Tornano Tame Impala e Caparezza
- Koinè Journal

- 2 days ago
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di Antonio Bosco.
Prende il via Sound Atlas, la rubrica mensile di musica targata Koinè Journal, in cui il nostro esperto Antonio Bosco parlerà delle ultime novità musicali uscite su piazza!
Tame Impala – Deadbeat
Gli artisti che, al top della loro carriera, impongono un drastico cambio di rotta al loro sound (e, in generale, alla loro attitudine musicale) si trovano spesso di fronte a un bivio che può spaventare. Innovazione o inizio della caduta libera? Nella maggior parte dei casi, purtroppo, si tratta della seconda. E vedendo la tiepida (per usare un eufemismo) accoglienza che la critica internazionale ha riservato a Deadbeat (il portale Metascore quantifica un punteggio di 66/100) sembra che anche Kevin Parker, al secolo Tame Impala, possa avviarsi su quella strada. Tuttavia, il coraggio e la rottura degli schemi sono sicuramente meritevoli di attenzione, per questo abbiamo ritenuto opportuno consigliare, per il mese di novembre, l’ascolto di questo album.
L’album è uscito il 17 ottobre 2025 per la Columbia Records, anticipato dai singoli Loser, End of Summer e Dracula.
L’influenza dichiarata dall’artista è quella dei Bush Doof, ovvero dei rave all’aperto organizzati in Australia Occidentale; ritmi elettronici, cassa dritta e bassi che spesso si prendono la scena a discapito degli arrangiamenti stratificati a cui eravamo abituati, addirittura una strizzata d’occhio al reggaeton (Oblivion) sono caratteristiche che possono lasciare un attimo perplessi, se pensiamo a tutti i lavori precedenti. Album come Lonerism e Currents sembrano un lontano ricordo; qui abbiamo progressioni ripetitive e minimali, che cambiano lentamente, tant’è che alcuni brani richiamano in maniera evidente le strutture della techno/house che potremmo ballare nei locali (Not My World, Ethereal Connection, quest’ultima una vera e propria suite house/trance). Ciò nonostante, queste strutture non rendono affatto il prodotto plastico e asettico, tutt’altro: suona autentico, reale, sentito, soprattutto in brani come My Old Ways e Obsolete. Sono presenti anche immancabili richiami freschi all’electro-pop di metà anni ’80, che Parker gestisce con la sua solita maestria. Degna di nota è sicuramente il gioiello pop dell’album Piece of Heaven, su un delizioso letto orchestral-synth: il brano resta in testa per un po’.
Infine, impossibile non citare il singolo End of Summer, una progressione acid-house e contemporaneamente malinconica e trascinante, non il momento migliore dell’album, ma decisamente una degna chiusura del disco.
Anche dal punto di vista dei testi, il registro narrativo cambia completamente rispetto al passato. Le grandi cornici metaforiche, la profondità sul senso di esclusione e di solitudine, le riflessioni sul tempo e sui cambiamenti, qui scompaiono; lasciano il posto a considerazioni più concrete, materiali, sul senso di colpa, l’assenza nella vita dei figli, l’esclusione sociale volontaria, le vecchie abitudini che ritornano. A tutti gli effetti leggiamo un Parker più leggero e meno cervellotico, più prosaico e meno oppresso. Il tutto è pienamente coerente con il format dell’album, coronato da delle piccole chicche lasciate qua e là nelle tracce: parti di piano registrate in demo, esclamazioni, sussurri, errori, voci grezze. In conclusione, stiamo parlando di un lavoro che sceglie di sottrarre strati, di non dover per forza di cose inseguire una perfezione che in natura non esiste.
L’evoluzione è alla base del progetto Tame Impala da sempre, ma questo album porta il cambiamento più evidente, da un punto di vista strutturale, musicale, e d’intenti. Riteniamo che Parker sia stato guidato da una visione, che è uno degli aspetti più importanti nella pubblicazione di un lavoro, e la visione in questione è chiara, limpida e precisa. La linea tra incoerenza e varietà sonora è molto sottile, come lo è la linea tra inconsistenza e leggerezza.
Tame Impala, con Deadbeat, riesce in entrambi i casi a stare pienamente dalla parte giusta della linea.
