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  • Writer's pictureKoinè Journal

Servi e padroni della rete: una rivoluzione impossibile?

Updated: Oct 6, 2021


di Mattia Santarelli.


Ogni epoca storica, ma più in generale ogni società, è fondata su un sistema. Ogni sistema ha una sua unità fondamentale, un suo bene principale, intorno al quale esso si sviluppa. Nel sistema della società contemporanea il bene principale non è la terra, elemento tipico delle realtà agricole che offre quanto è necessario alla continuazione della vita degli esseri umani, e neppure l’industria, che produce oggetti che superano il semplice sostentamento del vivere degli umani.

Seguendo una prima - superficiale - analisi verrebbe da dire che l’unità fondante del nostro sistema siano il denaro e la moneta. In realtà, soprattutto attraverso l’approfondimento delle tesi di G.Simmel e N.Luhmann, possiamo affermare che l’accumulo di ricchezza ormai costituisce solamente uno dei principali scopi che le nostre dinamiche sociali perseguono, e che invece il vero e proprio bene principale di scambio sia oggi costituito da flussi informazionali di dati.

LA CIVILTÀ DEI DATI

Secondo un’indagine condotta dal Pew Research Center, già nel 2018 la media globale di chi possiede uno smartphone o un cellulare era del 90%, con percentuali oltre il 60% anche nelle regioni meno sviluppate dell’Africa Sub-sahariana e dell’America Latina. Pensiamo alle nostre abitudini e alla nostra quotidianità. Nel corso della giornata, da quando accendiamo il telefono la mattina a quando lo spegniamo – se lo spegniamo – la sera, effettuiamo centinaia e centinaia di operazioni e di accessi, utilizziamo applicazioni, prestiamo attenzione ai contenuti che riteniamo interessanti e ne evitiamo altri, cediamo informazioni circa la nostra presenza in rete e le nostre preferenze: costituiamo, cioè, dati e ne alimentiamo il traffico. Luhmann, sociologo tedesco e padre della teoria sistemico-funzionale, scrive che “la funzione della funzione è la funzione” (2) per far intendere che l’unico scopo di una funzione, e cioè di un medium quale il dato, è quello di tendere ad un trionfo funzionale, vale a dire essere più utile e produrre più utilità. Una piattaforma, o un’applicazione, senza dati non è attrattiva e non produce nessun tipo di utilità, né per l’utente “navigante” né tantomeno per il signore della piattaforma. Ciò che spinge ognuno di noi ad accedere alla rete, è il servizio formalmente gratuito che essa ci offre o con il quale essa ci mette in contatto. Dai nostri accessi e dai nostri “desideri oggettivati”, gli algoritmi delle reti raccolgono ed elaborano masse di dati. Attraverso la rielaborazione algoritmica dei nostri dati le piattaforme diventano più efficienti e soddisfano maggiormente le nostre richieste. Da queste dinamiche, scrive Romano, nasce e si afferma la nostra cosiddetta “Civiltà dei dati” (9).

Risulta chiaro, quindi, il ruolo di chi è “al di quà” dello schermo, dell’utente navigante, del “servo della rete”, per dirla parafrasando Hegel: accedere ad un servizio e cedere in cambio informazioni. Resta invece da chiarire quale sia il rapporto dati-denaro e quale sia il ruolo di chi si trova “al di là” dello schermo.

