di Tommaso Di Ruzza.
In questi ultimi tempi sembriamo esportare armi e democrazia apparente, non esattamente un’ottima accoppiata se si ripensa ai tempi dell’Atene di Solone. Ma torniamo nel 2023.
C’è veramente da chiedersi se il parallelismo storico e la contingenza fattuale di tali fenomeni siano casuali o invece legati a costanti socioeconomiche e di oblio delle coscienze collettive, fattori spesso ricorrenti in periodi di crisi, a maggior ragione se si parla di comunità socialmente inconsistenti come quella italiana.
A questo punto la domanda che ne consegue è se la nostra società abbia strumenti oltre che risorse intellettuali ed etiche sufficienti ad uscire da questo pericoloso avvitamento di diritti, libertà e coscienza critica collettiva.
Potremmo sembrare eccessivamente pessimisti, ma la situazione in Ucraina è ogni giorno più tragica, e non solo per gli effetti del conflitto in sé, ma anche e soprattutto per via di tutta una serie di dinamiche e situazioni che contornano la guerra iniziata il 24 febbraio 2022 ma che, come sappiamo, persisteva attivamente già dal 2014.
Gli effetti collaterali di questo conflitto infatti, oltre a riverberarsi su tutta l’Europa, Italia in Pole Position, non sono soltanto economici. E’ come se ci fosse stato, ed è in parte ancora in atto, un mutamento etico radicale nella considerazione di fenomeni come la produzione di armi, o più in generale la risoluzione delle controversie internazionali.
Si insomma, fino a due anni fa sventolare la bandiera con la scritta “Pace” nelle piazze ti associava ai pacifisti, tant’è che anche tra forze politiche che oggi fanno colazione con brioche e AK-47 la cosa andava di moda. Ora soltanto a nominare la bestemmia che è diventata la parola Pace, possiamo ritenerci fortunati se nei nostri confronti viene solo richiesta una inchiesta dei servizi per accertare di non essere finanziati da Putin.
Effetti collaterali sono purtroppo anche la marea di conflitti di interesse che oggi fioriscono tra politica e settore militare industriale; un settore che non solo in USA ma anche in Italia sta fiorendo, anche se attenti a festeggiare, gli extraprofitti provenienti da bombe, mitragliatori semiautomatici e mezzi blindati difficilmente contribuiranno ad abbassare l’inflazione galoppante o a creare condizioni economiche vantaggiose per il nostro paese. Prima gli affari, poi il resto!
Lo vediamo, tanto per fare un esempio, dando uno sguardo ai dati riportati dallo Stockholm International Peace Research Institute, che parla di un aumento dei budget per la difesa di circa 127 miliardi di euro. Si pensi solo che per gestire i danni derivanti dal cambiamento climatico ogni anno, occorrono circa 100 miliardi, ma come già detto, prima gli affari! Ovviamente in cima alla classifica, con un +39% di spesa troviamo il free world, gli USA; a seguire ma con un incremento pari a un terzo di quello americano, cioè con un +13% troviamo la Cina, mentre al terzo posto la Russia di Putin. Ovviamente è giusto ricordare anche un altro fatto che ci coinvolge da vicino, e che riguarda l’alleanza militare e strategico “difensiva” di cui facciamo parte. Il 55% della spesa globale in armi infatti è da ricondursi nientemeno che alla NATO. Prima gli affari!
E’ proprio in questi tempi dunque, che assistiamo ad un aumento spaventoso del bussiness che fa capo agli armamenti, dopo che al termine della Guerra Fredda la spesa militare delle nazioni NATO si era fortemente ridotta e si era adattata più che altro a un investimento tipico delle missioni di pace e di mantenimento di status quo strategici nelle zone calde del mondo, quella Caoslandia insomma, per dirla utilizzando le parole di Limes.
Ma il paese NATO, e dunque Europeo, che sta letteralmente costruendo uno degli eserciti più potenti e meglio attrezzati del mondo è la Polonia. La sua posizione strategica in ottica di scontro con la Russia, ed ancor di più la sua storia di forte e praticamente perenne conflitto con il gigante al di là degli Urali infatti, ne ha imposto a partire dal crollo dell’Unione Sovietica lo status di prima linea di fuoco contro i Russi.
