di Davide Cocetti.
Il 27 novembre 2011 Silvio Berlusconi rassegna le dimissioni dalla carica di Presidente del Consiglio, chiudendo ufficialmente quella che a oggi rimane la sua ultima esperienza come capo del Governo. A dieci anni da quella cesura, è possibile provare a tracciare un bilancio storico dell’impatto berlusconiano sulla società italiana. Un bilancio che deve necessariamente porre in primo piano l’aspetto comunicativo: il processo di costruzione dell’immagine, del personaggio e del linguaggio di Berlusconi ha rivoluzionato gli stilemi della politica italiana e continua a fare scuola ancora oggi.
La costruzione dell’impero mediatico
Sarebbe a dir poco limitante focalizzare l’analisi esclusivamente sul ventennio di protagonismo politico di Berlusconi. Il suo predominio in ambito comunicativo si consolida ben prima del fatidico 26 gennaio 1994, data in cui il futuro premier italiano annuncia al Paese la sua discesa in campo. È nella seconda metà degli anni Settanta che Berlusconi, già imprenditore di successo nel settore dell’edilizia, muove i suoi primi passi nel mondo dell’editoria e delle telecomunicazioni. La fondazione di Fininvest (1975) rappresenta l’evento spartiacque in tal senso. Tramite la società per azioni da lui controllata, Berlusconi acquisisce nell’ordine Telemilano (poi ribattezzata Canale 5), Rete 4 e Italia Uno, cementando il polo televisivo Mediaset. Di fronte a una legislazione che teoricamente sancisce il monopolio della Rai sulla trasmissione in ambito nazionale, ma all’atto pratico lascia parecchi margini di manovra, Fininvest costruisce una vasta rete di emittenti locali che trasmettono contemporaneamente la stessa programmazione. Questo aggiramento delle regole non passa inosservato: nell’ottobre 1984 i pretori di Torino, Pescara e Roma denunciano l’incostituzionalità delle reti di Mediaset e optano per oscurarle. In quell’occasione è il governo presieduto da Bettino Craxi, amico di lunga data di Berlusconi, a dare una grossa mano a Silvio. Il leader del Partito Socialista Italiano pone la questione di fiducia su un decreto che permetta alle reti Fininvest di continuare a trasmettere sul territorio nazionale.
L’atto, non a caso passato alla storia come Decreto Berlusconi, rompe il monopolio esercitato per decenni dalla Rai nel campo delle telecomunicazioni e dà vita a un duopolio tra televisione pubblica e televisione privata berlusconiana che durerà per oltre vent’anni. Berlusconi, però, non si limita a fare tv. Al contrario, impone una vera e propria egemonia culturale attraverso i programmi che trasmette e l’intrattenimento che offre a un pubblico sempre maggiore. Le tre reti private edificano un palinsesto integrato per venire incontro ai gusti delle diverse fasce di spettatori: Canale 5 si rivolge a un pubblico più generalista, mentre Rete 4 punta esplicitamente sull’audience femminile e Italia 1 si propone come uno spazio più “giovane”. La trasmissione di soap operas statunitensi e sudamericane, cartoni animati giapponesi e programmi di intrattenimento leggerissimo prodotti “in casa” contribuisce a riplasmare gli orizzonti culturali del Paese, soppiantando il modello di tv pedagogica proposto fino ad allora dalla Rai.
L’azione di Berlusconi, però, non si limita al piccolo schermo. Nell’ambito dell’editoria diviene azionista di riferimento della testata il Giornale, ma soprattutto acquisisce la maggioranza di Mondadori nel 1990. Attraverso il gruppo Fininvest ricopre un ruolo di rilievo nella società di distribuzione filmografica Penta Film, da cui poi fuoriuscirà Medusa Film. Soprattutto, controlla il grande traffico di pubblicità commerciale sulle sue reti grazie alla concessionaria Publitalia ’80. La maestria in campo promozionale di Berlusconi e del suo braccio destro Marcello Dell’Utri (che gli subentra alla presidenza di Publitalia) sarà uno degli elementi di traino delle campagne di propaganda di Forza Italia, al punto che i commentatori italiani ed esteri parleranno di tele-partito.
L’irruzione sulla scena politica
Se una particolare congiunzione di fattori politici e burocratici (il sostegno di Craxi, l’assenza di una legislazione chiara) ha favorito l’edificazione e il consolidamento dell’impero mediatico di Fininvest negli anni Ottanta, un’ancor più eccezionale coincidenza di circostanze ambientali ha preparato il terreno per l’ingresso di Berlusconi nell’arena politica. Comprendere il 1994 sarebbe impossibile senza chiarire quanto accaduto negli anni precedenti, con lo scandalo “Mani pulite” che fa letteralmente tabula rasa del sistema di partiti che aveva retto l’Italia per quasi mezzo secolo, un periodo passato alla storia come Prima Repubblica. Se la sinistra, pur duramente colpita dal trauma del crollo dell’URSS e attraversata dalla frattura tra Partito democratico della sinistra e Partito della rifondazione comunista, riesce a mantenere un minimo di continuità rispetto al pre-Tangentopoli, a destra si viene a creare un vero e proprio vuoto istituzionale. Ciò che forse è ancor più importante, però, è la sfiducia generale della cittadinanza italiana nei confronti di un sistema ormai identificato come corrotto e marcio dall’interno.