DATI, DENARO, POTERE

Agli inizi del ‘900 Georg Simmel scriveva che “il denaro è la forma più pura di strumento, valido per i più differenti fini, nel quale l'individuo fa confluire le sue azioni per conseguire, attraverso questo «punto di passaggio» quegli scopi che coi i suoi soli sforzi non sarebbero immediatamente raggiungibili” (3). Se consideriamo le principali dinamiche della società del XX secolo analizzata da Simmel e di quella del XXI, presa in considerazione dal sopracitato B.Romano, potremo facilmente comprendere il primo fattore di congiunzione fra denaro e dati: “i dati hanno la medesima struttura del denaro” (9). Le piattaforme mettono a disposizione dei “padroni delle rete” una innumerevole quantità di dati, informazioni, preferenze, abitudini, che gli utenti-consumatori cedono consensualmente: essi accettano attraverso un “semplice click”, spesso ignari che dietro a quel gesto si cela la stipulazione di un vero e proprio contratto. Successivamente, questo patrimonio informazionale, perfettamente suscettibile di valutazione economica, viene venduto dai signori ai migliori acquirenti - altri erogatori di servizi, imprenditori, padroni di piattaforme, agenzie pubblicitarie - i quali se ne servono per migliorare la qualità del proprio servizio, o per perfezionare in tempo reale il proprio prodotto secondo le reali preferenze dei consumatori. Prendiamo, a scopo esemplare, una comune abitudine come può essere effettuare tutti i giorni un determinato spostamento in auto. Il signor X, che ha dato il proprio consenso al trattamento dei dati personali, dal lunedì al venerdì esce da lavoro alle 16:30 e arriva a casa in auto per le 17. L’algoritmo del suo cellulare, dotato di geolocalizzatore e/o di connessione a internet, registra che dal lunedì al venerdì il signor X è fermo nella località A e non effettua accessi fino alle 16:30, orario in cui il segnale del cellulare inizia a spostarsi velocemente verso la località B, luogo in cui si ferma nuovamente, alle 17. Supponiamo che il Signor X, una volta parcheggiato, abbia l’abitudine di restare una decina di minuti in auto a controllare le notizie del giorno sul proprio cellulare. L’algoritmo registrerà dunque che, in linea di massima, dal lunedì al venerdì il Signor X non presterà realmente attenzione al suo cellulare fino alle 17, orario in cui egli visita spesso determinati siti d’informazione. Il padrone di tali dati potrà dunque vendere, in maniera perfettamente legale, le informazioni sulle abitudini personali del Signor X ai titolari dei siti d’informazione, così da rendere più efficiente l’eventuale invio di notifiche e di pubblicità, così da prolungare il tempo medio di permanenza del Signor X sulla piattaforma, e così da aumentare conseguentemente il profitto dei padroni delle piattaforme.

Le dinamiche della compravendita delle masse informazionali hanno rivoluzionato non solo il funzionamento del mercato, rendendolo sempre più dromocratico, e le abitudini degli utenti-consumatori, ma anche il mondo politico, politologico e mediatico, che in qualche caso ha deciso di sfruttare i dati a disposizione per la propria strategia elettorale. A questo riguardo, un esempio particolarmente interessante può essere il caso dello scandalo che nel 2018 ha coinvolto la Cambridge Analytica, un’azienda di consulenza e marketing online che durante la campagna elettorale di Donald Trump del 2016 ha gestito impropriamente i dati in suo possesso per influenzarne l’esito. In particolare, grazie allo studio dei dati degli utenti e all'applicazione di modelli psicometrici, l’azienda stilava dei profili-utenti estremamente precisi, basati non su filoni di interessi comuni ma su tratti psicologici comuni (paura di, sospettosi, estroversi ecc.). Nel Concordia Summit di settembre 2016, lo stesso Alexander Nix, CEO di Cambridge Analytica, ha spiegato al mondo come è possibile comunicare lo stesso messaggio a due individui diversi e come aumenti l'efficacia del messaggio se viene strutturato in base al profilo psicologico del destinatario. Motivo per cui, una volta stilato il profilo dello user, venivano elaborati i messaggi da sottoporgli sulla base delle informazioni raccolte, sfruttando quindi bisogni, paure, convinzioni, e grazie ad una grande quantità di account fasulli gestiti automaticamente - i cosiddetti bot -, venivano poi diffusi post, fake news e altri contenuti ad hoc contro la candidata democratica, Hillary Clinton.

IL SUPERAMENTO DELLA DIALETTICA SERVO-PADRONE

Riprendendo il sopracitato Hegel e soffermandosi sulla natura dell’antitesi tra servi e padroni (della rete in questo caso), viene da chiedersi se e quale rivoluzione - sintesi - sia possibile. Servi e padroni della rete sono infatti molto più che due momenti dell’autocoscienza che conducono all’essere in sé e per sé. Tutt’altro. D’altro canto però, anche una rilettura in chiave marxiana appare impropria, dal momento che gli utenti non sono “servi” nel senso di persone che “lavorano per il padrone”. Leggendo Marx appare evidente che il lavoro forma e, formando, consente al servo di prendere coscienza del proprio valore e della propria superiorità sul padrone. E’ la presa di coscienza che costituisce il preludio della rivoluzione. In assenza di questi elementi, il lavoro e la presa di coscienza, appare dunque impossibile una formazione e un processo di autoriconoscimento del servo, e dunque irrealizzabile anche una vera e propria rivoluzione. Il servo non è cosciente di essere servo. Allo stesso tempo però, neanche il padrone è padrone. Il signore delle piattaforme non possiede i mezzi di produzione, i dati in questo caso, poiché essi non sono altro che rielaborazioni algoritmiche di masse informazionali. A questo proposito, reputo opportuno citare la brillante analisi di Clavreul: “il vero padrone non è l’uomo, il padrone, il capitalista, bensì il capitale che l’uomo considera il suo vero bene, il suo avere, e del quale è lui a essere lo schiavo, dato che deve sottostare alle sue leggi” (7). Il servo non è servo perché non sa di esserlo. Il padrone non è padrone perché è costretto a dipendere da dinamiche ad esso esterne: le pre-calcolate dinamiche algoritmiche.

