Koinè Intervista Anna Motta e Pino Paciolla
- Koinè Journal

- Oct 17
- 7 min read

di Lucrezia Passarelli.
Mario Paciolla era un cooperante di pace morto a 33 anni, il 15 luglio 2020 in Colombia, durante la sua missione con l'ONU. Di questa vicenda ne abbiamo parlato in maniera dettagliata in un precedente articolo (lo trovi quil)
Da subito l'organizzazione ha dato notizia ai genitori di Paciolla e sui social che il cooperante partenopeo fosse morto suicida, ma dalle indagini compiute sul corpo di Mario e dai comportamenti di quest'ultimo nei giorni precedenti, risultano evidenti le grandi contraddizioni di questo caso.
Mario, pochi giorni prima di morire, aveva chiamato i genitori mostrando tutta la sua preoccupazione e si era mobilitato per poter ottenere un biglietto aereo e ritornare in Italia.
Alla morte di Mario la versione avallata dalla Colombia, e confermata dal tribunale di Roma, è che il cooperante si sia tolto la vita, ma come spiegare, allora, la frattura dell'osso del collo compatibile con lo strangolamento e non con l'impiccagione e le tracce di lidocaina (un anestetico paralizzante) trovate nel corpo di Mario?
Le evidenze sul corpo di Mario e le parole da lui pronunciate ai suoi cari prima della sua morte parlano chiaro: Mario non si è tolto la vita, Mario è stato ucciso.
Il Tribunale di Roma ha archiviato il caso per suicidio ma i genitori di Mario, Anna Motta e Pino Paciolla, continueranno a lottare per ottenere Verità e Giustizia per il figlio.
Ne parliamo oggi con i genitori di Mario Paciolla.
Chi era Mario Paciolla?
Anna Motta:
Mario fin da bambino è sempre stato molto curioso e sul territorio era un ragazzo impegnato in cerca di nuove amicizie; dopo la sua morte ci sono arrivate tantissime testimonianze di persone che l'hanno conosciuto, come quella di un ragazzo che ci ha raccontato che, siccome erano nati lo stesso giorno, il 28 marzo del 1987, Mario si ricordava sempre di fargli auguri e per questo lo chiamava “omonimo”.
Mario era una persona molto precisa, a partire dal suo armadio sempre ordinato. Aveva una cura di sé molto particolare: quando tornava dai suoi viaggi, la prima cosa che faceva erano le analisi del sangue perché diceva che entrava in contatto con batteri e virus che qui in Italia non ci sono. Lui ci teneva molto alla sua salute e alla cura di sé.
Quando in casa mia entrava un insetto lui non consentiva che lo uccidessimo, si impegnava a prenderlo e lo metteva fuori. Mario era uno per la vita.
Quali erano le sue passioni?
Anna Motta:
Mario amava la scrittura, da giovane è stato iscritto dieci anni all'ordine dei giornalisti di Napoli. Amava molto viaggiare e noi abbiamo sempre sostenuto questa sua curiosità e il suo modo di vedere il mondo.
Mario aveva questa grande capacità empatica di entrare in relazione con le persone e gli scritti che abbiamo trovato, fatti in età giovanile, parlano soprattutto di incontri: gli interessava il contatto umano, conoscere l'animo delle persone e i suoi scritti sono imperniati su questa ricerca dei sentimenti.
Mario, insomma, non era uno sprovveduto.
Pino Paciolla:
Mario pianificava tutto, doveva essere sicuro di quello che avrebbe affrontato. Nell'occasione della sua andata in Colombia con le Brigate Internazionali di Pace ha fatto un anno di preparazione, poi furono selezionati in diciotto. Anche se molto giovane, Mario aveva un grande bagaglio di esperienze perché aveva sempre viaggiato: interrail, il viaggio in bici in Andalusia, l'Erasmus a Parigi.
Perché Mario decide in andare in Colombia?
Anna Motta:
Gli è sempre interessata l'America del sud e sapeva di poter dare il suo contributo di professionista alle popolazioni che vivevano ai margini.
