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Koinè intervista: dialogo con Laura Sparavigna e Lucrezia Iurlaro del Tampon Tax Tour

Updated: Jan 8, 2022




di Luca Simone.


“Dal 1978 al 2021, io trovo sia raccapricciante, ed è il termine più composto che mi sento di usare, che le sinistre italiane, in un continuo andirivieni di ideologie, posizioni, ricambi generazionali, meteore politiche e quant’altro, non si siano soffermate sul passo in più da fare per evitare che la persona a cui è stato garantito un diritto, operi quella scelta”.


Koinè intervista Laura Sparavigna, consigliera comunale di Firenze, presidente della commissione formazione, istruzione e lavoro, e Lucrezia Iurlaro, presidente dell’associazione Tocca a Noi in queste settimane a lavoro con il Tampon Tax Tour, un’iniziativa per abolire l’aliquota al 22% sugli assorbenti. Tanti i temi toccati in questa chiacchierata, con particolare attenzione alla situazione del diritto all’aborto. Un diritto per molte donne italiane inaccessibile, specialmente nelle Marche, con percentuali di obiezione vergognose.


Il 26 gennaio scorso, il consiglio regionale delle Marche, a guida Acquaroli (FDI), ha respinto a maggioranza una mozione presentata da Manuela Bora (Pd) sull’applicazione della legge 194, e sul diritto all’aborto farmacologico nei consultori, e quindi alla somministrazione della pillola Ru486. La mozione della consigliera Pd nasceva dall’elevato numero di obiettori sul suolo marchigiano (parliamo del 73% dei ginecologi ospedalieri a livello regionale, e del 91% solamente nella provincia di Fermo), e proprio dal contrasto con le linee guida del ministero della Salute, dato che la pillola abortiva viene somministrata solamente in due strutture nell’intera regione, a Urbino e San Benedetto del Tronto. Questi dati sono preoccupanti. Cosa pensate di questa situazione?


(Laura)

Parte dell’analisi è parte della soluzione. Sulla parte della soluzione credo che dovremmo avere una linea un po’ più entrante in quello che riguarda l’erogazione dei servizi obbligatori. Per cui dovremmo scindere quelli che sono i pensieri individuali da quello che è il giudizio, che non può assolutamente essere un parametro di valutazione per l’erogazione di un servizio sanitario obbligatorio, che deve, e sottolineo deve, essere garantito. Stiamo parlando dell’erogazione di un servizio pubblico nazionale, e non deve essere in alcun modo influenzato da una qualsiasi convinzione personale. Prima di entrare, perciò, nelle declinazioni regionali, bisogna contestualizzare ciò di cui stiamo effettivamente parlando, ovvero l’SSN (Sistema Sanitario Nazionale). La questione marchigiana non è, ahimè, un unicum, anzi, ci troviamo a confrontarci con realtà tristemente simili ad ogni latitudine del paese. Credo che l’esempio del Lazio in tal senso possa essere un faro. Mi riferisco alla linea adottata dal governatore Zingaretti che ha permesso la pubblicazione di bandi per l’assunzione di ginecologi da immettere nel sistema sanitario regionale pubblico, che però sono fortemente restrittivi verso gli obiettori di coscienza, impedendone l’ammissione. Secondo me si tratta di un provvedimento molto interessante e corretto, in quanto non pone un vincolo o un divieto nei confronti dell’io individuale, ma garantisce l’esecuzione del pubblico. Questa è la linea pragmatica che dovrebbe, secondo me, essere adottata a livello nazionale. Non si tratta affatto di discutere di pensiero individuale o dei progressi della ricerca medica sul tema dell’interruzione di gravidanza, ma di affrontare un discorso più ampio che è quello della sessualità. Un tema che per il nostro paese appare particolarmente scottante, e viene spesso avvolto da una patina di puritanesimo. Siamo uno dei paesi più retrogradi sul tema, e tendiamo ad associare in maniera errata la questione dell’interruzione di gravidanza ad un problema di genere. Sarebbe ora di eliminare questo retaggio culturale che vede esclusi gli uomini dal problema e scarica alla donna ogni responsabilità, iniziando a sviluppare un tipo di ricerca medica equa tra i generi e le generazioni. Il secondo punto che vorrei toccare e l’assurdità di questa discussione. Alla base, spero di non avventurarmi in un volo troppo pindarico, c’è infatti un malinteso che non permette di comprendere esattamente che cosa siano le funzioni pubbliche. Al giorno d’oggi, la relativa “tranquillità” del continente dovrebbe permettere all’Europa intera di godere di funzioni pubbliche di livello elevatissimo in quanto espressioni di una consolidata democrazia, e mi riferisco ovviamente sia all’istruzione che alla sanità. Alla luce di questo excursus, trovo che sia inaccettabile se non addirittura surreale che individui che decidono autonomamente di prestare la propria opera al paese abbiano delle riserve intellettuali così limitanti verso la popolazione. Il popolo entra in contatto in vari momenti con le funzioni pubbliche per le esigenze più disparate, e il fatto che vi sia il rischio che un giudizio individuale vizi un diritto frutto del concetto di repubblica che ci appartiene, è inaccettabile.