UNA RIVOLUZIONE IMPOSSIBILE?

Per la prima volta nella storia dell’uomo, con la Civiltà dei dati, ci troviamo alle prese con una condizione completamente nuova, definita dallo stesso Romano “post-umana”. Gli algoritmi, inizialmente pensati dall’uomo con lo scopo di facilitare lo svolgimento di alcune azioni, finiscono poi per avere una sorta di autonomia funzionale attraverso la fase di elaborazione della massa di dati, il cosiddetto potere dell’automatizzazione. Attraverso strutture pre-calcolate, gli algoritmi prevedono risultati ed effettuano delle vere e proprie scelte al posto dell’uomo. Rimpiazzano, cioè, la qualità umana con la quantità calcolatoria. Lo schermo del dispositivo elettronico, “tutto esteriorità e tutto quantità” (9), ci offre sostanzialmente delle soluzioni facili, comode ed immediate - già filtrate - che possono essere subito assimilate e comprese. Nulla a che vedere con la più dispendiosa ricerca e con lo studio cartaceo e individuale, processi in cui l’assimilazione della quantità di informazioni viene filtrata attraverso l’opera qualitativa dell’interpretazione, diretta espressione della soggettività umana: non quantificabile o prevedibile, e quindi non calcolabile. Tutto ciò che è quantitativo e quantificabile, può essere calcolato. Tutto ciò che è calcolabile, viene sottratto dalla disponibilità umana e configurato attraverso le dinamiche algoritmiche. Se è vero questo, è altrettanto vero che l’uomo non è solamente un essere “quantitativo”, ma soprattutto “qualitativo”. Da sempre, uomini e donne di ogni epoca di fronte al mistero della vita si chiedono “perchè?”, e tentano di rispondere cercando per tutta la loro esistenza il fine ultimo di loro stessi e di ciò che li circonda. L’essere umano, sempre soggetto e mai oggetto, è in costante ricerca del senso. La vita è per l’uomo desiderio di desiderio di senso: è attraverso la ricerca continua e, talvolta, attraverso la speculazione esistenziale, che egli trova se stesso. Pur senza trovare una risposta definitiva, ma semplicemente continuando a cercare e a porsi domande. La capacità, tutta umana, di saper osservare qualcosa e vederci un rimando ad altro, saper cogliere le cosiddette “Correspondances” per dirla alla Baudelaire, svuota l’algoritmo dai dati di cui esso potrebbe disporre. Nell’esercizio dell’attività speculativa, l’uomo diventa completamente indipendente nei confronti del semplicistico mondo informazionale e, anzi, lo depotenzia attraverso la minore concessione di materiale quantificabile. Il dubbio, la ricerca, il rischio, la creatività, l’arte, le emozioni, l’istinto, sono fattori esclusivamente e rigorosamente umani e non pre-calcolabili. Fattori che gli algoritmi non potranno controllare, registrare, prevedere o calcolare, che non potranno oggettivizzare ed elaborare per trasformarli in dati, fattori che non potranno costituire utilità per parti terze. E se davvero le uniche cose che possono sfuggire al dominio algoritmico fossero proprio la più umana incertezza e la più imprevedibile immaginazione creativa? E se stavolta, caro Guccini, a canzoni si facessero rivoluzioni?

(1) Spring 2017 Global Attitude Survey. Q64 & Q65. U.S. data from a Pew Research Center survey cunducted Jan. 3-10, 2018.

(2) Luhmann, N. (autore), Corsi, G. (tradotto da). Organizzazione e decisione. Mondadori, 2005

(3) Simmel, G.(autore), Cavalli, A. , Perucchi, L. (a cura di). Filosofia del denaro. UTET, 2013

(4) Simmel, G.(autore), Squicciarino, N. (a cura di). Il denaro nella cultura moderna. Armando editore, 1998

(5) Simmel, G. (autore), Ingravalle, F., Freda, F. (a cura di). Psicologia del denaro. AR Edizioni, 2008

(6) Hegel, F.(autore), Cicero, V. (a cura di). Fenomenologia dello spirito. Bompiani, 2000

(8) Marx, K.(autore), Sbardella, E. (a cura di). Il Capitale. Newton Compton, 2015

(9) Romano, B. Civltà dei dati, libertà giuridica e violenza. Giappichelli, 2020


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