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  • Writer's pictureKoinè Journal

Dal Covid al Colle. Koinè intervista Flavio Zanonato


di Luca Simone. Partirei subito con un argomento di stretta attualità, ovvero la lotta al covid. Siamo nel pieno della quarta ondata e si intravedono all’orizzonte alcune nuove restrizioni. Molte regioni, (Marche, Veneto, Valle d’Aosta, Friuli) vivono una situazione già critica, nonostante il varo il 6 dicembre scorso del Super Green Pass. La platea No-Vax pero, sembra essersi rafforzata e stretta attorno ad una spina dorsale dogmatica e intransigente. Secondo lei, la “strada frontale” intrapresa dal governo è la soluzione migliore? O forse si sono fatti errori di comunicazione talmente irreparabili nei mesi precedenti che si tratta ora dell’unica via possibile, con un dialogo ormai sotterrato come opzione?

La prima considerazione che mi sento di fare, è che si tratta di un fenomeno mondiale e non soltanto italiano; non esiste un solo paese in cui non esista una “opposizione” al vaccino che si nutre delle argomentazioni più varie, la cui principale sembra essere il fatto che si tratterebbe di un vaccino sperimentale. Vorrei ricordare che sono state somministrate dosi a circa 4 miliardi di persone, non credo francamente che esista un farmaco o un vaccino più sperimentato di questo nella storia dell’umanità. Non si tratta neppure però, di un fenomeno nuovo. Anche ai tempi del vaiolo ci furono movimenti simili, e questo mi porta a pensare che esista una frangia all’interno della storia umana, che decide di mettersi in contrapposizione alla scienza e non accetta ragioni. Mi viene in mente un altro fenomeno più lontano nei secoli che è quello del luddismo, con la tecnologia distrutta materialmente per paura. E si tratta peraltro di un fenomeno che prescinde la cultura e la possibilità di accedervi, visto che abbiamo personaggi di una certa caratura intellettuale come Cacciari o Freccero che ad oggi sono schierati su posizioni No Vax e No Green Pass. Per inquadrare questo fenomeno bisogna perciò conoscere storicamente la sua diffusione nel corso delle varie epoche, che nonostante avessero ognuna il suo standard di pensiero e di società civile, hanno conosciuto movimenti analoghi dettati dalla più profonda irrazionalità, basti ricordare, tanto per fare un altro esempio la “Storia della colonna infame” del Manzoni, ambientata durante la peste del 600’.

Seconda questione: l’Italia mi sembra abbia raggiunto risultati abbastanza buoni senza dover ricorrere all’obbligo vaccinale, suscitando l’ammirazione della Merkel e il plauso dell’UE. Bisogna comunque cercare ancora di spingere questa sorta di fronda radicale a vaccinarsi, proibendogli se necessario l’accesso alla vita civile in quanto a tutti gli effetti strumenti di trasmissione del virus che minacciano tutto il resto della società. Le restrizioni previste da queste misure che stiamo vedendo applicate in questi giorni sono infatti secondo me un buon provvedimento. Non sono però d’accordo sulla loro “forza” numerica, in quanto si tratta di una assoluta “minoranza rumorosa”.

Mi riferisco non tanto alla loro forza numerica ma alla loro forza dogmatica, alla loro forse ormai insanabile radicalizzazione, rafforzata forse da queste misure adottate dal governo che arrivano a far sentire queste persone dei veri e propri martiri. È la sola strada possibile questa?

A questa domanda non sono in grado di rispondere in maniera approfondita in quanto non sono un esperto e non ho alcuna ambizione di esserlo. Non vedo però alternative credibili. Lasciare che queste persone diffondano il virus contagiando soggetti in misura sempre maggiore non mi sembra che sia un qualcosa di accettabile; credo che il governo italiano si sia mosso bene, sicuramente in maniera migliorabile, ma abbia fatto nel complesso un buon lavoro in termini di contenimento del contagio.

Un dialogo con questa “pancia irragionevole” è ormai impossibile? Dal mio punto di vista alcuni errori in termini di comunicazione ci sono stati, e sarebbe follia negarli, inseriti però all’interno di un contesto del tutto eccezionale che forse andrebbe compreso maggiormente, penso ad esempio al caso di Astrazeneca.

