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  • Writer's pictureKoinè Journal

Abbiamo socializzato la procreazione?


di Nicolò Crosta.


L’evoluzione della tecnica è andata da sempre modificando, sia in meglio che in peggio, le condizioni di vita dell’essere umano. Dall’invenzione della ruota fino a quella dell’internet, il mondo è gradualmente cambiato intorno a noi. Per quanto riguarda però la natura interna dell’uomo, a partire dalla fine del secolo scorso si è registrato un ritmo più accelerato nella diffusione della pervasività della tecnica, che oggi tocca nel profondo la stessa dimensione personale dell’individuo.

In particolare, nell’ambito della filiazione, questo scenario è segnato dall’ectogenesi. Il termine, coniato dal genetista britannico J.B.S. Haldane, designa la crescita di un organismo all'esterno del corpo in cui si sviluppa solitamente, cioè all'interno di un ambiente artificiale. Questa idea di una generazione che relativizza la dimensione fisica, aldilà delle svariate questioni filosofiche, pone un problema di carattere pratico, dal momento in cui la tecnica è in grado di realizzare ciò che un tempo poteva essere unicamente un progetto fantasioso.


Insomma, si assiste ad una apertura del possibile, su cui si possono innestare tutta una serie di conseguenze: a livello sociologico, interessa soprattutto l’impatto del fenomeno sulla genitorialità. Siamo infatti abituati a pensare alla filiazione in termini di bi-genitorialità: in questo senso, potremmo parlare di “genitori” solamente con riguardo ai due membri di una coppia eterosessuale i quali, attraverso l’unione dei rispettivi gameti, dànno luogo ad un concepimento. Tuttavia, ad oggi la tecnologia comporta la possibilità di situazioni di tipo poli-genitoriale: la genitorialità, dunque, se non altro dubitativamente, si può porre nei confronti di più persone. Prendiamo il caso di una fecondazione eterologa: si tratta della tecnica di procreazione medicalmente assistita cui si ricorre quando un membro di una coppia è sterile e, per arrivare a una gravidanza, occorre usare il gamete di un donatore. Sorge spontanea, in proposito, la questione della genitorialità: di chi è il figlio?


Dando peso alla volontà dei soggetti coinvolti, si direbbe che il donor si auto-esonera dalla responsabilità genitoriale, in cui subentra invece il membro della coppia che non ha messo a disposizione i propri gameti. Il dato naturale, tuttavia rimane. All’interno di tali situazioni, poi, si possono dare anche casi in cui la “bi-genitorialità volontaria” non implichi per forza una differenza di sesso, con tutto ciò che ne consegue.

A questo punto, è interessante soffermarsi su quella che è stata la reazione del diritto (in ambito legislativo e giurisprudenziale) a questo ribaltamento del “paradigma classico” della genitorialità e alle problematiche che si sono venute a creare.


La socializzazione della procreazione e il suo rapporto con l’adozione

L’apertura all’intervento di terzi che offre la possibilità della fecondazione eterologa porta la procreazione in un ambito che non è più soltanto quello privato, ma che sfocia nel sociale. Il fenomeno può quindi essere confrontato con l’adozione, anch’essa facente capo a una dimensione sociale della filiazione. L’adozione, però, è concepita nella tradizione italiana in un modo diverso rispetto a quello che può avvenire nell’ambito delle biotecnologie: l’istituto dell’adozione ha infatti lo scopo ovvio di procurare una famiglia a un bambino, risolvendo il problema dell’abbandono. Nel caso invece della procreazione assistita, non abbiamo a che fare con un problema da risolvere, ma è il fatto stesso che crea la “non-appartenenza” (quindi il problema): il genitore biologico viene esonerato dalla responsabilità e da lui acquistano la responsabilità altri soggetti.


Oltre alla posizione di questo problema, nel caso della procreazione di tipo eterologo vi è anche una esclusione degli strumenti per affrontarlo. Infatti, non vi è alcun tipo di procedura analoga a quella di cui all’Art. 22 della legge sull’adozione (l. 184/1983), volta al controllo dell’idoneità al compito genitoriale. Si tratta di un elemento di ambiguità perché da un lato, nel caso dell’adozione, si parte dall’assunto franco per cui sappiamo che il bambino non è della coppia adottiva e si pone il problema dell’idoneità dei genitori. Dall’altro, nel caso della procreazione eterologa, tutto si gioca dentro una qualche ambivalenza, perché il dato naturale della bi-genitorialità si combina con quello volontaristico del soggetto che non è biologicamente legato al nascituro.


