di Andrea Di Carlo.
Negli ultimi anni si è registrato l’aumento di pubblicazioni accademiche sul neoliberismo e i suoi meccanismi (cf. Slobodian 2020). Le conseguenze socio-economiche hanno spinto alcuni a scrivere che il neoliberismo è finito, soprattutto grazie ai massicci interventi statali per sostenere una popolazione decimata dalla pandemia. Gerbaudo (2022: 10) sostiene infatti che è tornato lo “Stato interventista” così come avrebbe voluto Keynes. Anche presidenti più fedeli al dogma neoliberale come Macron hanno di fatto attuato misure che i neoliberisti avrebbero chiamato “stato dirigista”. Gli Stati Uniti, i più ardenti sostenitori della libertà del mercato, hanno predisposto atti normativi, come il Build Back Better Plan, che avrebbero scatenato le ire di Milton Friedman e dei suoi sodali della Scuola di Chicago. È davvero finita? No, purtroppo. Anzi, semmai sarà possibile, ci vorranno anni per liberarci totalmente del neoliberismo.
Biopolitica e neoliberismo
Michel Foucault ha dedicato pagine importantissime alla definizione del neoliberismo e sugli effetti macrosociologici. Nel suo corso al Collège de France “Nascita della biopolitica” (1978-1979), il filosofo sintetizza che la biopolitica emerge nel 18° secolo, nel momento in cui si impone “l’autolimitazione della ragione di governo” (Foucault 1978-1979: 55). In altre parole, il pensatore ritiene che la biopolitica, tutte le strategie per il governo della vita della popolazione, debba fissare i limiti dell’azione politica in economia. Siamo ai prolegomeni del neoliberismo: l’azione statale in materia economica deve essere ridotta al minimo. Foucault pronuncia poi il mantra che da anni costituisce la mentalità mondiale, cioè che l’individuo è imprenditore di sé stesso (Foucault 1978-1979: 674). Oltre a essere ovunque, questa frase descrive benissimo quello che Foucault chiama homo oeconomicus. La nostra stessa esistenza dipende interamente dal nostro valore economico. Non esistiamo più come esseri umani ma come consumatori. Siamo capitale umano. Poiché siamo oggetti, molte sono le modalità in cui possiamo essere utilizzati. Non è becero complottismo ma la triste verità. Tuttavia (e ne parlerò in seguito) il progetto neoliberale è contraddittorio.
Byung-Chul Han: la libertà è una trappola
La filosofia di Byung-Chul Han descrive perfettamente l’essenza del neoliberismo. A giudizio di Han non siamo “soggetti sottomessi, ma progetti liberi” (Han 2016: 8). L’opinione di Han non sembra distinguersi molto da quella di Foucault: poiché siamo liberi decidiamo ciò che siamo. Han, tuttavia, va oltre Foucault nella sua diagnosi inquietante dell’oggi. Sintetizza il pensatore tedesco che il neoliberismo è un sistema “molto efficace nello sfruttare la libertà, intelligente perfino” (Han 2016: 10). L’astuzia è quella di sfruttare tutto ciò che può produrre una libertà apparentemente sfrenata. Vogliamo dimostrare a tutti che abbiamo un progetto, qualcosa che è instagrammabile, che tutti possono ammirare. Ed è qui che arriva la teorizzazione del potere di Han: viviamo nel mondo del potere intelligente. Un potere che “ci invita a comunicare, a condividere, a partecipare” (Han 2016: 26). Non viviamo nel mondo reale, ma in quello virtuale, un mondo in cui ci sentiamo apparentemente liberi di scrivere, condividere, postare, ripostare e interagire. Non è un caso che questa è l’epoca dei social media: la nostra interazione è esclusivamente online. Piattaforme come Facebook, nate inizialmente per restare in contatto con le proprie amicizie o conoscenze, sono diventate una città. Si vende, si compra, si sponsorizza e si offrono servizi. La stessa idea di salute non è più legata al benessere fisico ma a quanto si può produrre.Bisogna essere sani per poter produrre di più (Han 2021: 70). Paradossalmente la libertà è una trappola: è meglio non essere liberi. Il filosofo sudcoreano ribalta il sistema di pensiero foucaultiano. Se la vera trappola è l’eccessiva visibilità, adesso sarebbe meglio evitare la possibilità di scelta. Ecco la tirannia della libertà.
