di Giacomo Maroni.
Raccontare una guerra non è mai facile, ma raccontare una vita in guerra è impossibile. Ci abbiamo provato lo stesso, cercando di cogliere le piccole quotidianità della gente comune, che vede la propria vita scontrarsi con il grande moto della storia, un moto che non si può controllare o eterodirigere, ma si può solo subire. Abbiamo perciò deciso di raccontare tramite piccole parole, immagini, scampoli di discussione la cruda realtà di un popolo che ogni giorno vive la guerra, e lo faremo in tre puntate, ognuna con una storia e una città diversa. L'unica cosa che ognuna di queste foto dovrebbe ricordare, istantanee che raccolgono umanità e sofferenza confuse in un abbraccio mortale, sono le lapidarie parole di Rosa Luxembourg: "Guerra alla guerra."
KIEV
15-21 LUGLIO
PARTE SECONDA
La ricerca della normalità
Prendo un biglietto del treno da Lviv a Kiev. Mi chiedono “con o senza caffè?”. La carrozza ha letti anche se è giorno e ti danno lenzuola (e caffè). C'è una donna che sta leggendo un libro sullo yoga. Parliamo, si chiama Elena e mi regala una nuova finestra da cui affacciarmi per guardare i sensi di questo viaggio. Grazie a lei vedrò Karkiv, la sua città, come non avrei potuto vederla. Dopo aver passato sei mesi da profuga a Vilnius, è tornata in Ucraina, a Kiev. Non vuole tornare a Karkiv perché è pericolosa e ora vive in un appartamento con sua madre e sua figlia. Mi dice che aveva una Lancia, ma che ora l'ha presa l'esercito che ci organizza il rifornimento alimentare. Tanto non le serve più, vive giorno per giorno; me lo dice con un tono che non ha nemmeno la ricchezza della rassegnazione. Arrivati a Kiev mi accompagna con un taxi al mio appartamento e mi dice che ci rivedremo; così sarà.
La fermata dell'autobus
Ho affittato un piccolo appartamento per vivere il quotidiano, fare spesa, abituarmi e abituare le persone ad incontrarmi. Mi muovo in tondo allargando giorno dopo giorno il cerchio. Giro quasi esclusivamente a piedi e sempre con la macchina fotografica al collo. Nella zona di Santa Sofia non si possono scattare foto e un lato della strada è inibito anche ai pedoni. Dicono ci siano i servizi segreti. Qui a Kiev i cavalli di frisia sono ovunque, molti di più che a Lviv.
La convivenza
In alcune zone della città sono parcheggiati trofei di guerra. Carri armati e mezzi distrutti sottratti ai russi vengono esposti. In piazza Mykhailivska i bambini si arrampicano su quei ferri arrugginiti, bruciati perforati Chi passa, si ferma e scatta selfie. Venditori di gadget gialloblu girano in questo cimitero delle carcasse da cui sono stati estratti i morti. Ci si trova disorientati, ma sono venuto qui per questo, per vedere la vita che muta e si adatta: la guerra e il nazionalismo in questo momento vendono bene.
I giochi
I locali in città chiudono alle 22:00. Si può comunque girare fino alla mezzanotte, poi bisogna rientrare per il coprifuoco. I più giovani organizzano feste che vanno avanti fino al mattino, quando finisce l'obbligo di stare al chiuso e si può tornare a casa. La sera si percepisce il bisogno di stare insieme, di godere le poche ore prima che chiuda tutto. I ragazzi sono ricercatissimi nel vestire, cercano di salire sul carro della vita. C'è frenesia.
Mi incontro con Giorgia (l'unico contatto che avevo prima di partire) ed alcuni suoi colleghi in un vecchio mercato con tanti bistrò dove bere e mangiare. Saranno loro a darmi molte informazioni utili per muovermi e soprattutto per leggere meglio ciò che accade intorno a me. Quando partono le sirene per un attacco le persone continuano a fare ciò che stavano facendo. Rimangono sedute ai tavolini all'aperto, proseguono la loro discussione camminando per andare dove devono andare. Più attenzione fanno gli stranieri che sono qui per lavoro. Le indicazioni sono che quando scatta l'allarme bisogna mettersi in stanze senza finestre o sotto la metropolitana. Ad avvertirti di un attacco c'è anche un'applicazione. Questa quiete con la sirena come sottofondo sonoro sembra far muovere tutto al rallentatore, ma in realtà tutto si muove a velocità normale, sono io che vorrei che tutto corresse; non sono ancora abituato. Kiev dicono sia sicura e che abbia una contraerei eccezionale, quindi tutti sono piuttosto tranquilli.
Un padre e sua figlia fanno il bagno sul Dnepr
La fusione tra guerra e normalità rende molte situazioni abnormi. In piazza Majdan, dove migliaia di bandierine sono piantate a terra in ricordo dei caduti, ragazzi vestiti da teneri animali si fanno fare le foto dietro piccolo compenso. Come i gladiatori al Colosseo. Solo che su questo prato si ricordano le morti recentissime, ma tutto sembra non turbare nessuno e il banchetto continua a venderti bandierine per ricordare chi hai perduto in mezzo a questa carnevalesca gioiosità. Ogni luogo che abbia una vocazione turistica ha persone che vendono nastrini o materiale filoucraino. Il sabato e la domenica i parchi si riempiono di persone che vivono la semplicità dello zucchero filato, il lungofiume, i giochi, il pony. Sembra di tornare indietro a molti anni fa, quando anche da noi c'era voglia di stare insieme in maniera semplice e si assaporava la bellezza della banalità domenicale.
La mattina presto si fanno le prove nel parco
La mattina al sole ci sono molti mendicanti e senzatetto. La notte quando non si può circolare, si nascondono non so dove. Le panchine più calde sono occupate da loro. Mi alzo sempre presto e faccio un giro nel parco. Ogni mattina trovo un musicista o una compagnia di danza. Dal parco si vede la città pronta per “quello che accadrà accadrà”. Bisogna andare avanti, bisogna andare oltre il qui e ora per vivere dentro e coltivare una luce che altrimenti morirebbe con l'umanità.
Un senzatetto si riposa alla fermata della Metro
Quando esco con Elena mi porta nei posti che tutti i turisti vogliono vedere. La lascio fare perché mi interessa la sua storia, ma meno quei posti. Ha vissuto in un sotterraneo a Karkiv molti giorni prima di decidere di partire con la macchina insieme alla figlia e alla sua amica. Dice che mentre guidava in mezzo alla città distrutta ha avuto il massimo dell'adrenalina nella sua vita. Vedere scorrere palazzi crollati che prima di scendere sottoterra erano vivi, non sapere se ce ce la farai ad uscirne e cosa incontrerai, rende ogni secondo un'eternità. La sera mi scrive e mi dice che se voglio andare a Karkiv, verrà a prendermi una sua amica alla stazione, così mi farà vedere come è ridotta la città. Le chiedo se la sua amica lo faccia per lavoro, mi risponde che alla sua amica basta che io veda. Anche lei si chiama Elena. Tento qualche ricerca online su Karkiv e scopro che i russi hanno piazzato centomila uomini ad un'ora e mezza dalla città. Eppur bisogna andar.
Bambini giocano tra le fontane d'acqua
Foto e testi a cura di Giacomo Maroni
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