Pino Paciolla:
Mario in Colombia, nel 2016, lavorava con le Brigate Internazionali di Pace e gli piaceva l'applicazione della filosofia gandhiana (era stato anche in India) basata sull'idea di muovere le persone senza le armi e adottavano questo modo di fare anche quando dovevano accompagnare giornalisti o ex guerriglieri. Delle volte gli chiedevo cosa avrebbero fatto se avessero incontrato una “testa di legno” che non li avrebbe voluti far passare e Mario rispondeva che avrebbero valutato tutti i possibili rischi. Insomma, veniva tutto pianificato.
Anna Motta:
Il progetto delle Brigate Internazionali di Pace piaceva particolarmente a Mario perché tutti partecipano alle operazioni in maniera orizzontale. Nelle Nazioni Unite, al contrario, vige un sistema verticistico e l'addetto alla sicurezza che lavorava con Mario, Christian Thompson, era un militare, una persona che adotta un approccio diverso da quello di un cooperante di pace.
Pino Paciolla:
Più che un militare era un mercenario.
Anna Motta:
Mario lavorava in una terra violenta e varie sono le criticità dell'immagine di Thompson: Mario aveva paura di lui e voleva chiudere la missione con l'ONU.
Quanto tempo Mario è stato in Colombia?
Anna Motta:
Mario è partito nel marzo del 2016, poi, ad agosto 2018, dopo aver chiuso il contratto con le Brigate Internazionali di Pace, si è trasferito nell'ONU, la quale, quando Mario era nelle Brigate Internazionali di Pace, l'aveva contattato più volte. Noi, come genitori, premevamo per questo suo spostamento perché L'ONU è una grande organizzazione, lui, al contrario, si è sempre accostato a quest'ultima con molte perplessità.
Quando Mario lavorava nelle Brigate Internazionali di Pace aveva un piccolo rimborso spese, ma era felice perché viveva in una casa comune e lì ha incontrato tantissimi ragazzi con cui noi oggi siamo ancora in contatto.
Tra gli atti depositati dall'ONU c'è anche il rapporto di una riunione, avvenuta il 9 luglio 2020, in cui ha partecipato anche Mario. In questa riunione si parla del ritrovamento (avvenuto il giorno prima, l'8 luglio) del corpo senza vita di un tesoriere all'interno di un villaggio nella della giurisdizione di San Vicente del Caguàn, la città dove lavorava Mario. Dal 10 luglio Mario inizia a sentirsi in pericolo e il 15 luglio viene trovato morto nel suo appartamento.
È chiaro, quindi, che in questa vicenda tale riunione del 9 luglio 2020 diventa cruciale. Vi va di raccontarmi di quei giorni?
Anna Motta:
L'11 luglio Mario ci contatta a un orario insolito: alle 18 ora italiana. Normalmente avevamo l'appuntamento fisso la domenica sera e ci sentivamo intorno alle 21 (ora italiana). In questa telefonata sentiamo la sua preoccupazione, ci dice che ha avuto delle discussioni con l'organizzazione e che “gliela faranno pagare”.
Pino Paciolla:
Mario ci fa un accenno a un episodio che gli è capitato al liceo.
Anna Motta:
Al quarto anno di liceo c'era stata una discussione in classe, per lui un'ingiustizia, e si era ribellato alla professoressa di italiano, la quale poi, nonostante lui scrivesse bene, propose per lui la bocciatura e Mario venne bocciato. Ci fu una chiara intenzione di punirlo.
“Ricordi quello che mi è capitato in quarta liceo che me l'hanno fatta pagare? - ci dice Mario - ecco così me la faranno pagare adesso” per cui noi ci allarmiamo e gli scrivo “Mario ma tu sei in pericolo di vita? L'organizzazione può farti qualcosa?”.
La sera ci risentiamo, era estremamente preoccupato, aveva soprattutto paura. Mario voleva ritornare in Italia, infatti ci dice che aveva parlato con la sua capa e che sarebbe tornato con un volo umanitario.
Pino Paciolla:
Tutte le notizie che abbiamo sui giorni prima della morte di Mario ci sono arrivate anche grazie al report di Fanpage.it, noi non sapevamo che il tesoriere ucciso fosse un informatore di Mario.
Anna Motta:
Noi abbiamo la certezza che Mario ha subito capito di essere in pericolo, perché abbiamo percepito il suo stato di preoccupazione e di paura.
Ci disse che aveva fatto la valigia e che molte cose le avrebbe lasciate lì perché lui non ne voleva sapere più della Colombia e dell'ONU, ma soprattutto ci disse “non credete a ciò che vi vorranno far credere”. Noi questo lo abbiamo testimoniato e comunque non viene preso in considerazione.