Caparezza – Orbit Orbit
Dopo quattro anni, Caparezza torna finalmente con un lavoro pensato per essere ascoltato e riascoltato, vissuto in ogni aspetto. Quattordici brani in 61 minuti delineano un viaggio unitario, affiancato da un fumetto omonimo scritto dallo stesso Michele Salvemini per Sergio Bonelli Editore e presentato a Lucca Comics & Games 2025. Concettualmente è il terzo movimento di una traiettoria iniziata con Prisoner 709 (la prigionia) e proseguita con Exuvia (la fuga): Orbit Orbit esplora viaggio e libertà, usando lo spazio come metafora per prendere quota, guardare dall’alto e ricominciare a creare. Dopo l’annuncio del 2022 dello stop ai concerti per i problemi di acufene (poi accompagnato da ipoacusia), non tutti si aspettavano un ritorno discografico a breve: invece, per fortuna, il disco arriva come lavoro insieme personale e messo a fuoco, allontanando lo spettro di un possibile abbandono totale dell’artista della scena musicale.
Sul piano sonoro l’identità è netta: elettronica space/cosmic anni ’70 come spina dorsale, con riferimenti dichiarati (come quello esplicito ai Kraftwerk) e sample dei Rockets in A comic book saved my life. Il singolo Io sono il viaggio guarda al Moroder più pulsante, con un trattamento vocale vocoder/armonizer sul ritornello, timbrica poco frequentata in passato da Caparezza. C’è anche la prima cover su un album ufficiale, Il banditore, omaggio al compianto Enzo Del Re. Degna di nota anche Gli occhi della mente, che innesta un azzeccatissimo campionamento di Deliri di Gianni Morandi. Vocalmente e sul fronte della scrittura, Caparezza in questo album abbraccia la sua maturità abbandonando ogni velleità giovanile (concetto espresso anche nel testo di Come la musica elettronica): scompare la voce nasale tipica e riconoscibile dei primi dischi, il tono è più in chiaro e disteso; i giochi di parole restano, ma ridotti e funzionali, sostituiti da un lessico diretto senza tuttavia scadere mai nel banale.
Sul versante concettuale è probabilmente il suo album più coeso. Il dramma personale dell’acufene e dell’ipoacusia è la base su cui il percorso riflessivo è costruito, fino alla catarsi finale di Perlificat (espressa anche sul versante musicale grazie a un’orchestra di oltre 70 elementi). Il fumetto è visto come la scintilla che tiene viva la macchina del viaggio, cioè l’immaginazione: la già citata A comic book saved my life ne è il manifesto e il centro del disco. Servirebbe una recensione per ogni brano, se volessimo esplorare i testi in tutte le loro sfaccettature (come d’altronde sarebbe necessario per ogni album di Caparezza), quindi ci limiteremo a citare i punti salienti: Curiosity (Oltre il bagliore) è un inno all’esigenza della scoperta, sottolineata anche dalla voce dell’astronauta Maurizio Cheli, ed è uno dei brani in cui maggiormente rivediamo il Caparezza a cui siamo stati abituati fino ad album come Il sogno eretico o Museica; Orbit Orbit ricalca e continua ad esplorare temi personali e intimi, come già fatto con i precedenti Prisoner 709 e Exuvia. Un esempio importante su questo album è The NDE, nel quale l’esperienza di quasi-morte viene tematizzata in uno sguardo esterno, brutale e onesto, su sé stesso come artista/uomo. Pathosfera è una presa di coscienza sull’aver spento le proprie emozioni, con annesso attacco ai social e ai media che favoriscono quest’apatia. È un sincero invito a recuperare la propria empatia, e a “riconoscere sia il bello che il brutto”, come dichiarato dallo stesso autore.
È un album meno frenetico dei precedenti e chiede ascolto lento, rilassato e disteso. Qualcuno potrà percepire la voce talvolta meno esposta nel mix e la poca concessione a formati radiofonici; in cambio si guadagnano coerenza e continuità narrativa. Orbit Orbit suona allineato al punto in cui l’autore si trova oggi e, dentro la sua discografia, si colloca tra i lavori più compatti e dichiarativi. È il genio di Michele Salvemini che assume una nuova forma, appropriata e in linea con i tempi, un album necessario per chi ha sempre amato Caparezza, e un album fortemente consigliato per chi, invece, lo ha semplicemente apprezzato.






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