Ci sono delle cose che devono necessariamente essere prese in considerazione. Non è solo l’ente nazionale ad occuparsi dell’approvazione e della diffusione dei farmaci, ma ci sono enti internazionali ben più grandi, che hanno contribuito, e non poco ad aggravare la questione sul piano della comunicazione. Sul caso Astrazeneca non c’è alcun dubbio che siano stati fatti errori incredibili sul piano comunicativo, e non ci sono ancora una quantità di studi adeguati che confermino l’allarmismo che ha avvolto la vicenda. Non dobbiamo mai dimenticare che i vaccini che stiamo utilizzando nella lotta al Covid rappresentano il punto più alto della tecnologia farmacologica umana, con percentuali bassissime di rischio, inferiori di molto a quelle di qualsiasi altro farmaco tradizionale che possiamo assumere giornalmente. Trattandosi di una misura preventiva e non terapeutica ovviamente il confronto va fatto solo con altri vaccini, ma il risultato è esattamente lo stesso. Io non so se la rimozione di Astrazeneca sia da imputare solamente al governo italiano o ad una comune decisione a livello europeo sull’onda delle proteste e delle preoccupazioni dell’opinione pubblica. Possiamo poi chiederci come e perché l’opinione pubblica si sia mossa in una direzione piuttosto che in un’altra, e quale sia stato il ruolo dei giornali e delle televisioni in questa oscillazione. Mi ritengo però sostanzialmente soddisfatto dell’operato del governo italiano in una situazione così grave, così inaspettata e soprattutto nuova.

Secondo lei c’è stata davvero un’inversione di tendenza con il governo Draghi?

Secondo me no, più o meno i due esecutivi si sono mossi nello stesso modo e verso la stessa direzione. L’arrivo del generale Figliuolo ha messo in moto un meccanismo già preparato in precedenza, e non mi sembra che si possa parlare di “uomo della provvidenza”. Mi ritengo quindi soddisfatto, ma non credo che ci sia stata una vera e propria svolta che abbia cambiato il corso degli eventi.

Per rimanere agganciati all’argomento, questo esecutivo tecnico può secondo lei rappresentare il necrologio della classe politica, in quanto sancirebbe la sua totale incapacità di svolgere il proprio ruolo anche in condizioni di emergenza. Sembra necessario un Cincinnato per ogni crisi extraparlamentare (e non).

Purtroppo, per un insieme di concause si è verificato un gravissimo discredito della classe politica. All’interno di queste concause troviamo la corruzione sicuramente, ma anche l’attribuzione ai politici di responsabilità che non gli competono, o non gli competono più. La politica si è largamente internazionalizzata, e i politici nazionali hanno un peso irrisorio in processi decisionali ampi. Abbiamo poi il ruolo preponderante dei quotidiani come depositari dell’opinione pubblica, e quindi di un potere immenso, accanto a questo poi abbiamo dei movimenti populisti che hanno radicalmente cambiato non solo il discorso ma anche la pratica della politica. I Cinque Stelle sono forse il caso più emblematico, ma la stessa strada sembra essere stata intrapresa anche da Lega e FDI. Il politico oggi, espressione della democrazia, e in quanto tale scelto dal basso, dal popolo, è visto in contrapposizione al tecnico, considerato una sorta di aristocratico richiamato in servizio e non sottoposto alle leggi della democrazia, ma non è così. Monti, Draghi e a suo tempo Ciampi, sono tutti dei politici. A mio modo di vedere non è che il politico non sia in grado, pur considerando un innegabile calo di “qualità”, ma sia depotenziato da questo nuovo modo di fare politica e vedere politica.

Come giudica la possibilità ventilata da Giorgetti (Lega) di un semipresidenzialismo de facto che vedrebbe Draghi al Colle e contemporaneamente “padrone” anche di Palazzo Chigi?

In maniera profondamente negativa, nonostante si tratti di una possibilità che troverebbe ampio sostegno popolare secondo i sondaggi, scomponiamo però la questione. Dal punto di vista istituzionale è una “bischerata” infattibile, ed è impossibile portarla a termine; non è però la boutade di un matto, ma la dichiarazione di un qualcuno che sente di essere effettivamente in sintonia con un pezzo del paese. Un pezzo anche piuttosto considerevole. Esiste nel Paese dunque una fetta di popolazione convinta della necessità di un uomo forte che possa oltrepassare i limiti e le difficoltà della democrazia, “semplificando” la politica.

Secondo lei c’è uno spartiacque che segna la decadenza forse irrimediabile della figura del Politico in Italia?

