La narrazione (di tutti) sul Referendum è sbagliata.
- Koinè Journal
- 4 days ago
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di Luca Simone.
Se dovessi associare il risultato di questo Referendum alla scena di un film, la prima che mi verrebbe in mente stando a sentire le dichiarazioni di casa PD, è quella di Tre Uomini e una Gamba. Aldo, Giovanni, Giacomo e Marina sono seduti sulla sabbia e si stanno raccontando le azioni salienti della meravigliosa partita Italia-Marocco. Tutti si esaltano nel descrivere rovesciate, parate, colpi di testa da sotto la sabbia, quando ad un certo punto Aldo prende la parola e sentenzia: “Bello, bellissimo, bello tutto, ma allora come abbiamo fatto a perdere 10 a 3?” Ecco, è esattamente quello che il centrosinistra (escluse IV e Azione), col PD in testa, sta tentando di fare in queste ore per mascherare il sostanziale e fattuale fallimento del Referendum.
Partiamo però dai numeri di domenica 8 e lunedì 9 giugno. A votare si è recato il 30,6% degli aventi diritto, per una delle percentuali più basse della storia della Repubblica (pochi altri referendum avevano fatto peggio come spiega YouTrend), ma si tratta pur sempre di più di 14 milioni di elettori ed elettrici. La narrazione che sta circolando in queste ore (anche corretta da un certo punto di vista), è quella che parla di un numero di votanti comunque superiore alla somma di tutti quelli che nel 2022 hanno votato per l’intera coalizione di Centrodestra capitanata da Meloni & soci.
Questo tipo di narrazione, però, potrebbe essere un boomerang per una serie di motivi. Il primo è quello più “familiare” in casa Partito Democratico, ed è quello collegato alle faide interne. In queste ore, infatti, è evidente una certa resa dei conti dalle parti del Nazareno tra la vecchia guardia che quel Jobs Act lo ha voluto ai tempi di Renzi e che ha sempre guardato con fastidio alla decisione di Schlein di appoggiare la CGIL in questa avventura, e i “Marie-Louise” della nuova generazione, che del distacco dal vecchio partito hanno fatto un punto programmatico. Per trovare le prove di ciò basta vedere i tweet di Picierno e Gualmini.
Il secondo motivo è quello sostanziale, che trova ragione di esistere se si guardano i numeri. In primis il dato dell’affluenza, bassissima, che difficilmente può essere aggirato. Se a questo poi si somma anche la redistribuzione dell’affluenza, che vede il PD staccato di 4 punti da AVS (62% a 58%), si capisce che non c’è poi molto per cui cantare vittoria.
A tutto ciò va aggiunta una considerazione finale, che è quella che riguarda la distribuzione dei voti nei 5 quesiti. Se per i 4 sul lavoro la percentuale dei SI è stata costantemente superiore all’87%, il quesito sulla cittadinanza vede più di 1/3 dei votanti aver votato NO (il 34,5%), un dato altissimo se si pensa a quanto il centrosinistra abbia spinto sul tema dei diritti civili in questi anni. Un tema che, evidentemente, non è sentito come impellente da parte della base di elettori. Si può azzardare l’ipotesi che alle urne domenica e lunedì si siano recati per la stragrande maggioranza elettori di centrosinistra e sinistra, e se il quesito sulla cittadinanza è andato così male, è in casa che bisogna guardare.
Posto che le battaglie non debbano essere “scansate” sulla base di considerazioni affrettate e che possono tranquillamente essere fatte in maniera intersezionale, non si può non riflettere sul fatto che forse questa intersezionalità non sia mai stata fatta funzionare realmente. La percezione dell’elettorato di sinistra (alimentata anche dalla propaganda di destra, per carità) è che si pensi troppo ai diritti civili e troppo poco ai diritti sociali. Vero o falso che sia, la sinistra deve comunque riflettere su questo sentimento e trovare una soluzione comunicativa efficace.
Che questo Referendum fosse destinato a fallire era chiaro fin dai suoi primi vagiti. Con la CGIL che, “ingelosita” dal fatto che PD e 5S parlassero di salario minimo senza di lei, si è aggrappata al quesito sulla cittadinanza di Magi e +Europa. Dall’altra parte gli stessi radicali che non hanno appoggiato nessuno dei 4 quesiti sul lavoro e si sono fatti campagna elettorale da soli. Per arrivare poi allo slogan vuoto e poco sensato dei “5SI”, che non era in grado di raccontare nulla dell’importanza dei 5 quesiti. Il risultato era, quindi, ampiamente prevedibile.
Menzione d’onore poi al governo, che ha invitato all’astensionismo postando foto di mare e piscine, dopo aver attaccato per un decennio la sinistra di essere radical chic, lontana dai lavoratori, accasata nella ZTL e nei salotti. La scelta comunicativa è stata quella di invitare i lavoratori sfruttati, licenziati e infortunati a non votare ma ad andare nelle lussuose piscine di cui hanno orgogliosamente messo le foto. La comunicazione perde colpi anche a destra. Inoltre, non si capisce cosa ci sia da festeggiare su questi numeri in vista delle prossime regionali e poi delle politiche.
Guai a disperare, perché di giganti in giro non ce ne sono.
Image Copyright: Fotogramma /Ipa
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