La situazione in Italia a seguito della sent. 162/2014 Corte Cost.

Con la sent. 162/2014, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’Art. 4, l. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) nella parte in cui prevede il divieto della fecondazione eterologa. I riferimenti di cui alla Costituzione presenti nella sentenza sottendono una prospettiva che enfatizza la volontà dell’individuo di diventare genitore. Infatti, l’Art. 2 viene utilizzato come “contenitore” da cui trarre la possibilità di una auto-determinazione genitoriale, elevata a diritto inviolabile dell’individuo. In secondo luogo, utilizzando l’Art. 3 si insinua la possibilità di una discriminazione tra le coppie che possono permettersi la fecondazione eterologa all’estero (le quali, di fatto, aggirano il divieto) e quelle che rimangono in Italia. In ultimo, con il riferimento all’Art. 32 si introduce una “rilettura soggettivizzante” del diritto alla salute, implicando che la impossibilità di ricorrere alle tecniche di fecondazione eterologa si possa ripercuotere sulla salute della coppia. È quantomeno curioso, tuttavia, che non compaia per nulla l’Art. 30 Cost.: l’unico che si occupa espressamente del fenomeno della filiazione.


Questa apertura della Corte costituzionale alla fecondazione eterologa ha dato luogo a non poche conseguenze all’interno della giurisprudenza di merito. Ad esempio, la Corte di Cassazione (sent. 19599/2016) ha stabilito che, ai fini del diritto alla bigenitorialità, non avrebbe senso distinguere tra coppie eterosessuali od omosessuali. Nel caso di specie, si era resa possibile la trascrizione dell’atto di nascita estero (spagnolo) che attribuiva la genitorialità a due donne omosessuali, delle quali una aveva messo a disposizione gli ovuli e l’altra aveva portato a termine la gravidanza.


A questo punto, se volessimo fare un ulteriore confronto tra adozione e fecondazione eterologa, dovremmo registrare un altro elemento di distanza: infatti, mentre nell’adozione il bambino non viene affatto considerato come figlio genetico della coppia, nel caso della fecondazione eterologa questa franchezza non esiste; anche perché può realizzarsi in una misura che non è semplicemente quella dell’aut aut. Nel caso di cui sopra, ad esempio, si potrebbe considerare esistente un “legame genetico” del concepito con entrambe le donne, oltre che con il donor.

Tale sentenza, tuttavia, supera un ostacolo in maniera troppo leggera. Infatti, la stessa Corte costituzionale aveva stabilito che (a parte l’Art. 4, eliminato) il resto della l. 40/2004 rimanesse in vigore: la Cassazione sembra aver ignorato questo dato, dal momento in cui tralascia l’Art. 5 della suddetta legge, il quale prevede come criterio di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita la eterosessualità della coppia.


La Corte d’Appello di Trento e la giurisprudenza di merito di cui alla sent. 19599

Così, dalla sent. 19599 segue una giurisprudenza di merito che è ben rappresentata dalla sentenza della Corte d’Appello di Trento che ha ritenuto giuridicamente possibile ordinare all’anagrafe la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero che indicava come genitori entrambi i membri di una coppia omosessuale di sesso maschile. Questo sulla scorta del fatto che il bambino aveva vissuto con i due uomini per diversi anni, pur non avendo alcun legame biologico con uno dei due e pur essendo ancora vietato in Italia il ricorso alla pratica dell’utero in affitto.

Il fatto curioso, per quanto riguarda questa giurisprudenza, è che in Italia (un Paese di legge scritta) una norma desueta (come evidentemente la Corte ritiene essere l’Art. 5 l. 40/2004) potrebbe essere superata con una argomentazione coerente, non ignorandola. Si pone quindi un problema di legalità: le sentenze in questione, allora, potrebbero essere viste come esempi di strategic litigation. Si tratta di domande che vengono presentate in maniera strumentale per preparare il terreno ad una modifica di tipo legislativo.


