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Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde

  • Writer: Koinè Journal
    Koinè Journal
  • 8 minutes ago
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di Riccardo Cuppoletti.


Nel contesto di un Horror Festival sempre più attrattivo per la città di Monte Urano (FM), il club di lettura Overbook Hotel ha organizzato un incontro speciale in collaborazione con l’associazione culturale Common Bubble. L’idea è stata quella di un brainstorming letterario che parte dalla lettura del breve ma intenso capolavoro dello scrittore Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde, un cult insediatosi nella percezione collettiva come metafora d’elezione del dualismo umano, incarnato dalla doppia personalità del distinto dottor Henry Jekyll.

 

ATTENZIONE: da qui in avanti si parlerà della trama e si commenteranno aspetti cruciali del libro. Se non avete ancora letto l’opera e desiderate farlo, è consigliabile non proseguire oltre queste righe e recuperarla prima di completare la lettura dell’articolo.

 

In una Londra vittoriana, rigida e rispettabile, sono gli occhi dell’avvocato Gabriel John Utterson a raccontarci di un personaggio misterioso, Edward Hyde, destinatario del testamento del Dr. Jekyll. Le sensazioni negative attorno a quest’essere minuto e quasi disumano sono il preludio al misfatto: un cruento omicidio scuote la capitale inglese e una testimone oculare individua nel presunto protetto del Dr. Jekyll l’assassino. Questi, informato dell’accaduto, si mostra molto turbato e afferma di non voler avere più nulla a che fare con lui. Ma il comportamento del medico desta una certa preoccupazione: diventa molto schivo, si isola, evita il contatto con le persone a lui vicine e si rinchiude notte e giorno nel suo laboratorio. Decisi a far luce sulla faccenda, l’avvocato e il domestico Poole fanno irruzione nel suo nascondiglio, trovando il cadavere di Edward Hyde. Sarà solo una lettera scritta dal Dr. Jekyll a dipanare i fili di questa storia sospetta: con un’introspezione inquietante, confessa la sua “doppia vita” ottenuta grazie ad una pozione e l’impossibilità di invertire il processo di trasformazione definitiva in mr. Hyde.


Sebbene le intenzioni dell’autore fossero probabilmente quelle di provocare un tipo di società profondamente diversa, la grandezza delle opere letterarie si misura anche nella loro capacità di generare riflessioni sempre nuove nel tempo, toccando temi che oggi trascendono il valore morale tradizionale. Tra questi, spicca la libertà, divenuta non solo un ideale, ma anche un limite verso cui tendere con tutte le proprie forze. È proprio la ricerca della libertà a muovere il Dr. Jekyll, medico rispettabile e volto al bene ma che cela un lato malvagio ed irrefrenabile. Questi descrive il suo alter-ego Edward Hyde come un essere pieno di vita, compiaciuto delle sue azioni per quanto inenarrabili. E, soprattutto, libero. Perché allora non abbandonarsi alla trasformazione completa per vivere una vita svincolata da ogni morale? L’uomo vuole liberarsi della propria parte oscura, o la sua felicità sta nell’abitarla? La risposta potrebbe essere data partendo dal mezzo stesso della trasformazione: la pozione. Essa è l’elemento che induce ad una forma alterata, alienata, della coscienza; toglie la domanda di senso - che senso ha ciò che faccio? - consentendo di accettare acriticamente tutto l’agito come giusto in quanto reale. Così, dalla frustrazione nata dalla repressione delle pulsioni, si arriva alla disperazione per la perdita del controllo sulle proprie azioni, fino al rifiuto per una vita condotta senza razionalità e all’ingestione del cianuro una volta giunto al punto di non ritorno. Si potrebbe leggere la morale del racconto anche in chiave moderna, ipotizzando che l’estrema decisione di Jekyll / Hyde sia motivata dal desiderio di non dover rendere conto a nessuno — a quella società oggi spesso accusata di essere il principale limite alla libertà individuale – delle proprie azioni. Eppure Stevenson sembra volerci lanciare una provocazione più intima che sociale: non tanto una condanna della rigidità vittoriana, quanto un invito a riconoscere la complessità dell’essere umano, comprensiva dei suoi lati più oscuri.


Parafrasando Schopenhauer, il Dr. Jekyll ci ricorda che “la vita è un pendolo che oscilla tra la frustrazione e la disperazione”, tra ciò che desideriamo essere e ciò che non riusciamo ad accettare di essere. Di fronte alla prima condizione, quella della frustrazione, egli sceglie di affidare ad un alter ego la libertà di vivere senza regole, illudendosi di poter così colmare il vuoto. Ma proprio in quella scissione si annida la sua condanna: la libertà tanto agognata si trasforma in uno smarrimento di sé, in una vita priva di ragione e dominata dagli istinti più oscuri. Si potrebbe allora dire che la libertà, se intesa come assenza totale di vincoli, perde di significato. Una libertà priva di limiti non è più libertà, ma dispersione: vivere senza confini significherebbe anche vivere senza legami, e dunque senza identità. Sono proprio i limiti morali, affettivi e sociali a delineare lo spazio entro cui l’individuo si riconosce e costruisce sé stesso. Ma non tutti i limiti hanno lo stesso valore: alcuni proteggono e orientano, altri invece imprigionano. In questa prospettiva, la trasgressione non è semplice ribellione, ma il superamento consapevole di quei confini imposti solo dal costume o dalla convenzione, quando il loro superamento non reca danno a sé né agli altri.


Allo stesso modo, è importante imparare a dare spazio allo sguardo dell’altro, senza paura e senza percepirlo come una minaccia o un vincolo: a volte, è proprio attraverso quello sguardo che impariamo a riconoscerci. Jekyll, nel tentativo di liberarsi da ogni costrizione, finisce invece per smarrirsi, scoprendo che l’assenza di confini non emancipa, ma dissolve.


A distanza di tempo, Stevenson ci consegna una riflessione ancora potente: la vera libertà risiede forse nell’equilibrio precario della condizione umana. Ma forse, la pozione di Jekyll non è poi così lontana da noi. Ognuno, a suo modo, ne prepara una per zittire la coscienza o per sentirsi più libero. Resta allora una domanda, inevitabile e inquieta: è davvero libertà quella che cerchiamo, o solo una fuga da noi stessi/e?

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