Mario, poi, fa delle cose specifiche: ci dice che i documenti necessari per il rientro in Italia erano arrivati ma gliene mancava uno, questo però non era un problema perché l'ufficio che avrebbe prodotto questo documento è a Bogotà e, dovendo lui stare lì cinque giorni, sarebbe riuscito a ottenerlo. Lui aveva fatto coincidere tutto per poter ritornare.
La valigia che ci è stata restituita è stata certamente fatta da Mario perché era molto ordinata a differenza di quello che alla rinfusa ci ha mandato L'ONU in questo scatolo nel quale c'era, tra le varie cose, un piccolo vassoio accanto a degli stivali ancora lerci di fango. Sullo scatolo, inoltre, c'era una sorta di inventario scritto a penna. Questo trattamento ci ha ferito.
Pino Paciolla:
Le cose importanti come l'agenda, invece, sono scomparse. Mario ci diceva che durante il periodo del lockdown stava scrivendo, dove sono finiti tutti i suoi scritti?
Anna Motta:
Un'altra cosa che ci sorprende è l'assenza della squadra che lavorava con lui. Tra di loro c'è anche una ragazza che poi lo ritrova morto nell'appartamento, ma è scomparsa dai social e non riusciamo a rintracciarla.
Chi era questa ragazza?
Anna Motta:
Era una collega che aveva lavorato nelle Brigate Internazionali di Pace.
La ragazza che, invece, dà a Mario la carta di credito per poter acquistare il biglietto aereo per tornare in Italia è la sua ex ragazza con la quale ha avuto una storia lunga otto anni. Nonostante si fossero lasciati, lui probabilmente, in quei momenti di grande preoccupazione, si rivolge a lei per potersi confidare: Mario non si fidava più di nessuno.
Anche lei, l'ex ragazza di Mario, ci conferma che lui aveva paura di Christian Thompson, l'addetto alla sicurezza dell'ONU. Lei e Mario si scambiano 87 messaggi in cui lui solo una volta dice “io non so se voglio continuare a vivere”, ma solo una volta su 87 messaggi, infatti poi successivamente le scrive “adesso risolvo quando arrivo a Napoli, se mi faranno arrivare”.
Secondo il tribunale di Roma, come è morto Mario?
Pino Paciolla:
La PM e il giudice hanno avvalorato la tesi che Mario si sia suicidato, ma io continuo a chiedermi come ha potuto Mario utilizzare i polsi tagliati per intrecciare, per impiccarsi, dei nodi che non era neanche in grado di fare. I coltelli che Mario avrebbe utilizzato per tagliarsi i polsi sono sì macchiati del suo sangue, ma non hanno impronte, e come se l'è tagliati?
Anna Motta:
I ROS andarono in Colombia con la PM e chiesero di fare delle indagini su quei coltelli per controllare che quelle lame fossero compatibili con i segni ritrovati sul corpo di Mario, ma soprattutto per cercare le impronte sui manici. La procura colombiana rispose che sì, i coltelli sono sporchi di sangue, ma sul manico non ci sono impronte. Questo è evidentemente strano.
Pino Paciolla:
Altra cosa assurda, che il documento dice essere ininfluente, sono le tracce di lidocaina (anestetico paralizzante) che sono state trovate nel corpo di Mario. Questa lidocaina non si è trovata in casa di Mario; hanno fatto anche delle indagini nelle farmacie nei dintorni di casa sua e nessuna di queste la vendeva; hanno persino chiesto alla sua dentista se recentemente l'avesse usata per qualche intervento e lei ha negato questa ipotesi. Nessuno ha o vende questa sostanza, allora come si fa a trovare, anche se in tracce minime (viene espulsa facilmente dal corpo), nel corpo di Mario?
Anna Motta:
Perché fare un'indagine sulla lidocaina così approfondita per poi chiudere un provvedimento dicendo che tale sostanza nel corpo di Mario è un elemento ininfluente?
In che condizioni vi hanno restituito il corpo di Mario?
