di Luca Simone.
L’anno scorso, in occasione del 25 aprile ho deciso di scrivere un articolo con un taglio molto storico a proposito della Resistenza, a proposito di quel fenomeno che non solo porto nel cuore, ma che ho intenzione di difendere storicamente. Ho notato subito la difficoltà con cui è stato accolto, la spaccatura emersa, e cosa ancora più grave la gravissima disinformazione sull’argomento. La lotta partigiana non solo è vista come un qualcosa di limitato, vigliacco e pericolosamente comunista, ma addirittura come un qualcosa di dannoso (Giampaolo Pansa ha fatto scuola di disinformazione storica in questo). Dovermi confrontare con questa parte del Paese mi ha allora fatto sorgere un dubbio, ma la gente davvero ha idea di cosa abbia lasciato all’Italia la Resistenza? La gente sa quanto in realtà dobbiamo a questo fenomeno? Non credo proprio.
Ma andiamo con ordine, e cerchiamo di capire come mai l’argomento è così divisivo. La Resistenza, la lotta, la grande impresa partigiana fu una guerra civile a tutti gli effetti. La classe politica ha evitato accuratamente di definirla come tale, ben consapevole delle implicazioni pesantissime che avrebbe avuto sulla società. Ma tant’è. Da una parte c’erano i servi di un regime che per un ventennio aveva fatto il bello e il cattivo tempo, e dall’altra c’era chi gli si opponeva. Ed ambo gli schieramenti erano italiani, anzi, molto spesso si combatteva tra compaesani, tra vicini di casa. Alla fine della guerra, la solita mandolinata ha fatto sì che l’Italia non figurasse tra le potenze sconfitte (neppure ovviamente tra le vincitrici), ma avesse un destino ben diverso da quello di Germania e Giappone, pur essendo stata una delle potenze dell’Asse che avevano dato il via al conflitto come paese aggressore. Se qualcuno dovesse mai avere curiosità di sapere perché l’Italia non è stata occupata militarmente in maniera massiccia (vi prego risparmiate le battute sull’occupazione americana indiretta, la colonizzazione ecc., sono discorsi difficilmente esprimibili in 140 caratteri, grazie), forse farebbe bene ad ascoltare il discorso pronunciato da De Gasperi, tutto meno che un pericoloso bolscevico, alla Conferenza di Pace di Parigi del 1946. Lo statista non solo lodò la Resistenza, i suoi caduti e le sue vittorie, ma le attribuì una grossa fetta di merito nell’aver consentito all’Italia di avere qualcosa da mettere sul piatto della bilancia per potersi riscattare agli occhi del mondo. E se anche De Gasperi dovesse sembrare troppo estremista, è interessante sentire cosa dice il rapporto dell’OSS il servizio segreto militare Alleato, e qui cito testualmente: “Il contributo dei partigiani antifascisti italiani alla campagna in Italia nella seconda guerra mondiale è stato a lungo trascurato. Questi patrioti mantennero ben sette divisioni tedesche fuori dalla linea. Hanno anche ottenuto la resa di due divisioni tedesche complete, che hanno portato direttamente al crollo delle forze tedesche a Genova, Torino e Milano e dintorni.”. Non sapevo che a Washington risuonasse l’Internazionale.
Questo non significa dire che tra i partigiani non vi fossero i buoni e i cattivi, i mascalzoni e gli eroi, gli assassini e i martiri, sarebbe riduttivo, e inoltre non renderebbe onore al mestiere dello storico. Ma altrettanto meschino sarebbe appiattire le violenze partigiane su quelle nazifasciste. Dobbiamo capire una cosa, che piaccia o meno, i gruppi sociali vengono guidati da ideologie fondative, e io credo sia abbastanza evidente, anche per il più risoluto missino, quale delle due parti in causa fosse guidata, formata e diretta da un’ideologia aggressiva, machista, bellicista e violenta. E no, non erano i partigiani. Provo dolore per questa situazione a cui siamo arrivati, provo dolore per storici validissimi come Eric Gobetti o giornalisti come Paolo Berizzi, che devono temere per le proprie idee o posizioni confermate dalla Storia. Sì, perché se c’è una cosa che i detrattori non sanno maneggiare, è la Storia. Balbettano, annaspano, gridano al complotto, ma di contenuti non ne hanno. Trovo che dire che questo paese non abbia adeguatamente fatto i conti col passato sia riduttivo. L’Italia non ha fatto i conti col proprio presente. Non si è resa mai veramente conto di quanto male sarebbe potuta andare senza un serio movimento di resistenza. Senza uomini e donne, che da straccioni sono andati in montagna dopo aver deciso che non andava più bene stare sotto allo stivale dei nazifascisti.
Il 25 aprile non è solo una data ogni anno, in cui bisogna depositare una corona di fiori sulla tomba di martiri di cui non si conosce nulla, ma che hanno contribuito a scrivere una storia di cui si conosce ancora meno. La parte tragicomica, è che la storia che hanno scritto, è la nostra. Anche quella di chi sminuisce, accusa e non crede.
Ciao Belli, anzi, Belli Ciao.
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