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Come può quindi, materialmente, la politica rispondere ad un problema così pressante? C’è una paura di fondo nell’affrontare la questione dell’obiezione di coscienza? Stiamo parlando di un diritto che dovrebbe sulla carta essere consolidato da almeno 50 anni.


(Lucrezia)

A mio avviso, se si ha paura di procedere verso un’obbligatorietà nell’erogazione di determinati servizi, quantomeno, il minimo indispensabile è che sia aumentata la presenza di consultori in ogni ospedale pubblico. Garantendo almeno un bilanciamento tra le due posizioni, con una presenza uguale di dottori obiettori e non. Io parto dal presupposto, però, che chi decide di entrare all’interno di un contesto pubblico deve garantire ogni diritto. E non ha alcuna facoltà per impedire l’elargizione di quello che, ripeto, è un diritto. Un compromesso che però non è ricercato da paesi come la Germania, dove i medici del servizio sanitario tedesco rischiano il licenziamento o la radiazione se decidono di non attenersi ai loro doveri. La situazione molto delicata è assimilabile anche ad un’altra realtà che stiamo vivendo, che è quella del Covid. La polemica sul Green Pass o sull’obbligatorietà dei vaccini tocca in maniera molto pesante anche i medici e gli infermieri, che non sono un fronte compatto pro-vax. È giusto, secondo me, in entrambi i casi riflettere se sia accettabile o meno che per decisioni individuali si metta a rischio l’elargizione di un servizio dovuto in un caso e la salute pubblica nell’altro. Se il modello tedesco appare eccessivamente distante per la mentalità italiana, la mia proposta è comunque che si taglino drasticamente le percentuali di obiettori nelle zone in cui sono più alte. Non possiamo avere regioni o province con dati del 70%, 80%, o nel caso specifico di Fermo 91% come dicevamo prima. È inaccettabile. Ci tengo poi a far notare la diversa distribuzione di medici obiettori nelle fasce di età. Sono in percentuale i medici più anziani a rifiutarsi di garantire il diritto all’interruzione di gravidanza, mentre il problema è molto meno grave coi medici più giovani.


(Laura)

Il discrimine che dovremmo porre, come sempre, è il contesto in cui l’individuo si trova a prestare la sua opera professionale. Se si è entro il sistema pubblico, si ha una duplice funzione, che da una parte è quella di svolgere la propria mansione con tutti i connotati psicologici e sociologici che questo comporta, dall’altra è quella di assolvere i doveri di uno stato democratico, garantendo dei diritti inviolabili dell’individuo. A mio avviso abbiamo un’articolazione normativa molto complessa, e anche all’avanguardia sotto certi punti di vista, frutto o meno di battaglie che si sono succedute negli anni. Per quanto riguarda perciò la tutela del corpo femminile si ha da una parte il diritto alla salute, definito in numerosi articoli della carta costituzionale, dall’altro, si ha grazie alle lotte degli anni ’70 la definizione di una legge molto più ampia di quella che permette l’interruzione volontaria di gravidanza. Essa stessa parte del diritto alla salute. Il dibattito politico, come spesso accade, si è soffermato soltanto su un aspetto, quello dell’IVG, ma in realtà c’è dietro qualcosa di diametralmente più ampio, che è il discorso culturale sulla sessualità e sul corpo femminile. C’è un atroce vuoto in questo senso in tutto il paese, sull’educazione alla sessualità e all’affettività. Per tornare alle risposte pragmatiche della politica, abbiamo citato prima il caso di Zingaretti. (controllare se dichiarato provvedimento illegittimo) È ormai divenuto un obbligo la somministrazione nelle farmacie, senza necessità di ricetta medica, la somministrazione di quella che è volgarmente chiamata la “pillola del giorno dopo”; e in ogni esercizio è presente un numero verde di assistenza da chiamare in caso di obiezione da parte del farmacista che viene perseguito in quanto inadempiente al suo dovere professionale. Al di là del tema politico però, come già accennavo c’è il tema forse ancora più grande della cultura, che non ha accompagnato al dovere le normative in materia di legge, creando di fatto un’anatra zoppa che non è riuscita ad andare granchè lontano. È necessario introdurre il tema della sessualità nelle scuole, senza però fermarsi lì, e creando un percorso informativo che superi anche il periodo scolastico, andando a costruire un grande centro di informazione culturale utile alla circolazione di informazioni sul tema, rendendo in primis manifesti quali sono i diritti individuali in materia. Spesso si adducono alla politica responsabilità che questa non ha. Non stiamo parlando di un ente astratto che aleggia nell’etere. La politica è esercitata da individui che a partire dagli enti territoriali sono eletti dagli anni ’70 direttamente dai cittadini. È necessario perciò che anche da parte dei cittadini stessi ci sia un’ammissione di responsabilità, e un’assunzione di responsabilità al momento del voto. Per riagganciarmi poi al discorso di Lucrezia, è necessario procedere ad un massiccio e continui ricambio generazionale all’interno della Pubblica Amministrazione, e in particolare all’interno dell’SSN, in modo da permettere il progresso culturale delle “mani dello Stato”, coloro che vanno poi ad occuparsi materialmente del pubblico.

