di Lorenzo Ruffi.
Durante il vertice “Italia-Africa” al Senato del 29 gennaio, la premier Giorgia Meloni ha nuovamente rilanciato il Piano Mattei, il tanto atteso progetto di cooperazione economica fra Roma e i partner della sponda sud del Mediterraneo. Sulla carta, tale iniziativa prevederebbe lo sviluppo di una partnership paritaria fra l’Italia e i paesi africani attraverso programmi di istruzione e di scambi economici volti a far crescere in maniera autosufficiente le locali economie, rompendo implicitamente il giogo della dipendenza che da sempre ha caratterizzato i paesi del continente; tuttavia, gli interessi del Bel Paese non possono essere solo confinati alla pur nobile iniziativa di affrancare le economie africane dalla povertà e dal neocolonialismo. A giocare un ruolo fondamentale nella creazione del Piano Mattei è stata indubbiamente la dimensione di dipendenza dello Stivale dalle importazioni di fonti energetiche, un problema che tormenta Roma dai tempi dell’unità d’Italia. Da ciò si intuirebbe anche il nome dello stesso progetto, derivato dallo storico presidente dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) Enrico Mattei, l’uomo che più di ogni altro si era speso per sciogliere il nodo gordiano della dipendenza italiana dall’energia d’importazione.
Inside Over
Obiettivo non dichiarato del Piano è cercare di trasformare la penisola nello snodo principale per l’esportazione di idrocarburi e gas dall’Africa al Vecchio Continente, rilanciando al contempo il ruolo di potenza della Repubblica italiana nello scacchiere geopolitico europeo. Se le risorse messe a disposizione per tale progetto appaiono abbastanza modeste (circa 5,5 miliardi di euro, provenienti da fondi già esistenti come quello per il clima), a rendere ancor più complicata la messa in opera del piano è la congiuntura di crisi politica ed economica causata dalle guerre in Ucraina e Medio Oriente, i cui effetti destabilizzanti sui mercati energetici rendono assai difficile portare avanti progetti di lungo respiro.
Da Nitti a Mattei: la lunga ricerca dell’indipendenza energetica
La scarsità di risorse energetiche presenti sul suolo italiano ha sempre rappresentato un tallone d’Achille per i governi post-unità. Quando la rivoluzione industriale e la conseguente introduzione del carbone cambiarono radicalmente i rapporti di forza e di produzione nel resto d’Europa, Roma rimase indietro. La dipendenza italiana dal carbone britannico pose lo Stivale in una posizione di dipendenza e sottosviluppo rispetto agli partner europei come Francia, Gran Bretagna e Germania, i quali iniziarono a spartirsi il globo in sfere d’influenza, con annesse le preziose risorse in esse situate. Il primo uomo politico ad affrontare apertamente la questione energetica italiana fu Francesco Saverio Nitti nella sua opera “La conquista della forza” (1905), in cui il più volte premier suggerì di procedere verso la nazionalizzazione delle risorse idroelettriche, l’unica fonte energetica presente in abbondanza sul suolo nazionale e in grado di alleggerire il paese dalla dipendenza fossile. L’avvento del petrolio all’inizio del XX secolo non fece che peggiorare la situazione, tagliando fuori l’Italia dal gioco delle potenze uscite vincitrici dalla Grande Guerra. Sotto il regime fascista, Roma tentò di risolvere il proprio dilemma energetico inizialmente attraverso vie diplomatiche, come testimoniano gli accordi petroliferi siglati da Mussolini con Mosca sotto l’egida della neonata AGIP (Azienda Generale Italiana Petroli), per poi passare all’aggressione militare con l’obiettivo di conquistare fisicamente le risorse in questione. Con il crollo del fascismo e la nascita della Repubblica, l’Italia si ritrovò al punto di partenza, dovendo sostenere una ricostruzione economica energivora senza disporre delle fonti necessarie.
Enrico Mattei, nominato commissario speciale dell’AGIP, si adoperò per garantire sufficienti risorse per sostenere la crescita a prezzi accessibili, rompendo in maniera piuttosto originale le convenzioni economiche che fino ad allora avevano caratterizzato i mercati petroliferi globali. La diplomazia dell’ENI, sintetizzata nella celebre formula Mattei, consistette nel negoziare direttamente accordi petroliferi con i nuovi paesi produttori sorti in seguito alla fine della colonizzazione, bypassando gli intricati sistemi di concessioni decretati dalle Sette Sorelle, le grandi compagnie petrolifere che controllavano il mercato oligopolistico degli idrocarburi. La capacità dimostrata da Mattei di negoziare accordi favorevoli ai paesi produttori, rompendo le logiche stesse della Guerra Fredda come dimostrato dalle intese siglate con i sovietici, con la Cina di Mao e con i rivoluzionari algerini, causarono diversi problemi all’Italia in sede internazionale. La morte improvvisa di Mattei nell’ottobre del 1962, avvenuta in circostanze mai chiarite, pose drammaticamente fine al progetto italiano di ritagliarsi uno spazio autonomo nei mercati energetici.
