
di Federica Oneda.
Lunedì 20 gennaio la Corte Costituzionale ha dato il via libera a cinque referendum, un risultato significativo per la partecipazione democratica. Tuttavia, questo passo avanti si inserisce in un contesto istituzionale segnato da gravi difficoltà: la Corte si è espressa con soli undici giudici, poiché il Parlamento non è riuscito a eleggere i quattro membri mancanti. Il rinvio dell'udienza dal 13 al 20 gennaio avrebbe dovuto offrire ai partiti il tempo necessario per trovare un accordo, ma l'ennesima fumata nera ha rivelato l'incapacità della politica di superare i propri giochi di potere.
Questo stallo non solo compromette il funzionamento della Corte, ma rappresenta un segnale inquietante per la tenuta democratica del Paese. Eleggere i giudici costituzionali, un compito cardine del Parlamento, non dovrebbe mai essere ostaggio di logiche partitiche e di maggioranza. Nonostante la ventata d’aria positiva seguita al giudizio di ammissibilità dei cinque referendum, questa è la prima cosa che ci fa torcere il naso. Ma non è la sola.
I cinque referendum ammessi
Nonostante le difficoltà istituzionali, la Consulta ha dato luce verde a cinque quesiti.
“Il referendum cittadinanza” dimezza da 10 a 5 anni il periodo di residenza in Italia per gli extracomunitari per ottenere la cittadinanza. La proposta mira a rendere più accessibile la cittadinanza a coloro che, pur vivendo in Italia da lungo tempo, non riescono ad ottenerla per via dei rigidi requisiti. I quattro referendum il materia di lavoro invece chiedono l’abrogazione della disciplina dei licenziamenti introdotta dal Jobs Act con il contratto a tutele crescenti, la cancellazione del tetto all'indennità corrisposte ai lavoratori nei licenziamenti delle piccole e medie imprese, l’abrogazione parziale di norme in materia di apposizione del termine al contatto di lavoro subordinato e infine, l’abrogazione delle norme che escludono la responsabilità solidale dell’impresa appaltante o sub appaltante in caso di infortunio sul lavoro.
Questo risultato è stato ottenuto anche grazie all’introduzione di uno strumento essenziale per la democrazia, la piattaforma digitale di raccolta firme, che ha semplificato le procedure di promozione e raccolta firme dei referendum. Come è stato possibile vedere la piattaforma digitale ha risvegliato la partecipazione politica ed è stata utilizzata dagli stessi partiti politici che per lungo tempo, prima della sua messa in funzione, hanno svalutato il ruolo che poteva avere per la salute della democrazia.
Negli ultimi anni i tentativi di raccolta firme per referendum abrogativi sono stati fallimentari, i limiti alla promozione dei referendum erano tali per cui nessun comitato era più riuscito a raccogliere le 500.000 firme necessarie. Oggi invece abbiamo potuto osservare la rinascita di un istituto che per troppo tempo era stato abbandonato.
Verso una primavera di democrazia?
Il voto sui referendum sarà dunque in primavera: in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno. Sarà, si spera, una primavera di democrazia e partecipazione. Le belle notizie però finiscono qua. Negli ultimi anni i referendum, ad eccezione di quelli costituzionali promossi dal governo, non hanno mai raggiunto il quorum. Scenario simile è possibile anche per questa tornata referendaria, data l’assenza di uno dei referendum “più trainanti”, quello sull’autonomia differenziata.
Viene da chiedersi allora se l’istituto del referendum per come costituto oggi è davvero uno strumento a garanzia della partecipazione democratica.
I limiti strutturali del referendum in Italia
Primo limite tra tutti è sicuramente quello del raggiungimento del quorum del 50%+1 degli elettori. Il quorum è un artificio anti democratico che esiste solo in Italia. Con un Parlamento eletto dal 46% degli elettori si arriva a chiedere addirittura l’introduzione del primariato, con l’affluenza sotto il 50% si eleggono Presidenti di Regione, con il 48% degli elettori recatosi alle urne sono stati eletti i nostri ultimi europarlamentari, allora non è chiaro come solo su singole istanze referendarie si ricerchi ancora il quorum del 50%+1.
In più i referendum possono essere solo abrogativi, limite che fa si che il più delle volte i testi proposti sono dei taglia e cuci di leggi già scritte che inevitabilmente vengono dichiarati inammissibili dalla Corte per difetti nella scrittura del testo. In Svizzera per esempio la maggior parte delle conquiste le si sono raggiunte tramite referendum propositivi, che sarebbero utili anche in Italia per dare la possibilità ai cittadini di proporre invece che solo di eliminare.
Inoltre esistono tutta una serie di limiti temporali; non si possono promuovere referendum dopo il 30 settembre e non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere.
Da sempre poi, uno dei modi più efficaci per ostacolare un referendum è fissare la data del voto in momenti che scoraggiano la partecipazione, come durante le feste. Ancora oggi poi non è garantito il voto fuori sede per quei 5 milioni di abitanti che molto probabilmente non potranno tornare nel loro paese di residenza per votare i referendum.
Per non parlare poi di tutti gli ostacoli informativi che i comitati promotori riscontrano sia durante la campagna di raccolta firme che durante la campagna per l’approvazione del referendum. La televisione pubblica dovrebbe informare i cittadini della possibilità di andare a votare e sul contenuto dei referendum per stimolare la partecipazione democratica ma immancabilmente sfondare il muro dell’ informazione pubblica diventa sempre più difficile.
Una democrazia da ripensare
Questi ostacoli riflettono una crisi più ampia della democrazia italiana. La mancata elezione dei giudici costituzionali, unita ai limiti dei referendum e ad altre criticità istituzionali, evidenzia un sistema incapace di favorire una partecipazione reale.
Sorge allora una domanda inevitabile: chi governa ha davvero interesse a promuovere la democrazia partecipativa? O forse questi limiti strutturali sono funzionali a mantenere uno status quo in cui il popolo è sempre più lontano dal processo decisionale?
La primavera referendaria che ci attende potrebbe rappresentare un'occasione di riscatto per la partecipazione democratica, ma senza una riforma profonda dell'istituto referendario il rischio è che sia l'ennesima occasione persa.
Image Copyright: Il Fatto Quotidiano
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