(Lucrezia)

È assolutamente necessario potenziare la rete di consultori sul territorio, specialmente per i giovani. Se si trovano a doversi confrontare con situazioni complicate in età troppo precoce, hanno diritto ad essere seguiti e tutelati da personale qualificato che non si pone certo come giudicante nei loro confronti. Non si può certo pensare di affrontare situazioni come l’aborto, cercando anche di prevenire il problema, senza costruire una cultura non stigmatizzata, senza intervenire massicciamente sul tessuto culturale ed educativo. Bisogna perciò purificare i consultori o gli altri luoghi deputati all’educazione di tipo sessuale ed affettiva dallo stigma che li circonda. I ragazzi e le ragazze si sentono giudicati ancora prima di entrare, e questo è un danno enorme. I giovani si trovano a dover effettuare questo percorso in maniera furtiva, continuamente ostacolati da orari inaccettabili e scarsa presenza sul territorio. Molto spesso infatti questi luoghi sono aperti soltanto di mattina e si trovano perciò obbligati a saltare la scuola, venendo molto spesso portati a rinunciare prima ancora di tentare.


(Laura)

Concludendo, non c’è mai l’obbligatorietà da parte del professionista di contravvenire al suo credo personale. L’esercizio della funzione all’interno del pubblico non è affatto obbligatoria, esistono infatti strutture private apposta. Se però si decide di far parte di un organismo pubblico, soggetto a leggi e normative, bisogna sottostare ad obblighi contrattuali specifici e inderogabili.


Non posso non cogliere l’assist fornito dal discorso sulle responsabilità politiche degli organismi territoriali, e vi chiedo, secondo voi, il lavoro effettuato dalla giunta Acquaroli in merito, è una violazione di diritti sanitari?


(Laura)