L’ordinanza della Corte d’Appello di Trento, tuttavia, è stata oggetto di una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 12193/2019), che ne ha valutato la correttezza e la congruenza. C’è da tenere presente che, nel caso di specie (essendo la coppia costituita da due uomini), il bambino era nato tramite maternità surrogata (una pratica tuttora vietata in Italia) e non tramite fecondazione eterologa, come nel caso delle due donne del 2016. Per questo, la Cassazione rimprovera alla Corte d’Appello di essersi limitata a far proprie le enunciazioni di principio della sentenza n. 19599/2016, ritenendole suscettibili di automatica trasposizione alla fattispecie esaminata, senza tener conto delle differenze.

In particolare, nella maternità surrogata si realizza una situazione diametralmente opposta rispetto a quella del 2016: infatti, mentre con la fecondazione eterologa le due donne vogliono entrambe avere un “rapporto fisico” con il concepito, nel caso della maternità surrogata le due donne che intervengono (rispettivamente mettendo a disposizione i propri ovociti e il proprio utero per i due uomini) rinunciano a qualsiasi rapporto con il nascituro.


La c.d. regulatory competition

È chiaro che, nel momento in cui ci si reca all’estero per praticare la maternità surrogata, si sta violando la legge italiana. I tribunali svizzeri, in questo senso, parlano di “frodi alla legge”: non si tratta infatti di un utilizzo della possibilità della trascrizione degli atti di nascita formati all’estero nel senso e nella logica per cui questa possibilità era riconosciuta e pensata originariamente, ossia in chiave di agevolazione dell’immigrazione. Si tratta invece di “turismo procreativo”, con l’obiettivo (appunto) di eludere la normativa italiana.


Questa tendenza porta inevitabilmente ad un fenomeno di c.d. regulatory competition. Chiamata anche governance competitiva o concorrenza politica, la regulatory competition riguarda il desiderio dei legislatori di competere tra loro nei tipi di diritto offerti al fine di attrarre imprese o altri attori ad operare nella loro giurisdizione. Così, si vede bene “l’altra faccia della medaglia della globalizzazione”, che spesso va a creare problemi di legalità: in particolare, si pone la questione del legittimo interesse dello Stato quanto alla effettività delle sue leggi.


La quadratura del cerchio

Insomma, la quadratura del cerchio rispetto alla questione della socializzazione della procreazione risulta comunque molto difficile. Si contrappongono, da un lato, la tutela dell’interesse dei minori nati attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita o con l’utero in affitto; e dall’altro, la tutela del principio di legalità, essendo in ogni caso il giudice soggetto alla legge e ponendosi il fenomeno del turismo procreativo come una vera e propria frode a quest’ultima. Allora, da una parte non sembra corretto strumentalizzare i minori per violare la legge; d’altra parte, però, questi minori sono già venuti alla luce, e in quanto tali vanno tutelati.

Urge dunque un intervento legislativo in materia, coerente con una sensibilità più evoluta della società attuale verso tali problematiche. Le sentenze di cui sopra, infatti, costituiscono un tentativo di superare i limiti imposti dalla legge. Quest’ultima, però, dal momento in cui esiste non può essere ignorata.


Attendendo una tale riforma, occorre disincentivare le suddette frodi alla legge; pur consentendo, (nei casi in cui comunque queste si siano verificate) di tutelare l’interesse dei minori. Questo perché a presente, mentre è sancito in Costituzione (all’Art. 30) il diritto del bambino ad avere una famiglia, non vi è invece alcuna disposizione (nonostante i tentativi di estrarla dall’Art. 2 Cost.) che tuteli il diritto dell’individuo alla genitorialità.










Bibliografia:

-La filiazione e le sue forme: la prospettiva giuridica; Andrea Nicolussi.

-Quotidiano Giuridico, 2014 nota di CARBONE (cfr. sentenza 162/2014 corte cost).

-Corriere Giur., 2017 nota di FERRANDO (cfr. sent. 19599/2016 cass).

-CED Cassazione, 2019.

-Famiglia e Diritto, 2019, 7, 653, nota di DOGLIOTTI, FERRANDO.

-Corriere Giur., 2019, 7, 1001.

-Nuova Giur. Civ., 2019, 4, 741, nota di SALANITRO.

-Sito Il caso.it, 2019.

-Corriere Giur., 2019, 10, 1198, nota di GIUNCHEDI, WINKLER.

-Giur. It., 2020, 3, 543, nota di VALONGO.

-Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2020, 2, 369.

-Giur. It., 2020, 7, 1623, nota di SALVI.









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