tutti i componenti siano sullo stesso livello. Penso che sia più una questione di beghe personali che di distanza politica effettiva. In sostanza non mi sento di dire che i due programmi siano molto diversi, ma sicuramente tra le due liste in campo una delle due sembra essere la soglia di sbarramento, ovvero la nostra, mentre l’altra no.
L’apertura che Ursula von Der Lyen sta contemplando nei confronti del gruppo dei Conservatori e Riformisti di cui fa parte anche Fratelli d’Italia è compatibile con la vostra idea di Europa?
Assolutamente no. Intanto penso che la prossima maggioranza al Parlamento Europeo sarà uguale a quella attuale. Il corteggiamento di von Der Leyen verso l’estrema destra è peraltro molto confuso nei modi in cui fa distinguo incomprensibile tra l’ultradestra cattiva e quella buona. Giorgia Meloni è considerata per qualche motivo una leader europeista, pro stato di diritto e pro-Ucraina. Sul fatto che ora lo sia non ho dubbi, ma basti pensare a quanto dichiarava solo 3/4 anni fa rispetto a Putin, questo lo considero un elemento di grande incoerenza. Per quanto riguarda Renew Europe, penso che ci sia una profonda incompatibilità tra noi ed ECR sul piano dello stato di diritto e della protezione dei diritti umani. Basti pensare ad alcuni dei partiti che stanno con la Meloni in ECR: c’è il PiS polacco, Reconquête di Zemmour e Vox. Per me qualsiasi alleanza strutturale basata su un accordo è assolutamente da escludere. È ovvio che, se su una nostra risoluzione, magari per congelare asset russi da usare nella ricostruzione ucraina, riceveremo i voti di ECR saremo contenti e aperti al dialogo, ma il contrario non potrà mai accadere. Penso che von Der Leyen stia facendo un errore già commesso da altri in passato: ritiene di riuscire a normalizzare i partiti estremisti accogliendoli in una coalizione guidata dai popolari, una strategia che già in altri contesti ha dimostrato di portare ad un risultato opposto.
Rispetto alla coalizione con Italia Viva, una formazione che ormai da due anni appoggia in maniera occulta la maggioranza di governo, vorrei chiederle dove sta la coerenza sul piano interno, come vi ponete rispetto alla Meloni?
Chiaramente anche sul piano interno ci poniamo all’opposizione rispetto alla Meloni. Di recente mi spaventano le nuove iniziative sui migranti e l’utilizzo che fa del tema della giustizia. Ricordiamoci che in tema di giustizia il governo Meloni ha inserito una serie di novità inutili e pericolose, basti pensare al decreto rave o al reato universale di gestazione per altri. Oggi invece usa la separazione delle carriere per fare un po’ di “liberal washing”. Per quanto riguarda le posizioni espresse in Parlamento da Italia Viva, devo ammettere che molto spesso non sono stato d’accordo e non lo sono tutt’ora alle volte. Degli sforzi congiunti di queste europee però apprezzo il ragionamento politico per cui né loro né noi rinunciamo alle differenze ma cerchiamo di massimizzare i rispettivi elettorati per non disperdere voti. È infatti necessario tenere da conto le regole del gioco e non considerare la soglia di sbarramento del 4% rischia di farci sbattere contro la brutale realtà. Io comunque non ho rinunciato agli elementi della mia politica che mi tengono distante da IV e nemmeno pretendo che i suoi candidati lo facciano.
Quindi si può dire che sia una questione di convenienza?
Per me si tratta di una questione strategica. La soglia di sbarramento esiste e me ne sono reso conto anche quando mi sono candidato alla Camera. Questo è una buona lista di scopo che punta a riportare una rappresentanza liberal-democratica italiana in Europa, cosa che non accade da tempo.
Ho notato che nel vostro programma Mario Draghi viene citato molto speso, pensa che possa essere un leader migliore della von Der Leyen?
Partiamo dal presupposto che non abbiamo la possibilità di incidere direttamente sulla scelta del presidente della Commissione. Io personalmente ritengo che Draghi sia una grossa risorsa per l’UE ma allo stesso tempo ritengo che non sia mio compito dire se Draghi sia meglio. Posso però dire che nell’ultimo periodo la von Der Leyen ha dato una pessima dimostrazione di sé dal punto di vista politico. Ultimamente ha smesso di parlare di Green Deal e ha sposato il modello di esternalizzazione del problema migratorio, politiche non proprie del Partito Popolare Europeo e che mirano solo ad assicurarle un secondo mandato. In questo modo sta esprimendo un europeismo blando che non ha più la capacità di immaginare quello che Draghi definisce un cambiamento radicale in Europa.
Rispetto a ciò che sta succedendo in Ucraina voi da sempre siete stati favorevoli all’invio di armi, ad oggi ritiene ancora che questa sia la strategia vincente?