E i Polacchi sembrano disposti ad arrivare in capo al mondo pur di rimediare la tecnologia necessaria a fare del loro paese in mille settori poco sviluppato, una potenza militare degna di giocare un ruolo da protagonista in un potenziale conflitto contro i Russi. Si pensi solo al fatto che il governo di Varsavia sia arrivato addirittura in Sudcorea, dalla Hyundai Rotem, stipulando con l’azienda un accordo che parrebbe avere ad oggetto la fornitura di circa 1000 carri armati K-2 Black Panter2. Ancora affari, ancora armi, ancora corsa si, ma corsa alla guerra. E l’Italia? Pensavate che il nostro paese in termini di investimenti sulle armi rimanesse lì a guardare? Ma suvvia! Eccovi serviti miei cari!
Sembra infatti che invece di corsa allo spazio, come negli anni 50 e 60 del secolo scorso, oggi sia iniziata la corsa agli abissi. E a giudicare dall’impegno del nostro paese, che investe sempre di più in tecnologie e armi utili in fondo al mare, sembrerebbe proprio che il prossimo scenario di confronto tra paesi e tra potenze globali possa essere quello marino, con al centro la cosiddetta Blue Economy. Il governo Meloni infatti, ha dato vita al Polo della subacquea, un’arena in cui settore pubblico e privato svolgono attività sotto la supervisione anche della Marina Militare. Ad oggi non ci sono nemmeno informazioni dettagliate che ci aiutino a capire come questo polo venga finanziato, fatto sta che sembrerebbero essere stati stanziati circa 2 milioni di euro all’anno per questo progetto, come si può verificare dall’ultima legge di bilancio. Ancora soldi in pasto alle porte girevoli tra politica e industria militare a quanto pare..
E non è finita qui. Avete presente la ormai sempre più discussa intelligenza artificiale? Si insomma quella a cui Elon Musk non perde occasione di fare pessima pubblicità definendola addirittura più pericolosa del nucleare. Ecco, pare che anche in questo settore si voglia iniziare a procedere ben più speditamente di quanto si sia fatto fino ad oggi, come si capisce anche dalle dichiarazioni del sottosegretario alla difesa Matteo Perego di Cremnago, che infatti non ha perso occasione per auspicare un’ accelerazione nell’ambito della costruzione di droni, tecnologia sensoristica avanzata, boe e veicoli senza pilota.
Tutto questo e molto altro ancora, dovrebbe spingerci a riflettere attentamente su quelle che sono le nostre attitudini nei confronti non semplicemente della produzione di armi, ma sul modo di stare al mondo come nazione. L’italia è infatti dal punto di vista geopolitico risaputamente parte della sfera di influenza statunitense. Questo vale praticamente per ogni tipo di settore, partendo da quello politico, passando per quello dei processi di produzione, arrivando a quello culturale. Non sarebbe realistico quindi pensare che non sia così anche per il settore militare industriale, settore in cui all’Italia non è permesso nessun tipo di autonomia che non sia quella concessa dalla superpotenza mondiale alla quale il nostro paese è affiliata in un rapporto di più o meno reciproca collaborazione, ovvero gli USA.
A tutto questo si affianca quella che anche secondo le opposizioni presenti attualmente in parlamento sembrerebbe essere una incapacità italiana di farsi coinvolgere in maniera attiva piuttosto che passiva come al solito nelle vicende politiche europee e mondiali, visto che non dovremmo dimenticarci che l’Italia fa parte sia del G8 che del G7.
Insomma, tra armi e affari pericolosi e mancanza di visione geopolitica, rischiamo davvero di essere risucchiati nel buco nero del ridimensionamento politico all’interno della comunità internazionale se non ci impegnamo attivamente nel proporre una linea decisa e concreta, soprattutto riguardo le problematiche che affliggono nel cuore l’Europa, e che quindi, affari sulle armi o meno, bussano anche alla nostra porta.
Staremo a vedere, sperando che magari le armi rimangano la scelta inoperata dopo il dialogo.
Image Copyright: La Repubblica
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