di Cosimo Bettoni.
La caduta di Costantinopoli è da sempre un argomento che in qualche modo ossessiona gli studiosi che hanno cercato di raccontarcela. La tentazione è quella di sostenere che questa fascinazione sia dovuta dalla comprensione che già gli stessi contemporanei la percepirono come un evento destinato a cambiare per sempre il corso della storia. E questo in qualche modo ci appare però come paradossale: se infatti tutti conoscevano la straordinaria importanza della città, perché nessuno Stato cristiano fece sforzi concreti per salvarla dagli Ottomani nel 1453? Questa è una domanda a cui si possono dare numerose risposte, ma che non elimina lo stupore nello scoprire che per il mondo culturale dell’Occidente fu più importante cercare di capire e dare un’interpretazione alla conquista della città piuttosto che salvarla o cercare di recuperarla.
Al di là della monumentale narrazione che è stata fatta dell’assedio esiste, dunque, anche una storia culturale della caduta di Bisanzio, destinata a giocare in Europa e nel mondo ottomano un ruolo assolutamente non di secondo piano.
Il 29 Maggio 1453 fu un giorno destinato a cambiare la storia di diverse aree del continente europeo, a partire da quella balcanica, sia da un punto di vista politico, sia soprattutto da uno culturale. L’ingresso dei Turchi in città causò la fine di una storia millenaria, ma paradossalmente esso permise al vero tesoro contenuto in essa, la cultura greca, tanto quella antica quanto quella medievale-bizantina, di fuoriuscire e riversarsi nel mondo occidentale, in primo luogo in Italia.
Costantinopoli è una città che ci conquista con il suo mito di città privata del suo vero nome. La sua esistenza è essa stessa fonte di ossessione, sentimento al quale non sfuggì nemmeno Dante quando rimproverava Costantino di aver volto ‘’l’aquila (ossia la sede dell’impero di Roma) contr’al corso del ciel’’ (Paradiso VI, vv. 1-2).
Orazione nell’orto (1455), Andrea Mantegna: sullo sfondo egli rappresenta Costantinopoli
Tra sogno e realtà: le profezie
Tra gli odierni storici bizantini vi è anche chi ha sostenuto che l’Impero sorto dopo la riconquista di Costantinopoli da parte di Michele VIII Paleologo nel 1261 non fosse in alcun modo il degno erede di quello frammentato a seguito della IV crociata. Privato dei suoi ‘’tratti divini’’ l’imperatore di Costantinopoli si sarebbe trasformato solo in uno dei tanti sovrani dei Balcani, non più un ‘’protetto da Dio, ma solo un mortale salito al trono’’ (Gallina 2021: 285). Se agli occhi dei contemporanei questo in qualche modo può anche risultare vero (l’Impero era effettivamente divenuto una compagine territoriale debole e incapace di imporsi sui nemici esterni), ciò non lo era in alcun modo agli occhi dei sovrani e degli stessi abitanti dell’Impero, i ‘’Romei’’*.
Come emerge dalle parole del patriarca Antonio IV in una lettera al granduca di Mosca Basilio I, che aveva affermato riguardo la situazione dei cristiani ortodossi: ‘’Abbiamo una chiesa, ma non abbiamo un imperatore’’ (Ostrogorsky 1968: 494). A queste severe parole, il patriarca rispose riaffermando la figura dell’imperatore come ‘’signore e regnante dell’ecumene’’ (Ferluga 1974: 130), e sostenendo l’inscindibilità del legame tra Chiesa ed Impero: ‘’Chiesa e Impero sono strettamente uniti [e formano] una comunità e non è possibile che siano separati l’una dall’altro’’ (Ferluga 1974: 131). Per quanto dunque decadente, l’Impero e la sua capitale rimanevano delle realtà politiche che da un punto di vista morale e religioso rimanevano di primissimo piano.
Riusciamo a comprendere ciò ancora meglio nel momento in cui ci approcciamo a quell’incredibile fonte storico-letteraria che sono le profezie sulla caduta di Costantinopoli, composte sia prima della capitolazione che dopo.
Come ha sottolineato brillantemente Agostino Pertusi, la figura del profeta si pone all’interno del mondo cristiano su un piano ‘’metastorico’’ (Pertusi 1988: 151), all’interno del quale la storia del mondo trova un suo significato trascendente e catartico, in quanto capace di inserire l’uomo all’interno di un processo universale.
