di Andrea Pipponzi.
Scrivere di Medioevo ci mette di fronte ad un importante disclaimer iniziale, pronti a consultare le “istruzioni per l’uso”. Tanto più i mille anni dell’Età di mezzo vanno maneggiati con cura se si volesse parlare di sessualità. Se ciò che non sta al passo coi tempi viene oggi bollato come “medievale” sembra dunque chiaro, in quest’ottica pregiudizievole, che il sesso fosse un argomento tabù e che tutte le pratiche sessuali venissero considerate non solo immorali, ma anche peccaminose ed in qualche modo connesse alle tentazioni del Demonio. Quando si sente parlare di storia del sesso, il Medioevo non è sicuramente il primo collegamento che viene in mente. E se, al contrario, l’Età di mezzo fosse tutt’altro?
La sessualità, soprattutto per l’Alto medioevo, è purtroppo in buona parte sconosciuta, poiché salvo le produzioni letterarie o artistiche troppo pochi sono i documenti che ci permettano di ricostruire egregiamente la vita sotto le lenzuola dell’uomo medievale. Beninteso, questo non significa che non sappiamo nulla dell’epoca, bensì che tra quanto scritto e ciò che effettivamente avvennisse nella camera da letto passasse un’abissale differenza. Ad un’analisi storica più approfondita basata su fonti letterarie (dal roman de la rose alle novelle del Boccaccio), testi medici e teologici, il millennio medievale si rivela essere, contro ogni aspettativa, ben più disinvolto e libertino in ciò che riguardava la sessualità. A dimostrazione che, anche in una società condizionata e soggiogata dalla forte guida moralizzatrice della Chiesa, alla fine prevalse il piacere della disobbedienza e della trasgressione. Se è vero che la religione cristiana ha relegato l’amore fisico a mezzo della procreazione, è altrettanto corretto dire che il sesso nel Medioevo era pura quotidianità, considerato un dovere nella vita di coppia, il cui mancato o insoddisfacente adempimento era tra i pochissimi motivi accettati per richiedere lo scioglimento del matrimonio. Ed essendo un dovere, costituiva un diritto da parte del richiedente anche in caso di semplice soddisfacimento fisico. Il canonista Uguccione da Pisa si interrogò su quanto fosse lecito fare sesso per puro piacere, giungendo alla conclusione che l’appagamento fisico non costituisse un peccato così grave. Il piacere femminile, poi, veniva considerato come elemento indispensabile per una gravidanza e, di conseguenza, non trascurabile: secondo i principi medici dell’epoca, infatti, partendo dal dato che un uomo produce seme come risultato dell’orgasmo, altrettanto doveva accadere per gli ovuli della donna.
L’argomento è recentemente tornato in auge con l’uscita, nel 2012, del saggio Sexualités au Moyen Agedi di Jacques Rossiaud, dedicato proprio alla sessualità nel Medioevo, nel quale lo storico francese ha messo in luce abitudini e credenze dell’età medievale sotto le lenzuola, smontando contestualmente mendaci credenze e falsi miti che da sempre hanno messo in ombra l’Età di mezzo. Ebbene, la Chiesa aveva trovato modo di regolamentare anche il sesso. Eliminato tutto ciò che non portava ad una gravidanza, considerato peccaminoso e punibile anche con un anno di reclusione, fino al XII secolo la posizione consona, legale e idonea per la procreazione era considerata quella del “missionario”, accettando però atti sessuali in piedi e di lato, e da dietro solo per comprovate necessità fisiche e con una piccola penitenza preventiva. L’immaginario sessuale medievale, convinto che le posizioni devianti potessero provocare la collera di Dio, si ampliò di lì a breve, diventando via via più tollerante. Ma una posizione rimase inammissibile, la “cavalcata del Diavolo” (con la donna sopra, per intendersi). Ritenuta contraria al volere di Dio era fortemente condannata dai teologi, nonché – dal punto di vista medico – considerata pericolosa per la salute. Un dato che, probabilmente, risulta sorprendente, è che tale regolamentazione era così dettagliata anche per il fatto che il sesso costituiva parte attiva della vita del clero. Fatta eccezione per i monaci, legati al loro voto di castità, sia i preti che i chierici potevano sposarsi e avere figli, almeno fino alla Riforma morale della Chiesa dell’XI secolo. In seguito venne imposto ufficialmente il celibato, ma la possibilità di convivere con una donna, la cosiddetta “pretessa”, rimase un diritto non scritto fino al Concilio di Trento (1545), quando le regole della Chiesa riformata divennero estremamente più rigide dentro e fuori le istituzioni ecclesiastiche. Anche riguardo il concetto di verginità, la realtà dei fatti è diversa da quella che crediamo. Essere vergine era considerato il più alto stato di grazia, ma non costituiva un obbligo fisico-morale da rispettare sino al matrimonio. Negli ambienti nobili la verginità era un elemento di pregio nella dote della sposa, più perché una donna vergine non correva il rischio di essere già incinta di un altro e, quindi, di mettere al mondo una prole illegittima. A livello “popolare” il sesso pre-matrimoniale era ampiamente comune, costituendo tuttavia uno stigma sociale per le donne a causa delle gravidanze indesiderate, non sempre recuperabili tramite matrimoni riparatori. Si vennero sviluppando, quindi, metodi contraccettivi molto diffusi, fantasiosi e, naturalmente, inefficaci: amuleti, genuflessioni, infusi di lattuga ed iniezioni di acqua ghiacciata così da congelare lo sperma. Ma forse, dopotutto, insieme all’astinenza il miglior contraccettivo non poteva che essere uno solo: la cintura di castità. Secondo la leggenda i crociati, prima di partire per la Terra Santa, facevano indossare questa cintura alle loro mogli, cosicché rimanessero caste e fedeli sino al loro ritorno. Non solo non si potevano avere rapporti extra-matrimoniali, ma anche l’igiene intima ne veniva a soffrire, facendo scaturire drammatiche condizioni igieniche. Per la fortuna di queste donne, però, la cintura di castità non è mai esistita. Non si trovano lasciti arrivati fino a noi dal Medioevo, né si hanno tracce tra i documenti e le fonti letterarie ed iconografiche. La prima raffigurazione di questo oggetto è stata rinvenuta in un manoscritto satirico del XV secolo, narrante, in modo del tutto scherzoso, la storia dei mariti fiorentini che costringevano le loro mogli ad indossarle.