Sicuramente ha inciso, come ho detto, la corruzione e la conseguente vicenda di Mani Pulite. Contemporaneamente abbiamo vissuto un particolare periodo, e mi riferisco al ventennio berlusconiano, caratterizzato dalla preminenza politica di un personaggio che si è avvantaggiato enormemente grazie a Mani Pulite, presentandosi come un Homo Novus che avrebbe cambiato il Paese. E lo ha fatto. È passata l’idea che tutto fosse in vendita, dai politici, alle donne a qualsiasi altra cosa, processi a parte, mi riferisco in primis all’idea che è stata fatta passare. Se ne parla come nome papabile al Colle, e onestamente rabbrividisco, visti i comportamenti a parer mio da politico di livello infimo. Per tirare le somme, tra Mani Pulite e la discesa in campo di Berlusconi, l’Italia si è trovata in una situazione molto particolare dal punto di vista politico, e questo ne ha sicuramente pregiudicato la qualità dei suoi rappresentanti.

Questo Paese è pronto per avere un Presidente della Repubblica donna?

Se venisse fatta questa scelta, che io condividerei a pieno, l’Italia sarebbe pronta. Ormai siamo abituati a figure di questo tipo a livello europeo e mondiale, basti pensare al personaggio politico che ha dominato la scena continentale per più di un decennio, e mi riferisco ovviamente alla Merkel. Sarebbe un’occasione d’oro per poter sperare che qualcuno faccia meglio degli uomini.

Per concludere, ultimamente il Centrosinistra sembra essersi rafforzato, anche grazie ai dissapori interni all’alleanza di Centrodestra, nonostante questo però, appare sempre più evidente la spaccatura, il diaframma presente tra una base elettorale progressista e un corpo politico lontano dalla realtà e soprattutto dalla volontà dei suoi elettori. È a mio avviso emblematico quanto accaduto a novembre con il DDL Zan. Che cosa può e deve fare l’ala progressista e riformista per guadagnare di nuovo la piena fiducia della sua base elettorale?

Bisogna considerare che non esistono più da tempo ormai i partiti popolari e di massa, che avevano un ruolo fondamentale nel creare una coscienza politica orientata in una direzione piuttosto che in un’altra. Io provengo dal PCI e quindi posso portare la mia personale esperienza di cosa significasse offrire un disegno politico ampio fatto di scelte a 360 gradi. La decadenza e la scomparsa di questi soggetti politici, in grado di orientare enormemente l’opinione pubblica ha offerto un ampio spazio di intervento a soggetti terzi, come quotidiani e talk show, riducendo in maniera drastica lo spazio dedicato al dibattito individuale dell’elettore che non si trova più di fronte ad un ragionamento da fare, ma soltanto ad una scelta. Se una forza di sinistra volesse risorgere, dovrebbe secondo me ricercare di nuovo una base di vecchio tipo. E a questo si collega secondo me l’altra grande necessità, ovvero quella di una base sociale di riferimento ben precisa, e non di un “piglia tutti” generale. Un partito che ricerca il massimo consenso, come quello attuale, può definirsi progressista certo, stretto attorno ad alcuni generali dogmi come l’antirazzismo ad esempio, però poi cerca di raccogliere tutto il consenso possibile e immaginabile. Io invece credo che sia necessaria una scelta di campo ben precisa che decida quali ceti sostenere in maniera totale, operai, lavoratori, impiegati ecc. Una volta enucleati ed organizzati gli interessi delle mie fasce elettorali, posso comunque cercare mediazioni ed alleanze con altre forze politiche da inserire all’interno di una coalizione. Ora invece esiste un partito già coalizione, e parlando in particolare del PD, questo risultato a mio avviso pessimo è da imputare specialmente ad un personaggio come Renzi. Non si rivedrà secondo me purtroppo una sinistra di “tipo classico”, ma un partito sempre più simile a quello democratico americano, stretto attorno ad alcune importanti posizioni dogmatiche ma che nella pratica ricerca un consenso il più generalizzato possibile.

Non posso non chiederle allora cosa ne pensa di questa ormai prossima alleanza tra PD e Cinque Stelle per le Parlamentari, mi sembra di capire che non la valuta in maniera troppo positiva.

In realtà no, perché come spiegavo prima si tratta di un’alleanza, e non di una fusione. Ha un senso in quanto tramite la stesura di un programma di obiettivi comune si può ambire a raggiungere un risultato importante. Nessuno arriverebbe, mi auguro, mai a pensare che PD e Cinque Stelle siano la stessa cosa. Io credo fermamente nella possibilità di allearsi, e ho creduto all’epoca all’Ulivo, mentre ho visto in maniera più scettica e distaccata la soluzione del PD perché ha demolito una forza di grande tradizione che non ha saputo più offrire una propria posizione chiara. Copyright image: La Repubblica

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