La politica, altro non è se non lo specchio della cultura dominante presente in un determinato contesto. Il fatto che si presuma ancora che l’educazione al corpo, intesa come educazione alla sessualità e all’affettività, sia, per usare un termine da Ancièn Règime, “affare privato”, fa sì che vi sia una predisposizione e un’organizzazione dei servizi che si riferiscono a quest’area di tutela, estremamente bigotta e retrograda. Pertanto, siamo portati ad approcciarci al corpo con un’ottica estremamente paternalista. Nonostante non ho una precisa conoscenza delle politiche sanitare di questa giunta, posso però dichiararmi fermamente contraria ai provvedimenti presi, e senza essere giudicante verso Acquaroli, si tratta di una scelta politica totalmente sbagliata. Non tanto sul piano prettamente politico, ma da un punto di vista culturale. Si rischia di andare a costruire un’impalcatura tremendamente dannosa verso la modernità che invece richiede un argomento del genere. Non solo si sta impedendo o ostacolando l’accesso a servizi previsti dal diritto, ma si sta anche trasmettendo e favorendo una cultura giudicante entro cui l’idea di fondo è che “il tuo corpo non è tuo”. Il punto non è permettere l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, perché tendenzialmente nessun individuo è lieto e voglioso davanti ad una fase del genere. E mi riferisco agli strascichi di natura psicologica e sociologica, senza tralasciare quelli di tipo fisico. Perciò se la forma mentis dominante è quella che assoggetta il proprio corpo agli stigmi sociali, si capisce perché si ostacola e si evita un approccio e un potenziamento della rete di sostegno culturale. Bisogna che sia chiaro, senza troppi giri di parole, che se siamo qui, è perché qualcuno prima di noi ha fatto sesso. Anziché cercare di negare o domare la sessualità dell’individuo, bisogna dargli gli strumenti per autodeterminarla e gestirla. La cosa peggiore che sta quindi facendo Acquaroli non è la negazione di un servizio, ma la definizione e l’avvallamento di un sistema culturale respingente sul tema, che molto spesso si nasconde dietro allo scudo della religione. Se non si capisce che la fede è un qualcosa di privato, si rischia di avere una schiera di amministratori incapaci di rendersi conto che ci troviamo in stati secolarizzati, e loro ne sono rappresentanti. Libera chiesa in libero stato diceva qualcuno.


Il referendum sull’eutanasia legalizzata ha raggiunto risultati incredibili e inaspettati, con 500mila firme in pochi giorni, a dispetto di ogni aspettativa. Gli italiani hanno dimostrato una straordinaria sensibilità e un grande interesse verso questo tema. Perché invece il diritto all’aborto è circondato da una sorta di stigma? Che cosa manca al discorso politico per abbattere questo pregiudizio sul tema?


(Lucrezia)

Sono convinta che a livello di comunità, siamo spesso più avanti delle leggi che vengono discusse e approvate in Parlamento, e lo abbiamo dimostrato anche negli anni passati con il referendum sul divorzio o sulla 194. Il discorso sull’eutanasia non è certo una cosa nuova per l’Italia, ma se ne parla da anni. L’Italia è stata anzi invitata dalla Corte Europea dei diritti ad adeguare la sua normativa giuridica agli standard europei, e spero che finalmente questo possa avvenire. A livello culturale e politico l’unica cosa che può cambiare è la comunicazione sul tema. Cercando di non contrapporre il discorso di inizio e fine vita, in qualche modo assegnando ad uno la precedenza sull’altro. Bisogna assolutamente rendere chiaro che è perfettamente normale decidere di interrompere una gravidanza indesiderata, per qualsiasi motivazione venga ritenuta adeguata.


Stiamo facendo discorsi che un tempo erano appartenuti alla sinistra. Una sinistra che negli ultimi anni è sembrata retrocedere su molti di questi temi in favore di una politica più governista e meno battagliera, creando di fatto un vuoto. Vuoto che è stato colmato per certi versi dalle destre. Non è questo il caso dell’aborto, dove il guaio è che esiste solo e soltanto la voce della destra sul tema, con una sinistra immobile. Esiste un solo dibattito, quello contro l’aborto, e non esistono voci istituzionali che si ergano a difesa di quello che è un diritto legalmente sancito. Dovrebbe far riflettere…


(Lucrezia)

Purtroppo moltissime delle conquiste ottenute con le lotte femministe e non degli anni Sessanta e Settanta, si sono allontanate nella memoria degli italiani. E si sono forse eccessivamente date per assodate, dimenticandosi di doverne portare avanti i valori. Si tratta di pigrizia e incompetenza nella maggior parte dei casi. A livello nazionale come dicevo, sono considerate conquiste assodate, e a livello locale viene data eccessiva libertà di azione alle amministrazioni competenti, che come abbiamo visto molto spesso sono schierate in maniera contraria. Stiamo rischiando di far “scadere” questi diritti.


(Laura)