Profezie sul ruolo cristiano dell’Impero all’interno dell’opera di Dio furono fatte sin dalla Tarda Antichità: lo stesso Sant’Agostino nella sua Città di Dio attribuiva all’Impero Romano il ruolo di agente ultraterreno. Nel corso del Medioevo furono poi prodotte ulteriori profezie sul destino di Bisanzio, riportate sia da cronisti occidentali come Goffredo di Villehardouin o l’anonimo autore della Cronaca di Morea, sia da importanti autori bizantini come Niceta Coniata.
Notevole successo ebbe nel mondo della cristianità orientale la Visio Danielis, della quale sono giunte sino a noi diverse versioni: alcune armene, una slava e ovviamente anche greche. Non dunque errando si è parlato di un vero e proprio genere, quello delle Visiones Danielis, al quale va iscritta anche la variante araba del racconto (Pertusi 1988: 36).
Il fatto che esista una versione araba della Visio non deve affatto stupire: il genere letterario della profezia, per molte fasi dell’età medievale, riscosse successo tanto nel mondo musulmano quanto in quello cristiano. Gli stessi Ottomani avevano delle loro profezie riguardo la conquista di Costantinopoli da parte del popolo di Maometto, un’acquisizione che trovava già un’eco all’interno del Corano quando si diceva che ‘’Eccellenti saranno l'emiro e l'armata che si impadroniranno di Costantinopoli’’ (Pertusi 1988: 29).
Più che sul senso di queste profezie però, è interessante approcciarsi ad esse con il fine di capire quale fossero le ragioni per cui esse godettero di così tanta fama e di una vita così lunga.
Una profezia risponde sostanzialmente a tre necessità: la prima è quella di "spiegare le cause di un presente dolore’’, la seconda quella di ‘’infondere la speranza di un futuro migliore o più giusto dell’oggi’’, e la terza quella di ‘’concatenare il «passato» e il «presente», quasi sempredi sofferenza,non solo con un «futuro migliore» più o meno vicino, ma anche con gli «ultimi tempi»...cioè con le sorti finali del mondo’’ (Pertusi 1988: 151).
Il senso dunque delle profezie riguardo il destino di Costantinopoli, e soprattutto di quelle che furono prodotte a seguito della conquista ottomana, risponde a questi tre fondamentali bisogni,
che operano come agenti della speranza di una comunità che spera in un domani migliore e di riscatto.
L’Anastasi, chiesa di San Salvatore in Chora, Istanbul
Una profezia molto celebre, che cominciò a circolare a seguito della conquista turca, agisce proprio in questa direzione: si tratta del racconto del ‘’μαρμαρωμένος βασιλιᾶς’’(‘’imperatore pietrificato’’). Secondo questa leggenda l’ultimo imperatore bizantino, Costantino XI Paleologo, non sarebbe stato ucciso nel corso dell’assalto decisivo dell’esercito ottomano, ma sarebbe stato portato in una grotta segreta della Porta d’Oro da un angelo, che lo avrebbe poi pietrificato ed in seguito lo avrebbe rianimato e armato, dandogli così la possibilità di riprendersi la città e di liberare il suo popolo.
Anche nelle opere dei testimoni dell’assedio, come Ducas ed il veneziano Niccolò Barbaro, si fa menzione di queste profezie, alcune divenute nei secoli anche molto famose. Tra tutte vale la pena ricordarne due: la prima è quella che narra di come Costantinopoli, fondata da un imperatore di nome Costantino (Costantino il Grande) la cui madre si chiamava Elena, sarebbe caduta sotto un imperatore di nome Costantino (Costantino XI) la cui madre si chiamava Elena (Cavina 2018: 26); la seconda invece chiama in causa una tabula datata all’epoca dell’imperatore Leone VI il Saggio (886-912 d.C.), in cui vi erano degli spazi in cui inserire i ritratti di tutti gli imperatori. Il ritratto del povero Costantino XI era inserito proprio nell’ultimo posto disponibile (Cavina 2018: 27).
La pervasività che questo tipo di narrazioni profetiche aveva all’interno della società bizantina è dimostrato ad esempio anche dal fatto che è possibile ritrovare il loro contenuto all’interno di un particolare tipo di genere letterario, quello dei lamenti di Costantinopoli (componimenti poetici scritti in una lingua vicina a quella del parlato), in cui è possibile ritrovare l’identificazione di Maometto II nell’Anticristo (Tissoni 2012: 303).
