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  • Writer's pictureKoinè Journal

Il paese dei precari


di Valentina Ricci.


Iniziamo l’editoriale di questa settimana con IL tema centrale degli ultimi giorni, il lavoro. Sì, perché il mese di maggio si è aperto con la celebrazione mondiale della festa dei lavoratori, e il governo italiano non ha voluto mancare i festeggiamenti, lavorando. Scelta legittima, tanto quanto quella dei datori di lavoro che sono ormai da anni autorizzati a tenere aperti gli esercizi commerciali durante i giorni festivi se lo ritengono opportuno. Si potrebbe quasi pensare che Meloni abbia voluto lavorare per solidarietà con quella categoria di dipendenti con contratto a tempo determinato che fanno orari sfiancanti (anche nei giorni festivi), a condizioni di lavoro altamente stressanti, con stipendi minimi e senza la benché minima garanzia di potersi costruire un futuro solido. Eppure, tutta questa solidarietà ha portato il Consiglio dei ministri a produrre un decreto-legge che i lavoratori precari (o i disoccupati) non li tutela per nulla.


Le misure principali sono tre: un taglio al cuneo fiscale falsamente presentato come il più importante taglio delle tasse degli ultimi anni, maggiori possibilità per rinnovare i contratti a tempo determinato oltre i 12 mesi previsti per legge e la sostituzione del reddito di cittadinanza con un “Assegno di inclusione”. Per quanto riguarda il taglio del cuneo fiscale, è vero che la misura va incontro alle richieste dei sindacati, ma, oltre ad avere una durata molto ridotta (da luglio a dicembre del 2023), è solamente di 4 punti percentuali sugli stipendi fino a 35.000 euro annui. Una misura che impiegherà uno stanziamento tra i 3 e i 4 miliardi di euro, dunque niente che non si sia già visto con il governo Draghi, o addirittura con il governo Renzi per il famoso bonus di 80 euro, esteso e potenziato poi dal governo Conte (per consultare i numeri precisi si rimanda all’articolo di Pagella Politica).


Se il taglio al cuneo fiscale non è del tutto da cestinare, ci pensano le altre due misure a riequilibrare l’ago della bilancia dei danni. L’aumento del numero delle clausole per cui si può rinnovare fino a 24 mesi un contratto a tempo determinato può essere definito come un rinforzo del precariato: certo, da una parte si rimanda la disoccupazione di un impiegato che è alla fine del contratto, ma dall’altra questa misura non è certamente un incentivo a creare posti di lavoro stabili e con condizioni favorevoli alla salute degli impiegati. L’assegno di inclusione, invece, sostituirà il reddito di cittadinanza a partire dal 2024, e avrà più restrizioni rispetto al suo predecessore: sarà riservato solamente a nuclei famigliari con over 60, minorenni o disabili a carico, e obbligherà tutte le persone interne al nucleo tra i 18 e i 59 anni a iscriversi a un centro per l’impiego e ad accettare pressocché qualsiasi lavoro offerto; non manca la misura di contrasto ai “furbetti” del reddito, che saranno ricercati tramite un’attività di sorveglianza delle forze dell’ordine non meglio definita. Altro lavoro per i cani da guardia.


Dunque, dal 2024 i single o le coppie sposate in buona salute e in giovane età non saranno più poveri; oppure saranno tutti perfettamente occupati e la scalata sociale sarà ben accessibile davanti a loro. E i lavoratori a tempo determinato avranno trovato un posto fisso ben retribuito che non li sfrutti rovinando la loro salute mentale e i rapporti sociali. E grazie a questa magica risoluzione dei problemi economici dei lavoratori si sistemeranno anche il problema della natalità, quello della salute mentale, quello della fuga dei giovani all’estero, e forse, chi lo sa, anche la fame nel mondo e le guerre troveranno uno scioglimento. Tutto grazie a quello che (non) c’è in questo decreto. Il tutto ovviamente annunciato alla Meloni, cioè senza una conferenza stampa, come è prassi fare con un decreto-legge, ma con un comodissimo video libero da qualsiasi scomodo contraddittorio a cui forse il nostro magic team non sarebbe stato in grado di rispondere.


Forse era meglio festeggiare il primo maggio restando a casa.


Sempre rimanendo in tema di lavoro, è di ieri (giovedì 4 maggio) la notizia dell’approvazione alla Camera del decreto-Cutro, quello che dovrebbe bloccare l’immigrazione irregolare inasprendo le pene per le persone che guidano le barche con cui giungono i migranti (e che spesso sono migranti a loro volta e non scafisti) ed eliminando uno dei tre canali per l’entrata regolare dei migranti, la “protezione speciale”. Ci teniamo a ricordare però che a dicembre rinnovando un dl annuale, il Decreto flussi, il governo Meloni ha pensato di favorire e agevolare l’ingresso in Italia di lavoratori non appartenenti alla comunità europea. Si tratta di una messa a disposizione di posti di lavoro che le aziende possono riservare a persone non appartenenti alla comunità europea. Il governo corrente ha aumentato il numero di questi posti di circa 13.000 unità rispetto al 2022 e ha introdotto altre agevolazioni per semplificare l’ingresso di altre persone. Come se il modo per incentivare i flussi regolari ci fosse, ma valesse la pena di trovarlo solamente quando questi flussi portano produttività; perché almeno una metà di questi lavoratori sarebbe stagionale e costituirebbe manodopera a basso costo per aziende agricole e del settore alberghiero. E come se ci si fosse resi conto per un momento che l’immigrazione è regolare se la si vuole regolarizzare e non perché cresce sugli alberi piuttosto che dentro a una nave.


Anche dalla Francia, tanto per cambiare, sono giunte critiche sulla gestione del flusso dei migranti dall’Africa verso le nostre coste. Questa volta è il ministro dell’Interno Gérald Darmanin a esprimere il suo disaccordo con le politiche migratorie italiane, provocando una reazione irritata, ferma e decisa da parte del ministro Antonio Tajani che, usando specchio riflesso, ha annullato l’incontro diplomatico previsto per ieri sera (giovedì 4 maggio) con la ministra degli Esteri Catherine Colonna. Un battibeccarsi di crisi diplomatiche che va avanti da tempo ormai con i vicini francesi che forse dovrebbe darci la misura della rispettabilità del nostro governo nei consessi internazionali. Quanto quella che avrebbe un bambino seduto al tavolo degli adulti alle cene di Natale.







Image Copyright: Quotidiano Nazionale

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