Berlusconi, ancora una volta, sa essere al posto giusto nel momento giusto. Soprattutto, si rivela in grado di interpretare il personaggio che gli italiani stanno cercando. Così la sua discesa in campo a soli due mesi dalle elezioni, che poteva essere giudicata come avventata o scriteriata, diviene quasi un segno della Provvidenza divina: l’imprenditore di successo che, abbandonate (almeno formalmente) le sue cariche sociali e quindi la sua comfort zone, decide di tuffarsi nell’insidioso oceano della politica per dedizione al Paese che ama e ai suoi valori. Quegli stessi valori di ispirazione cattolica che già erano stati sbandierati dalla Democrazia Cristiana e che rappresentano l’ultimo baluardo di resistenza alla minaccia rossa, dipinta non meno vividamente di quanto accadesse durante la guerra fredda. Il Paese rischia di essere «governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare».
Berlusconi è conscio di esporsi al giudizio di milioni di italiani che non nutrono più alcuna fiducia nella politica tradizionale, pertanto costruisce il suo personaggio e il suo partito in maniera assolutamente antitetica rispetto alle esperienze che lo hanno preceduto. La distanza si marca innanzitutto nel linguaggio: la retorica ostica e pedagogica dei vecchi partiti viene rimpiazzata da una comunicazione più agile e snella, ricca di slogan e di metafore, per nulla dissimile da quella adottata dalle pubblicità commerciali. Berlusconi non entra in politica, scende in campo; non porta avanti una campagna elettorale, si impegna in una battaglia. Sono distinzioni che possono apparire superficiali, ma contribuiscono a mandare un messaggio più diretto e personale al potenziale elettore.
«Meno male che Silvio c’è!». Forza Italia, un partito ad personam
Berlusconi, come detto, entra in politica da imprenditore già affermato e su questo fa leva. Perché un elettore dovrebbe scegliere Berlusconi? Perché ha dimostrato di saper fare grandi cose nel privato e ora è pronto a mettere a disposizione le sue capacità nel pubblico. I suoi successi parlano per lui e testimoniano un’esperienza, soprattutto all’atto pratico (la cosiddetta politica del fare), che nessuno dei suoi rivali può neppure lontanamente pareggiare. Ne consegue che il fulcro delle politiche berlusconiane non può che essere Berlusconi stesso, la sua vita e le sue opere. La predominanza del partito, tipica della Prima Repubblica, cede il passo all’estremizzazione del protagonismo del leader. Un processo già avviato in Italia dal fido Craxi, che a sua volta aveva riplasmato a sua immagine e somiglianza il Partito Socialista Italiano, e che ricorda da vicino l’arena politica francese e statunitense.
Berlusconi non ha saputo solamente adattarsi alla perfezione alle logiche di personalizzazione della politica, ma, attraverso le sue reti private, ha contribuito attivamente alla loro formulazione. Proprio le reti Mediaset, durante gli anni Novanta, hanno avuto un ruolo cruciale nella spettacolarizzazione del dibattito pubblico. I talk show e i programmi di informazione politica che proliferano in questo contesto rinunciano a priori all’organicità dei contenuti, difficilmente adeguabile alle rigide tempistiche della tv commerciale. Ben più adatto al formato televisivo è invece il dibattito, che diventa inevitabilmente confronto (e spesso scontro acceso) tra personalità piuttosto che tra idee. Con l’avvento di Berlusconi sulla scena pubblica, le tv si popolano di schiere di giornalisti, funzionari di partito e opinionisti pronti a difenderlo o a screditarlo, a seconda della loro posizione politica. La semplificazione del confronto pubblico porta a identificare e sovrapporre perfettamente Berlusconi e Forza Italia, mentre gli altri iscritti al movimento non sono che alfieri pronti a difendere il loro leader qualora necessario.
Il capolavoro del cesarismo berlusconiano, inteso come supremazia assoluta di Silvio sulla sua creatura-partito, è senza ombra di dubbio il fascicolo Una storia italiana, distribuito per posta a tutte le famiglie italiane in occasione della campagna elettorale del 2001. Si tratta di un resoconto dettagliato e ricco di illustrazioni della vita e dei traguardi di Berlusconi. Siamo al non plus ultra della personalizzazione politica: privato e pubblico si intrecciano senza soluzione di continuità, nella celebrazione più assoluta di ogni aspetto del personaggio Berlusconi.