Il punto non è parlare tanto di diritto all’aborto, ma di diritto all’autogestione del proprio corpo. Il dibattito che vorrei nel mio paese ideale dovrebbe essere questo, e dovrebbe basarsi sulla volontà di fornire un’adeguata educazione affettiva e sessuale su temi come l’aborto. Si tratta di una battaglia che nasce menomata se non si parte dall’inizio. Dal 1978 al 2021, io trovo sia raccapricciante, ed è il termine più composto che mi sento di usare, che le sinistre italiane, in un continuo andirivieni di ideologie, posizioni, ricambi generazionali, meteore politiche e quant’altro, non si siano soffermate sul passo in più da fare per evitare che la persona a cui è stato garantito un diritto, operi quella scelta. Il diritto all’aborto andrebbe se possibile evitato, non impedito. E quando parlo di evitare mi ricollego ovviamente al discorso che facevamo sulla corretta educazione alla sessualità e all’affettività. Dal 1978 non siamo ancora arrivati ad uno sviluppo culturale che permetta di avere gratuito uno strumento utile come il preservativo. Per mettere le gambe alla 194 è necessario fornire ad ogni cittadino e cittadina di questo paese lo strumento per potersi totalmente autodeterminare sul tema del proprio corpo. Il punto quindi non è perché la sinistra non sostiene il diritto all’aborto, ma perché la sinistra dal 78’ ad oggi non ha fatto un passaggio culturale tramite campagne di sensibilizzazione mirate sul tema. Ma questo chiama in causa tutta la governance, non solo il Parlamento e le istituzioni nazionali, ma anche e soprattutto quelle locali, che ricordo, sono elette da noi. Acquaroli sta perciò non solo impedendo l’erogazione di un diritto, ma sta cercando di penetrare nella sfera privata inviolabile che racchiude il tema della sessualità personale. Non si deve parlare quindi, tanto di diritti delle donne, ma di libero corpo in libero Stato.


Tutti questi discorsi, giustissimi a mio parere, devono scontrarsi con un’opposizione. È la legge della democrazia. Che cosa deve entrare all’interno di un discorso politico per poter vincere questa opposizione concettuale?


(Laura)

Al discorso dell’opposizione si contrappone quello della maggioranza, e per rimanere alla stretta attualità, non mi aspetto certo che vengano fatti comunicati stampa di sostegno al diritto all’aborto. È difficile perciò aspettarsi una risposta governativa audace che riesca a raccogliere le idee sul tema, vista la composizione della maggioranza stessa. Io continuo a credere che vada delegittimato li dibattito tra oppositori e fautori del diritto all’aborto, visto che la legge c’è da cinquant’anni e si deve applicare.


(Lucrezia)

L’ipocrisia dell’opposizione che agita lo spauracchio della famiglia è sintomatica della poca considerazione che bisogna avere di certe idee di opposizione. Io non sono affatto giudicante delle vite personali altrui, e non capisco perché qualcuno si senta in diritto di giudicare la mia. L’unica arma è l’affermazione dello Stato laico, scardinando a livello nazionale la commistione tra convinzioni personali e normative giuridiche. Relegando la religione alla sfera privata della vita. La battaglia deve essere culturale in primis, e poi politica. Non si tratta affatto di un percorso agevole, ma lungo, arduo e complesso, e le leggi di tanto in tanto dovrebbero cercare di precederlo, piuttosto che arrivare sempre costantemente in ritardo. Il referendum sull’eutanasia legale dimostra infatti che c’è un paese culturalmente pronto a recepire certe battaglie e a rispondere coi fatti, e sono sicura che con l’aborto accadrebbe lo stesso.


(Laura)

La cosa peggiore che possiamo fare noi che sosteniamo del diritto all’aborto, è discuterne come se fosse un tema. È un non-tema. Sarebbe come discutere del diritto alla salute. Che piaccia o no è un diritto, e come tale va trattato; è superfluo cercare di aprire un dibattito, e il fatto che in questo paese sia all’ordine del giorno è sintomatico di un problema. Sono perfettamente d’accordo sul potenziare la campagna di sensibilizzazione culturale su questi temi, facendo affidamento sulla modernità mentale delle nuove generazioni, che vanno aiutate a crescere su questi temi. Bisogna prendere atto dei cambiamenti che nel corso dei decenni hanno accompagnato il discorso sul tema, e contribuire con il proprio diritto al voto ad esprimere la propria forma mentis. Altrimenti qualsiasi discorso che possiamo fare per modernizzare il pensiero, rimane ideologico.

-Se la base dunque è la battaglia per l’educazione culturale, la base della base è la battaglia per l’educazione all’esercizio dei diritti democratici.


(Laura)

Assolutamente sì. Il concetto dell’accettare la diversità è la base della democrazia, ed è assolutamente corretto collegare le due tematiche e i due discorsi. Diventare consapevoli dell’esistenza di un’alterità che va accettata e fatta nostra, è la base dell’educazione alla libertà. Si sa che da sempre la libertà fa paura.



Per aderire alla campagna, visita il sito https://toccaanoi.eu/

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