Un piano che odora di gas
Costruire un rapporto di fiducia e di stabilità fra Italia e Africa, basato su criteri di cooperazione, con mutui benefici e di carattere necessariamente paritario, così come Mattei fu in grado di fare negli anni Cinquanta e Sessanta: questo è l’obiettivo dichiarato del Piano, in cui la questione energetica è stata completamente omessa.
Bloomberg
Osservando la politica estera italiana fin dall’insediamento di Giorgia Meloni, possiamo invece notare come l’energia sia tornata a giocare un ruolo assolutamente primario a causa delle mutate condizioni geopolitiche e geo-economiche degli ultimi mesi. La serie di accordi energetici stretti fra Palazzo Chigi e alcuni paesi nordafricani, come Egitto, Tunisia, Libia e Algeria, dimostrano come Roma sia determinata a tornare a esercitare un ruolo influente nelle dinamiche mediterranee utilizzando il suo ruolo di naturale connettore fra Africa e Mitteleuropa per esportare idrocarburi verso il Vecchio Continente. La guerra del gas di Putin per colpire la dipendenza europea dall’energia russa, così da ottenere la fine del sostegno occidentale all’Ucraina, si è rivelata fallimentare, non solo per l’impatto tutto sommato contenuto dell’ondata inflazionistica generata dall’aumento dei prezzi del carburante, ma soprattutto per la capacità degli attori europei di diversificare i propri fornitori.
Bloomberg
Per quanto riguarda l’Italia, la quota russa è stata rimpiazzata, fatta eccezione per l’Azerbaigian e il Qatar, da paesi africani, Algeria, Libia e Angola in testa. La volontà di rilanciare il Piano Mattei proprio in questa congiuntura economica appare funzionale agli interessi italiani di garantirsi, in prima istanza, sufficienti fonti di energia per il proprio fabbisogno domestico, per poi destinare il proprio surplus energetico all’esportazione nel resto del continente. Così posto, il Piano Mattei apparirebbe come un tentativo di compravendita di risorse energetiche in cambio di formazione, sanità e investimenti nei paesi produttori, senza rispettare troppo la clausola della cooperazione paritaria. Infine, l’ambizioso obiettivo dello sviluppo autonomo dell’Africa nasconde, neanche troppo velatamente, la volontà di frenare le partenze verso l’Europa, finanziando governi perlopiù autoritari e corrotti in grado di agire come vero e proprio argine nei confronti delle ondate migratorie provenienti dal Sahel e dalla regione subsahariana. Il caso dei nuovi accordi con la Tunisia, sprofondata in una regressione autoritaria sotto la presidenza di Kaïs Saïed, dimostra esattamente come dietro i proclami di una cooperazione non predatoria ed egalitaria si celino interessi estremamente pragmatici e riconducibili all’interesse nazionale.
Quale futuro per il Piano Mattei?
L’ambizioso progetto di garantire energia a costi contenuti in un momento storico caratterizzato da una continua instabilità dei mercati energici e di rilanciare il ruolo dello Stivale nello spazio euromediterraneo si dovrà necessariamente scontrare con una serie di fattori che potrebbero impedirne la messa in opera. Innanzitutto, l’intrinseca variabilità dei prezzi delle risorse energetiche sui mercati globali impedisce l’elaborazione di politiche commerciali di lungo periodo in tale settore. Gli attacchi dei ribelli Houthi alle navi cargo transitanti nello stretto di Bab el Mandeb hanno già avuto ripercussioni sulle catene di approvvigionamento globali, costringendo le principali compagnie mondiali a circumnavigare l’Africa per raggiungere i porti mediterranei, facendo inevitabilmente lievitare i costi medi di trasporto. La spirale inflazionistica da ciò generata andrà a colpire anche i mercati energetici, portando a un aumento dei prezzi del petrolio e del gas in Europa. La reazione muscolare di Stati Uniti e Gran Bretagna volta a colpire i siti militari in Yemen legati agli Houthi non basterà probabilmente a fermare gli attacchi, destinati a proseguire fino a quando la guerra a Gaza non sarà conclusa. L’instabilità dei mercati energetici si sovrappone alla stessa instabilità politica che affligge l’Africa, un continente attraversato da molteplici crisi e conflitti di cui non si intravede la fine. I vari colpi di stato che hanno sconvolto il Sahel, dal Burkina Faso al Mali, dal Niger alla Repubblica Centrafricana sono tutti riconducibili al medesimo imperativo della sicurezza, minacciata da sconvolgimenti climatici ed ecologici e dalla presenza di gruppi jihadisti nella regione. Roma non offre alcuna soluzione a questo tipo di problema, spingendo i vari governi africani a cercare altrove i propri security providers, spesso bussando alla porta di Mosca o di Ankara.
EuropaToday
Il Piano Mattei, in conclusione, non sembra essere stato concepito tenendo in considerazione queste variabili, che sono fondamentali per potersi districare abilmente in un panorama internazionale in continuo mutamento. Nonostante i proclami altisonanti che ne hanno accompagnato l’annuncio, la strategia del governo Meloni appare spuntata, priva di solide fondamenta economiche e geopolitiche necessarie per lanciarsi in una simile impresa. Solo il tempo potrà giudicare l’effettiva qualità della messa in opera del piano, ma la possibilità che tale progetto si riveli una chimera rischia di essere piuttosto elevata.
Image Copyright: ANSA
Comments