L’uomo medievale aveva anche precise linee guida sul numero di rapporti settimanali da consumare. A matrimonio avvenuto le regole del buon cristiano imponevano un calendario con giorni di astinenza programmati: niente sesso a Natale e a Pasqua, per la Pentecoste e per l’Assunzione, durante la gravidanza, l’allattamento ed i giorni del periodo mestruale. Gli storici hanno calcolato che i coniugi avevano circa 185 giorni all’anno per unirsi moralmente. E questi 185 giorni diminuivano sensibilmente qualora si decidesse di rispettare le raccomandazioni che invitavano ad evitare più di due rapporti settimanali. Superare questo limite avrebbe fatto peccare di lussuria, fatto accorciare la vita, condotto a sicura cecità e al lento declino di lucidità mentale.
Quando fare sesso?
Per l’umanista Platino «l’atto deve essere evitato quando uno è pieno di vino o di altri tipi di carne, […] quando si ha lo stomaco vuoto e si è molto affamati». «Il momento giusto per farlo» – risponde Platino – «è quando il cibo è stato quasi digerito, quando non si vuole dormire o fare qualcosa di diverso». Tuttavia, la scienza medica del tempo, basata sulla teoria del corpo umano e degli umori, metteva in guardia sull’eccessiva astinenza: la donna era considerata fredda ed umida, mentre l’uomo caldo e secco. Durante il sesso l’uomo perdeva un po’ del suo calore e la donna lo raffreddava. E se il troppo sesso poteva essere causa di un eccessivo raffreddamento che metteva in pericolo di vita, allo stesso modo la mancanza di sesso poteva indurre nell’uomo un eccesso di calore, causa scatenante di rabbia e di violenza. Per poter ovviare a questo problema, senza correre il rischio di corrompere le proprie mogli o, peggio ancora, soddisfarsi da soli, gli uomini medievali potevano rivolgersi alle prostitute, un «male necessario» – scrisse San Tommaso d’Aquino –, che esercitavano la propria professione nei bordelli cittadini. Un gran contraddittorio quello dell’astinenza, quindi, considerando che le case chiuse medievali erano aperte tutto l’anno, tranne il Venerdì Santo. Ma soprattutto, in certi termini, i bordelli divennero i pacificatori dei problemi matrimoniali sotto le lenzuola. Benché l’adulterio non fosse moralmente ammesso veniva lasciata all’uomo la libertà di sfogare le proprie pulsioni: fare sesso a pagamento non veniva infatti ritenuto tradimento, ragion per cui la prostituzione finì per essere ben accetta e regolamentata in tutte le città d’Europa. Come non ricordare, in ultimo, lo ius primae noctis, massima espressione della mercificazione femminile. Tale diritto riconosceva ai feudatari la possibilità di giacere con la sposa di un proprio suddito nella loro prima notte di nozze. Il servo della gleba, legato alla proprietà padronale della terra, dipendeva in ogni aspetto della propria vita dai voleri del signore. Che tali prerogative signorili (droit du seigneur) valicassero anche nel matrimonio è certo, limitandosi però a dover concedere egli stesso il benestare agli sposi e a riscuotere un tributo. Da qui, in Età moderna, venne inventata l’idea che si dovesse concedere al signore anche la propria donna. La storicità di questa credenza risulta essere del tutto falsa, senza una ben che minima prova. Non ci sono documenti attendibili in nessuna parte dell’Europa medievale, ed è difficile pensare che in una società moralmente vincolata alla Chiesa e al Cristianesimo fosse accettato un costume così mortificante.
Niente male, quindi, la vita sessuale per una società considerata bigotta, ma in realtà in continua tenzone tra ferree regole e quotidiane occasioni di trasgressione. Una società sessualmente contraddittoria, dove le imposizioni non costituivano di certo un termine assoluto da rispettare. Il sesso era un atto naturale, un vero «dono della creazione che solo gli ipocriti ignorano» (Guillaume de Conches, 1090-1154). È, dunque, un’epoca da riscoprire senza pregiudizi, specialmente nella quotidiana intimità. Definire "medievale" ciò che sembra troglodita per la contemporaneità? Un grosso errore.
BIBLIOGRAFIA:
Le Goff J., “L’uomo medievale”, Laterza, Bari, 1987
Rossiaud J., “Les sexualités au Moyen Age”, Gisserot, Paris, 2012
Senatore F., “Medioevo: istruzioni per l’uso”, Pearson, Milano, 2018
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