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Ma quali "gite"? Il dissenso NON è antisemitismo.

  • Writer: Koinè Journal
    Koinè Journal
  • Oct 15
  • 3 min read
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di Davide Cocetti.


Tiene banco, in queste ultime ore, la polemica legata alle dichiarazioni della Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella. Invitata al convegno organizzato dall'Unione delle  Comunità ebraiche italiane "La storia stravolta e il futuro da costruire", Roccella ha sollevato dubbi sull'effettiva utilità di quelle che lei ha definito "gite ad Auschwitz", le quali risponderebbero più a presunti criteri politici che non alla reale volontà di fare i conti con un antisemitismo ancora attuale.


La scelta del termine "gita" - di cui è persino superfluo commentare l'inadeguatezza - per indicare i viaggi di istruzione verso Auschwitz ha sollevato le critiche più dure, tra cui quella di Liliana Segre e della fondazione Memoriale della Shoah di Milano. Da più parti è stato sottolineato come, ben lungi dal voler confinare nel passato il fenomeno dell'antisemitismo, tali iniziative cerchino di mantenere viva la memoria dell'Olocausto anche nei più giovani.


Si potrebbe parlare di una gaffe, ma l'intervento di Roccella nella sua interezza suggerisce come l'infelice - e forse provocatoria - espressione faccia parte di una retorica ben più sottile e articolata. Sostenendo che le università che hanno scelto di rompere i rapporti con le istituzioni israeliane rappresentino «tra i peggiori luoghi di non riflessione» sull'antisemitismo e che quest'ultimo sia stato semplicemente strumentale per perorare la causa dell'antifascismo, Roccella non lascia spazio a dubbi. La finalità ultima è quella di buttare nel calderone dell'antisemitismo anche le condanne al governo Netanyahu e le manifestazioni di solidarietà al popolo palestinese che hanno animato una larga fetta della società italiana nelle ultime settimane. Un sottotesto che emerge anche dal disegno di legge recentemente presentato da Maurizio Gasparri, in cui antisemitismo e critica allo Stato di Israele diventano quasi sinonimi.


In questo clima politico, anche la pace - che dovrebbe essere il momento di riflessione sulle cause del conflitto e sulle sue conseguenze a medio e lungo termine - rischia di diventare un liberi tutti, un salvacondotto che abbuona tutti i crimini perpetrati fino al cessate il fuoco. I cannoni sono ancora fumanti, ma c'è già chi ha iniziato a ridimensionare la spietatezza della repressione israeliana, che fino a poche settimane fa aveva portato persino Meloni e Tajani a condannare la «reazione sproporzionata» di Tel Aviv. E invece oggi udiamo, dalla medesima convention che ha ospitato Roccella, espressioni come «a Gaza non ne ho visti tanti dimagriti» (Mario Sechi, Libero) e «nessuna prova che l'esercito israeliano abbia mitragliato civili» (Incoronata Boccia, RAI).


Chi scrive, purtroppo, non ha potuto prendere parte a una di queste "gite scolastiche" per Auschwitz, poiché l'iniziativa prevedeva un numero chiuso per ciascuna classe. Ho poi avuto modo di mettere piede in quello che rimane della fabbrica di morte di Birkenau parecchi anni dopo. E chi come me lo ha fatto, sia in età scolare che non, ha sicuramente portato a casa qualcosa da quel gelo, da quell'orrore. No, non è un'esperienza da relegare al passato, su questo ha ragione la Ministra. Ma proprio per questo, non abbiamo potuto e ancora non possiamo accettare che la barbarie del genocidio si ripeta ancora, né contro il popolo ebraico né contro qualsiasi altra categoria. Palestinesi compresi.

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