Bernard e Barbara Stiegler: bisogna adattarsi al mondo stupido
Bernard e Barbara Stiegler, padre e figlia, hanno scritto pagine importanti riguardo all’età neoliberale. Stiegler, nel suo libro “Reincantare il mondo. Il valore dello spirito contro il populismo industriale”, scrive un manifesto eloquente contro il dominio incontrollato del mercato sulle nostre vite. Il filosofo è persuaso che viviamo nel mondo della stupidità. Stiegler condanna fortemente nel suo libro l’università estiva della Confindustria francese e si domanda se questa modalità educativa “tenta ormai di produrre cervelli senza coscienza” (Stiegler 2012: 87). Il filosofo si domanda dunque se non sarebbe meglio rincantare il modo. Egli critica l’idea weberiana del disincantamento prodotta dal capitalismo. È meglio dunque tornare a un momento storico con teste pensanti invece di quelle rivolte soltanto a perseguire l’interesse economico. La riflessione di Stiegler ben si applica allo scenario desolante del Belpaese. Non esiste più il Ministero dell’Istruzione, ma ormai dell’Istruzione e del Merito. Qual è il merito di cui si parla? Quello dei figli di imprenditori e confindustriali, non delle famiglie che si trovano in difficoltà economiche. La retorica del merito è quella del capitale umano di Foucault e della libertà teorizzata da Han. La scuola neoliberale non produce cervelli, ma i migliori senza cervello. Barbara Stiegler si concentra sui processi biologici del neoliberismo, che determinano il quadro dipinto da suo padre. Stiegler infatti denuncia il carattere neodarwiniano del neoliberismo; si tratta di un approccio economico che si fonda sull’evoluzionismo. “Bisogna adattarsi” oppure “Non c’è alternativa” sono i mantra di questo sistema: chi saprà evolversi sopravviverà, altrimenti si estinguerà (Stiegler 2018: 9). Stiegler dimostra la mendacità dell’idea stessa che ci sono possibilità per tutti. Non è vero, perché il nostro luogo di nascita determina la possibilità di poterci avvalere di tali opportunità. Dobbiamo nascere nel posto giusto. Non c’è alternativa a questo schema.
La contraddizione del neoliberismo: lo Stato serve
Ho descritto finora un sistema economico che si fonda sull’atomizzazione dell’individuo e su una società che deve essere inevitabilmente classista e razzista. Il neoliberismo poggia su una contraddizione che riguarda il ruolo dello Stato. Se lo Stato deve essere ridotto al minimo, qual è il criterio per stabilire questo minimo? Come dice il nome stesso, c’è bisogno di libertà. Ma quanta libertà e chi lo stabilisce? Non esiste neoliberismo senza Stato. La pretesa dei neoliberisti di vivere in un’utopia senza intervento statale non sta in piedi da un punto di vista logico. Se non ci fosse lo Stato, seguendo il loro ragionamento, la vita sarebbe migliore. Ma lo Stato deve tuttavia esistere per ridurne la presenza al minimo. Se non ci fosse lo Stato, Macron non avrebbe saputo come far intervenire la società di affari McKinsey nella gestione della cosa pubblica.
Coda: e adesso?
È stato ripetuto più volte che il neoliberismo è morto. La pandemia l’avrebbe sepolto una volta per tutte. E invece no. Il neoliberismo è ancora vivo e vegeto. Lo dimostra la nostra mentalità: ragioniamo ancora in termini di utile e inutile. Si sceglie la facoltà in cui studiare in base alla sua utilità. Si devono avere le skills appropriate per il mercato e per possibili datori di lavoro. Si deve accettare quello chi ci viene proposto perché come hanno detto diversi personaggi pubblici (con milioni alle spalle) la gavetta fa sempre bene. Al di là di queste considerazioni, le diagnosi di Foucault, Han e degli Stiegler sono appropriate. Reagan prima e i democrati oggi sono ossessionati da quali potrebbero essere le conseguenze di un’assenza di limitazione dell’azione del governo. Non è un caso che Brown (2015: 9) parli della fine della comunità, del carattere distruttivo di questa mentalità economica. Siamo continuamente bombardati da influencer che vogliono vendere i loro prodotti, nuovi modi di guadagnare più denaro possibile oppure da nuove serie TV su Netflix. Non abbiamo più tempo per noi stessi e per le nostre vite. È lo Stato stesso che ci invita ad adattarci, a fare sacrifici: la retorica del facciamo un sacrificio per tutti rientra in questo ordine di pensiero: se siamo poveri per un periodo poi tutti staremo bene. Anzi, le ristrettezze faranno bene a tutti (solo i soliti noti guadagneranno). La salute del corpo politico è indissolubilmente legata alla salute economica dello stato. Senza il pareggio di bilancio si muore. Concludo osservando che la panoplia di opere dedicate al neoliberismo è di per sé indicativa di come funziona il sistema: la ricerca trova sempre nuovi aspetti o nuovi modi di descrivere la rivoluzione causata dal neoliberismo. Un po’ come l’economia. Purtroppo non ne siamo ancora fuori, perché il neoliberismo è un sistema proteiforme che sa come adattarsi.
Bibliografia
Brown, Wendy (2015) Undoing the Demos: Neoliberalism’s Stealth Revolution. New York: Zone Books.
Foucault, Michel (1978-1979) Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France 1978-1979. Milano: Feltrinelli.
Han, Byung-Chul (2016) Psicopolitica. Roma: Nottetempo.
Han, Byung-Chul (2021) La scomparsa dei riti. Una topologia del presente. Roma: Nottetempo.
Slobodian, Quinn (2020) Globalists. The End of Empire and the Birth of Neoliberalism. Cambridge, Massachusetts: Harvard University Press.
Stiegler, Barbara (2018) “Il faut s’adapter» Sur un nouvel impératif politique. Paris : Gallimard.
Stiegler, Bernard (2012) Reincantare il mondo. Il valore spirito contro il populismo industriale. Napoli: Orthotes.
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