Il filone profetico riguardo la fine di Bisanzio ebbe vita anche al di là dell’area balcanico-mediorientale, arrivando sino alla Russia moscovita, ambito in cui fu prodotta la a Povest' o Car'grade (Racconto di Costantinopoli) di Nestore Iskinder. Quest’ultimo, rifacendosi al testo slavo della Visio Danielis, rilegge la profezia, in cui si parla di una ‘’stirpe bionda’’ capace di vincere l’Impero, rendendo i Russi gli eredi dell’universalismo ecumenico bizantino: ‘’La stirpe russa assieme ai precedenti fondatori vincerà tutti gli Ismaeliti, riconquisterà la città dei sette colli (Costantinopoli) con i possessori precedenti. Governeranno e reggeranno la città dei sette colli i Russi’’ (Pertusi 1988: 77).
Il testo di Nestor, composto verso la fine del XV secolo, sarebbe in seguito divenuto la base profetica per l’elaborazione dell’ideologica di Mosca come ‘’Terza Roma’’, posizione che venne espressa per la prima volta all’interno della Epistola del monaco Filofej del 1523:
A questo punto….diremo alcune poche parole sull’attuale impero ortodosso del luminosissimo nostro sovrano, che occupa l’altissimo trono, il quale su tutto l’orbe è unico imperatore dei cristiani e reggitore delle redini dei santi troni di Dio, della santa chiesa universale apostolica che, in luogo di quella romana e costantinopolitana, è nella città di Mosca salvata da Dio….tutti gli imperi cristiani sono giunti alla fine e si sono uniti nell’unico impero del nostro sovrano, secondo i libri dei profeti, cioè l’impero romano. Giacché due Rome sono cadute, ma la terza è salda, e non ce ne sarà una quarta (Cavina 2018: 44).
Mappa di Costantinopoli del 1442, opera di Cristoforo Buondelmonti
Profughi e superstiti: tra Rinascimento e odio per i Latini
I profughi bizantini più famosi furono senza dubbio coloro che contribuirono a riportare in vita in Occidente, da principio in Italia, la conoscenza del greco. Si tratta di personaggi giunti nella penisola al tempo del Concilio di Ferrara-Firenze (1438-1445), con il quale era stata sancita la riunificazione delle due Chiese.
Della delegazione bizantina facevano parte numerosi dotti e teologi, come Isidoro di Kiev, Gemisto Pletone, Giorgio Scolario, Giovanni Argiropulo e Basilio Bessarione. Alcuni di questi personaggi si fermarono a vivere in Italia, dove cominciarono ad insegnare il greco. Il caso più celebre è senza dubbio quello del Bessarione, ‘’l’ultimo bizantino’’ (Ronchey 2002), che in seguito sarebbe divenuto anche cardinale della Chiesa romana.
Meno nota è invece la vicenda di altri superstiti, come Isidoro di Kiev, il quale ci fornisce una preziosa descrizione dell’assedio ottomano: egli non solo fa menzione delle tattiche usate da Maometto II, ma ha premura anche di ricordare gli strumenti attraverso i quali egli è riuscito a far sua la città, ossia le ‘’macchine da getto, bombarde, catapulte’’ (Pertusi 1976: 69).
Isidoro, che era metropolita di Kiev e che aveva sostenuto con forza la riunificazione delle Chiese, scrisse una lettera in latino a papa Niccolò V (1447-1455) in cui, addolorato, lo informa della caduta di Costantinopoli, ma va anche ad incitarlo a riunire i sovrani dell’Occidente e invitarli a riprendersi la città, in quanto ‘’la vendetta di un così grave crimine è dovere di tutte le potenze cristiane’’ (Silvano 2013: 229).
Non tutti i profughi ebbero però con l’Occidente un rapporto positivo e di amicizia come Isidoro e Bessarione; vi fu infatti anche al contrario chi, come Giorgio Sfranze, amico sin dall’infanzia di Costantino XI e poi suo Mega Logoteta (capo della burocrazia), condannò l’atteggiamento dei Latini, colpevoli di non aver fatto nulla per salvare la città. L’amarezza di Sfranze caratterizza tutta la sua Cronaca, un’opera storica che tratta degli anni dal 1401 al 1477 e che compose dopo essere divenuto monaco con il nome di Gregorio.
