Distruggendo Gaza, Israele ha distrutto sé stesso
- Koinè Journal
- 2 days ago
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di Luca Simone.
È arrivata nella giornata del 4 maggio, e non certo come un fulmine a ciel sereno, la decisione del gabinetto di guerra israeliano di lanciare una nuova offensiva di terra su larga scala nella Striscia di Gaza, denominata “carri di Gedeone”. A darne notizia è stato un portavoce del governo che, parlando al Times of Israel, ha annunciato la volontà di aumentare lo sforzo bellico nell’area al termine della visita del presidente americano Donald Trump, prevista per la prossima settimana. Nel mentre, in questa manciata di giorni, viene lasciato aperto un canale di trattative con Hamas, per cercare di raggiungere comunque una tregua che possa portare alla liberazione degli ostaggi.
Raccontata in questi termini, sembra una boutade di Netanyahu, l’ennesima, indirizzata forse a mettere pressione all’ufficio politico di Hamas, nel tentativo di costringerlo ad accettare i termini di una tregua cucita sugli interessi israeliani (diversamente da quella che per poco più di un mese aveva portato allo stop dei combattimenti, ma era stata pensata per essere più equidistante). Proprio per quello il gabinetto di guerra di Tel Aviv, ad inizio marzo, aveva scelto di violare i patti ricominciando a bombardare a tappeto, e tornando a causare migliaia di morti civili.
La notizia ha causato sdegno nelle cancellerie mondiali, tanto che il ministro degli Esteri francese Barrot ha parlato di “proposta inaccettabile”, mentre il Presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa accusa Tel-Aviv di “violazioni inaccettabili dei diritti umani”, in riferimento anche al blocco degli aiuti umanitari diretti nella striscia che è in atto da ormai due mesi. Anche Pechino si è detta molto contraria all’operazione, affidando ai portavoce del ministero degli Esteri una dura condanna per la condotta di Netanyahu. Tutto questo perchè la proposta parla chiaramente di "occupazione duratura della Striscia" e di "deportazione dei civili palestinesi ".
Mentre accadeva ciò, intanto, le IDF bombardavano in maniera massiccia (con la direzione tattica degli USA) alcune importanti infrastrutture yemenite in mano agli Houthi e, per tutta risposta, i portavoce di Hamas annunciavano il ritiro dalle trattative per una tregua.
Fatta questa doverosa premessa, è il caso di analizzare la ricaduta mediatica di questo nuovo annuncio fatto da Israele. Ciò che Netanyahu e il suo governo non sembrano capire, è quanto sia clamorosamente basso il sostegno dell’opinione pubblica mondiale verso Tel-Aviv in questo preciso momento storico. Un cambio repentino se si pensa che all’indomani del massacro del 7 ottobre, tutto il mondo (compresi tutti i paesi Arabi) si era esposto con dichiarazioni di inequivocabile vicinanza a Israele. Oggi la situazione è totalmente capovolta.
Quello a cui abbiamo assistito negli ultimi due anni è uno dei massacri più mediaticamente coperti della storia contemporanea. Non è infatti vero che su Gaza ci sia il “silenzio dei media”, anzi è esattamente l’opposto. Ed è proprio per questo motivo che l’opinione pubblica mondiale ha avuto per la prima volta l’occasione di assistere quasi in diretta allo sterminio di cinquantamila palestinesi, 11.500 dei quali bambini. Addirittura al mondo sono state mostrate le immagini dei bombardamenti con i droni sui convogli umanitari, sulle file di civili in attesa per il pane. Il mondo ha visto, e non riesce a dimenticarlo.
Netanyahu e i suoi non hanno fatto i conti con l’immensa portata mediatica del loro operato e ora si trovano incastrati all’interno di una gabbia che rischia di risucchiarli per sempre. Perché se è vero (indubbiamente), che il sostegno materiale ad Israele (soprattutto degli USA a trazione trumpiana) è ancora massiccio, il sostegno mediatico è totalmente inesistente. I governi di tutto il mondo sanno bene che devono rispondere ad un elettorato che ha manifestato in ogni modo il suo disprezzo per il massacro di Gaza. E questo non potrà non avere un peso. Netanyahu potrà continuare quasi certamente indisturbato il suo bagno di sangue, ma le conseguenze che si troverà ad affrontare Israele nei prossimi anni, evidentemente, ha scelto di non metterle in conto.
Oggi, infatti, Israele è dalla parte sbagliata della storia.
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