Anna Motta:
Il corpo di Mario hanno cercato di inquinarlo in maniera ponderosa. Due giorni prima che arrivasse il suo corpo, il console mi telefonò dicendomi che avevano imbalsamato il corpo di Mario. Fineschi, il medico legale che ha effettuato l'autopsia sul corpo di Mario (di cui abbiamo avuto i risultati dopo due mesi e mezzo), rispetto alla lidocaina dice che questa è stata assunta due ore prima di morire. È probabile anche che hanno aspettato che Mario urinasse dal momento che questa sostanza viene eliminata dal corpo attraverso le urine, ma siccome non abbiamo nessun campione di tali urine non sappiamo quanta lidocaina è stata introdotta nel corpo di Mario.
Dopo la morte di Mario, quando avete ricevuto la telefonata della funzionaria dell'ONU, quali sono state le vostre prime sensazioni?
Pino Paciolla:
Inizialmente si è pensato che Mario avesse avuto un malessere perché ci eravamo scambiati dei messaggi poco prima. Nel momento nel quale la funzionaria mi ha detto che Mario si era suicidato mi è caduto il mondo addosso.
Anna Motta:
Nasce immediatamente il sospetto che Mario lo avessero ucciso considerando gli antefatti e ciò che ci aveva detto i giorni precedenti.
La prima cosa che ho chiesto è come fosse morto e la funzionaria mi risponde che stavano valutando, ma questa risposta non mi convince.
Lei poi ci dice che Mario si era suicidato e ci chiede se volevamo la restituzione del corpo.
Come avete pensato di agire dopo?
Anna Motta:
All'inizio eravamo molto disorientati, non sapevamo a chi rivolgerci.
Quando ebbi la notizia, la signora che abita al piano inferiore mi sentì urlare in una maniera sovrumana e salì a casa per capire cosa stesse succedendo. Non sapeva come potermi incoraggiare e decise di prepararmi una camomilla. Dopo poco lei mi fece vedere che sui social l'ONU aveva scritto che Mario Paciolla era morto suicida e questo a pochissime ore dal ritrovamento del corpo, senza un referto autoptico. Ho chiamato i miei familiari e poi ci siamo messi in contatto con l'ambasciatore, il quale ci disse che non sapeva nulla e solo dopo varie ore gli arrivò la notizia che Mario fosse effettivamente morto.
Assurde sono anche le testimonianze di Thompson che dice che non sapeva che bisognasse preservare il luogo (l'appartamento di Mario, che intanto era stato ripulito).
Pino Paciolla: l'appartamento di Mario è stato lavato con la candeggina ed è stato buttato tutto il materiale che poteva essere utile per le indagini.
In questa vicenda è importante anche il ruolo della politica, ci sono realtà politiche che vi sostengono?
Anna Motta:
Abbiamo un gruppo di persone che ci segue, prima di tutto la Commissione diritti umani del Senato, la quale ha votato all'unanimità una richiesta di un'istituzione di una commissione parlamentare. Su questa faccenda non dovrebbero esistere colori politici. Solitamente sentiamo slogan come “prima gli italiani” e, insomma, anche Mario era italiano.
Voi andate a tutti gli eventi in cui sarebbe stato Mario, quello che muoveva Mario sembra che adesso muova voi.
Anna Motta:
Mario era partecipe della vita sociale di questa città (Napoli) e del mondo stesso. Abbiamo capito che era importante andare nei luoghi che lui aveva frequentato e che doveva continuare a frequentare proprio attraverso la nostra presenza. Ad esempio, attualmente noi siamo molto vicini alla comunità palestinese e la comunità palestinese è molto vicina alla causa di Mario.
Qual è il ruolo di tutti noi in questa vicenda?
Anna Motta:
Noi crediamo nelle risoluzioni dal basso e ci fa piacere che Mario venga ricordato, sappiamo infatti che più ci si dimentica delle persone e meno vengono attenzionate. Questa battaglia la combattiamo sì per nostro figlio Mario, però pensiamo sia fondamentale tenere accesa la luce su tutte quelle situazioni dove è importante la partecipazione e la nostra presenza fisica.
Mi è arrivata una foto del Comune di Napoli:
hanno esposto la bandiera della Palestina di fianco allo striscione per Mario e questo ci dà speranza.
Ringraziamo Anna e Pino per aver condiviso con noi la storia del figlio Mario, sperando che, continuando a parlarne, possano ottenere Verità e Giustizia.
Image Copyright: Mauro Biani









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