Se in Isidoro di Kiev si poteva leggere la speranza di una futura riconquista cristiana di Bisanzio, al contrario Sfranze vuole mettere in chiaro le colpe dei potenti dell’Occidente: del doge di Venezia, che si è rifiutato di soccorrere gli assediati ‘’non per stoltezza...ma per malanimo e invidia’’ (Sfranze & Maisano 1990: 137); del papa, accusato di essere più interessato a far eleggere patriarca Isidoro di Kiev che della salvezza degli abitanti: ‘’si preoccuparono di aiutarci quanto il sultano del Cairo’’ (Sfranze & Maisano 1990: 137).
Costantinopoli al tramonto (dopo il 1850), Felix Ziém
L’odio nei confronti della Chiesa di Roma è un elemento che accomuna Giorgio Sfranze a coloro che decisero di rimanere a Costantinopoli anche dopo la conquista turca. Non deve stupire che i membri della chiesa ortodossa preferissero ‘’il turbante del sultano alla mitra papale’’ (Ostrogorsky 1968: 506), vividi erano infatti ancora i ricordi del tradimento del 1204 e delle atrocità causate dalla dominazione latina. Maometto II fu abilissimo nello sfruttare questa situazione a suo favore: uno dei primissimi atti compiuti come sovrano di Costantinopoli fu la scelta del nuovo patriarca, che fu individuato nella figura del teologo Gennadio Scolario, noto per la sua avversità nei confronti della Chiesa latina, che lo aveva portato a condannare l’unione delle due chiese, proclamata a Santa Sofia nel 1452 da Costantino XI. Questa profonda ostilità del mondo ortodosso per quello latino causò notevoli problemi anche allo stesso Isidoro, il quale anni prima era stato condannato come apostata dal Sinodo del clero ortodosso russo per aver sostenuto l’unificazione con Roma.
* Il termine Romei non è altro che la pronuncia in greco medievale del termine Ῥωμαῖοι, ossia il termine usato in greco antico per indicare i Romani, dei quali gli abitanti dell’Impero Bizantino si sentivano i legittimi eredi.
Bibliografia
-Cavina, M. (2018). Maometto papa e imperatore. Bari: Laterza.
-Congourdeau, M. H. (1988). La Chiesa bizantina dal 1274 al 1453, contenuto in di Mollat Du Jourdin M, (a cura di) & Vauchez A. (a cura di), Storia del cristianesimo. Religione, politica, cultura (V. 6). Un tempo di prove (1274-1449). Roma: Borla.
-Ferluga J. (1974). Bisanzio: società e stato. Firenze: Sansoni.
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-Iorga, N. (2017). Bisanzio dopo Bisanzio. Lecce: Argo
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-Lane, F. C. (2015). Storia di Venezia. Torino: Einaudi
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-Pertusi, A. (1976). La caduta di Costantinopoli (I). Le parole dei contemporanei. Milano: Mondadori, collana Fondazione Lorenzo Valla.
-Pertusi, A. (1976). La caduta di Costantinopoli (II). L’eco nel mondo. Milano: Mondadori, collana Fondazione Lorenzo Valla.
-Pertusi, A. & Morini, E. (1988). Fine di Bisanzio e fine del mondo. Significato e ruolo storico delle profezie sulla caduta di Costantinopoli in Oriente e in Occidente.Edizione postuma a cura Roma: Nuovi Studi Storici.
-Morrison, C. & A. Laiou. (2013). Il mondo bizantino V. III: Bisanzio e i suoi vicini (1201-1453). Torino: Einaudi.
-Ronchey, S. (2002). L’ultimo bizantino. Bessarione e gli ultimi regnanti di Bisanzio. Firenze: Leo S. Olschki Editore.
-Sfranze,G. & Maisano, R. (1990). Cronaca. Roma: Accademia Nazionale dei Lincei.
-Silvano, L. (2013). Per l’epistolario di Isidoro di Kiev: la lettera a papa Niccolò V del 6 luglio 1453, contenuto in Medioevo Greco V. 13 pp. 223-240. Alessandria: Editrice dall’Orso.
-Tissoni, F. (2012). Mille anni di poesia greca. Antologia dai secoli V-XV. Alessandria: Universitas,Edizioni dell’Orso.
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