Tutti i volti del presidente
Vent’anni di protagonismo politico berlusconiano non sono certo affrontabili come se si parlasse di un blocco unico, monolitico. Durante quest’arco di tempo si sono succeduti numerosi cambiamenti politici, sociali, culturali. Giusto per citare la trasformazione più evidente: nel 2009 Forza Italia ha cambiato nome in Popolo della Libertà, inglobando Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini e numerosi altri partiti minori alleati di governo, salvo poi rilanciarsi con la denominazione originaria nel 2013. Le contingenze hanno costretto anche il personaggio Berlusconi a reinventarsi più e più volte, cercando comunque di mantenere un minimo grado di coerenza.
Il Berlusconi che scende in campo nel 1994 è prima di tutto un imprenditore di successo e un padre di famiglia, un modello in cui nessuno si può identificare a pieno per via degli impareggiabili traguardi raggiunti, ma a cui tantissimi aspirano. Nel già citato messaggio televisivo con cui annuncia la sua entrata in politica, entrambe le dimensioni sono visivamente poste in rilievo: il filmato è girato nell’ufficio di Berlusconi, mentre dietro la sua figura si possono nitidamente distinguere alcune foto di famiglia. Difficilmente questi aspetti verranno a mancare nelle varie rappresentazioni del personaggio Berlusconi. Certo, risulterà difficile difendere l’immagine del “Silvio casa e lavoro” dopo il 2009, anno del divorzio da Veronica Lario e dell’esplosione dei diversi scandali sessuali in cui il premier risulta coinvolto. La macchina propagandistica di Berlusconi si dimostra però abile a contenere i possibili danni di immagine derivanti da queste rivelazioni, cercando di lasciare in secondo piano i dettagli più scabrosi. Il ritratto che ne risulta appare abbastanza sfocato, ma si imprime indelebilmente nell’immaginario collettivo: Berlusconi come una sorta di Hugh Hefner italiano, attorniato da giovani ragazze descritte più come aspiranti veline che non come escort retribuite, ospitate nelle sue lussuose ville. Laddove non si può nascondere l’evidenza, la si smorza con la goliardia. E la famiglia? Mentre l’ormai ex consorte viene pubblicamente screditata e accusata di ipocrisia dalla stampa più marcatamente berlusconiana, il successo dei figli diviene il leitmotiv della narrazione del “Silvio privato”.
È impossibile elencare tutte le rappresentazioni e i volti del personaggio Berlusconi. Vale però la pena sottolineare l’eccezionale dinamismo berlusconiano che connota la gestione del tragico terremoto de L’Aquila, poiché si tratta di un vero e proprio capolavoro mediatico in uno dei momenti più difficili per l’immagine pubblica dell’allora premier. Gli scandali e le controversie passano in secondo piano di fronte all’attivismo di Berlusconi nell’occasione. Il capo del Governo si reca di persona più e più volte nelle zone terremotate; proclama, promette e attua provvedimenti straordinari; vede riconfermata la tacita fiducia, se non l’aperto consenso, di un’ampia fetta della cittadinanza. Alle elezioni europee del giugno 2009 il Popolo della Libertà stravince, conquistando il 35,3% dei voti (quasi dieci punti percentuali in più rispetto al Partito Democratico secondo).
Un’eredità complessa
L’era del protagonismo berlusconiano sembra oggi conclusa. Forza Italia mantiene percentuali più che dignitose, ma ben distanti dai fasti dei tempi andati. Il testimone di guida del polo di destra è passato a Matteo Salvini e alla sua Lega, oggi speronati dall’incredibile ascesa di Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia. Berlusconi appare invece relegato a un ruolo marginale, per quanto non del tutto trascurabile. Si possono individuare diverse ragioni alla base di questo inesorabile declino. Innanzitutto, Berlusconi è stato incandidabile per incarichi pubblici dal 2014 al 2019, a causa della condanna della Cassazione per frode fiscale e delle norme disposte dalla legge Severino. Cinque lunghi anni di assenza, durante i quali Forza Italia non ha potuto disporre di una guida altrettanto carismatica. Secondariamente, Berlusconi sembra aver fallito nella transizione mediatica dalla tv al web. Il confronto sulla base di followers e interazioni tra i profili social dei leader dei partiti di destra delinea uno scenario impietoso per l’ex premier, che si ritrova surclassato dai competitors della sua ala politica.
Salvini e Meloni possono aver scavalcato Berlusconi, ma rimangono enormemente debitori della sua lezione propagandistica e comunicativa. Lo stesso vale anche per altre figure di rilievo dello scacchiere politico, come Matteo Renzi e Beppe Grillo. La semplificazione del linguaggio e dei contenuti della politica e la capacità di reinventare continuamente il proprio personaggio in una sorta di campagna elettorale perenne sono due elementi ricorrenti da destra a sinistra. Il protagonismo dei leader a scapito del partito è tuttora una realtà indiscussa. Chi non si attiene a queste linee guida dettate da Berlusconi ormai venticinque anni fa rischia di scivolare nelle retrovie del dibattito pubblico. La rivoluzione comunicativa berlusconiana rimane a oggi un processo irreversibile, con cui è impossibile non fare i conti.
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