Come Unione Europea fino ad ora dobbiamo essere orgogliosi di aver dato un ottimo sostegno finanziario e umanitario all’Ucraina, sul lato militare invece è emerso il costo della mancanza di un’Europa unita. Ci sono state notevoli differenze tra gli investimenti in armamenti fatti dai paesi baltici e quelli dell’Italia e della Germania, soprattutto se li si guarda in proporzione alle dimensioni del paese. Penso che la strategia di fornire armi all’Ucraina vada proseguita ancora, ma occorre aggiungere un ragionamento sull’efficacia delle sanzioni e su come utilizzare gli asset russi congelati.
Il vostro programma recita testualmente: “La cooperazione strategica con gli USA, al fine di difendere e valorizzare il patrimonio comune delle liberal-democrazie, rappresenta un necessario presidio e va esercitata da pari a pari, possibilità questa che esige un rafforzamento della capacità qualitativa della politica estera dell’Unione.” Come si esercita, secondo lei, una politica da pari a pari? Gli USA, soprattutto in prospettiva di una nuova presidenza Trump, sono davvero interessati a trattarci come tali?
Credo che oggi all’Unione Europea manchi la possibilità di esprimere con un’unica voce. Il nostro Alto rappresentante ha funzioni e poteri lontanissimi da quelli di un Segretario di Stato americano. Detto ciò, ritengo che il rapporto privilegiato dell’UE con gli Stati Uniti debba essere mantenuto fintantoché continuano ad aiutarci nel perseguire i nostri interessi. L’abbiamo già visto durante la presidenza Trump, quando il rapporto si è incrinato parecchio dato che il presidente stesso metteva in discussione molte questioni che ci stavano a cuore. Ora naturalmente il contesto internazionale è ben diverso e noi europei dobbiamo essere in grado di lavorare con gli Stati Uniti finché c’è dall’alto lato c’è una persona matura e volenterosa di farlo.
Pochi giorni fa i ministri degli Esteri dell’UE hanno deciso di convocare dei rappresentanti israeliani per discutere del rispetto degli obblighi in materia di diritti umani da parte del Paese nell'ambito dell’accordo di associazione con l’UE. Come valuta l’operato dell’Unione nei confronti di Israele visto ciò che sta accadendo a Gaza?
Se con l’Ucraina l’Unione Europea ha dimostrato di poter giocare un ruolo di rilievo, in Medio Oriente contiamo pochissimo e non credo che abbia fatto molto per stabilizzare la situazione. Ad oggi lo sforzo più credibile che l’UE può portare avanti è sostenere il piano di Biden per un cessate il fuoco. C’è anche un tema che riguarda il lungo periodo che riguarda il raggiungimento della soluzione dei due popoli e due stati.
Quindi la soluzione che auspica è quella dei due popoli-due stati?
Sì, ritengo che si debba arrivare ad una situazione in cui due democrazie possano convivere pacificamente. Per arrivarci però è necessario che le due parti si riconoscano tra di loro, perché noi possiamo parlarne quanto ci pare, ma è necessario ci sia un riconoscimento reciproco. Intanto però è importante raggiungere il cessate il fuoco
Per quanto riguarda le modalità della guerra a Gaza, come valuta l’operato di Israele dal 7 ottobre in avanti nei confronti dei civili? È in atto un genocidio?
Premetto che il 7 ottobre c’è stata una strage di civili israeliani e che il procuratore generale della Corte Penale Internazionale ha dichiarato che Israele aveva il diritto di reagire. Il problema è che Israele non ha il diritto di reagire in qualsiasi modo, ma con criterio. In queste situazioni uno Stato deve innanzitutto evitare che vengano coinvolti i civili e minimizzare il più possibile il numero di vittime, ma così non è stato fatto da Israele. Da parte mia c’è il massimo rispetto sia per la Corte Internazionale di Giustizia che sta valutando il comportamento di Israele e ci darà un giudizio rispetto al caso portato dal Sudafrica, sia per la Corte Penale Internazionale che ha spiccato un mandato di arresto contro i tre leader di Hamas e contro Netanyahu e uno dei suoi ministri. È importante che l’operato di queste due corti non venga messo in dubbio.
Cosa ne pensa delle proteste scoppiate recentemente in molti atenei italiani in cui gli studenti chiedevano la cessazione degli accordi in essere con le università israeliane?
Bisogna partire da una considerazione: tutte le forme di protesta non violenta devono essere gestite in maniera non violenta dallo Stato. Lo dico perché in questi mesi abbiamo assistito a molti casi in cui c’è stata una reazione sproporzionata delle forze dell’ordine in occasione di alcune manifestazioni. Nel merito invece del tagliare i ponti con le università israeliane rispondo che dipende dalle modalità con cui si fa e da quali accordi sono in essere. Posso capire la volontà di mettere in pausa le collaborazioni in ricerche in ambito militare, mentre su altre ricerche che hanno a che fare con altri ambiti sono un po’ scettico. Questo perché ritengo che in Israele una grossa parte della società sia contraria alle politiche del governo rispetto a Gaza, quindi, tenderei a non equiparare necessariamente il popolo con il suo governo. Ma questo vale anche per i palestinesi, non possiamo dipingere tutto il popolo palestinese come sostenitore di Hamas. Credo che da entrambe le parti la maggior parte della popolazione abbia il desiderio di intraprendere un dialogo di pace.
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