"Sapere è potere": la biblioteca reale di Buda
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di Cosimo Bettoni.
Reddere Pannoniam alteram Italiam
Nel corso dei suoi trentadue anni al potere, il re d’Ungheria Mattia Corvino (1458-1490) seppe affermarsi come uno dei più grandi sovrani del continente europeo. Conquistatore e uomo di lettere, il suo regno rappresentò per l’Ungheria una vera e propria età dell’oro, mai vissuta in precedenza e mai replicata in seguito.
Non è semplice offrire un ritratto completo di questo personaggio, e ciò in primo luogo a causa dello svariato numero di poeti, scienziati, artisti e storiografi che ne diedero un ritratto straordinariamente idealizzato.
A contribuire in maniera decisiva alla creazione della sua leggenda fu la costruzione della Biblioteca reale di Buda, meglio nota come Bibliotheca Corvina (o Corviniana), divenuta il simbolo stesso dell’epoca umanistica in Ungheria.
Nel corso di questo piccolo excursus, cercheremo di illustrare come la popolarità del re ungherese abbia goduto proprio dell’aver legato la propria immagine personale al prestigio della Corviniana. All’interno di questa confluirono volumi di straordinaria fattura materiale e grafica, che non vanno, però, valutati solamente dal punto di vista estetico, ma anche per il fatto che essi, tutti assieme, costituivano una sorta di memoria dell’antichità greco-latina.
I manoscritti, quasi tutti splendidamente rilegati e decorati, provenivano dalle officine dei copisti di Buda, spesso finanziate direttamente dalla corona, ma anche da Firenze, principale fonte di approvvigionamento per il Corvino di testi latini e, come si avrà modo di vedere, anche di testi in lingua greca.
La portata epocale dell’epoca di Mattia Corvino può essere riassunta nella frase utilizzata da Antonio Bonfini (1427-1502), uno dei tanti umanisti italiani attivi presso la corte ungherese in questi anni. Bonfini nelle sue Rerum Hungaricarum Decades scrive di come Mattia si sforzasse di fare dell’Ungheria un’altra Italia (Pannoniam alteram Italian reddere conabatur). Uno sforzo pienamente ripagato, e che permise a Mattia di essere riconosciuto come concorrente dei più importanti mecenati della penisola italiana e come uno dei principali promotori culturali dell’intero continente europeo.
Per comprendere quanto apicale fosse il nome di Mattia all’interno del mercato librario alla fine del Quattrocento è bene recuperare il commento di Lorenzo il Magnifico, che, all’indomani della morte del sovrano ungherese nel 1490, commentò ironicamente affermando: Il re d’Ungheria è morto, ci sarà abbondanza di copisti (Milano, 2002: 68).

Miniatura raffigurante Mattia Corvino
Ex media Graecia et Italia
Già pochi decenni dopo la sua scomparsa, storie sul mirabolante patrimonio della Corviniana iniziarono a diffondersi nella cultura europea. Questa era stata d’altronde già oggetto del sistematico saccheggio compiuto da svariati umanisti transalpini, nei confronti dei quali i sovrani jagellonici Ladislao II (1490-1516) e Luigi II (1516-1526) si erano dimostrati sin troppo generosi (C. Csapodi e K. Csapodiné-Gardonyi, 1981: 30).
La dissoluzione vera e propria della Biblioteca di Buda iniziò, però, solo in seguito al sacco ottomano di Buda del settembre 1526. L’evento ebbe un’eco gigantesca in tutta Europa, suscitando orrore e indignazione a causa dell’enorme quantità di volumi e altri tesori che il sultano Solimano II il Magnifico (1520-1566) portò con sé a Costantinopoli.
Nonostante la dispersione del materiale librario, è stato possibile ricostruire – sebbene non fisicamente – la grandezza del tesoro corviniano facendo riferimento a una serie di caratteristiche tipiche presenti nei volumi: le tipiche legature – in seta velluto o cuoio –, l’iniziale pagina decorativa recante il ritratto del re o il suo stemma (Rozsondai, 2002: 249-260).
Questo discorso vale, però, solo per una parte del patrimonio corviniano, ossia quello costituito dai manoscritti latini, relativamente semplici da identificare proprio grazie alla presenza di quelle particolarità alle quali si accennava poc’anzi.

Plut. 14 Cod. 6, oggi presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.
Diverso è il discorso da fare per le corvine greche, ossia i manoscritti greci presenti all’interno della Corviniana. L’esistenza delle corvine greche è testimoniata già dal poeta fiorentino Naldo Naldi (1439-1513), autore di un’Epistola de laudibus Augustae Bibliothecae (1490) in cui si offre una descrizione precisa della Biblioteca del re Mattia. Il secondo dei quattro libri in cui è organizzata l’Epistola si sofferma esclusivamente agli autori greci presenti nel catalogo corviniano, che comprendeva, tra gli altri: Omero, Pindaro, Diodoro Siculo, Teocrito, Alceo, Saffo, Tucidide, Erodiano (Naldi, 1737: 595-642).
Al di là però di questo elenco, le informazioni fornite dal poeta fiorentino sulla provenienza di questi libri sono pressoché nulle, visto che non si fa alcuna menzione al luogo dal quale il re potesse rifornirsi di volumi. Si deve inoltre ridimensionare l'utilità di Naldo come fonte, poiché la sua descrizione della Biblioteca Corviniana non fu frutto di una visita personale. Egli, infatti, non si recò mai a Buda di persona, ma scrisse questo elogio su commissione dell’umanista parmense Taddeo Ugoleto (c. metà del XV secolo-1513), bibliotecario ufficiale di Mattia Corvino. Come ha poi giustamente osservato Christian Gastgeber, l’intera costruzione del testo dell’Epistola sembra dipendere molto dal modello offerto dalla Politia letteraria (1540, data della prima edizione a stampa) di Angelo Camillo Decembrio (1415-1467 c.).
Essendo Naldo l’unica fonte contemporanea al regno di Mattia, si deve necessariamente tenere conto di quanto viene riferito da visitatori successivi, i quali testimoniano tutti dell’esistenza di un corposo patrimonio greco.

Il corvo, simbolo del potere regale di Mattia.
I resoconti più importanti vengono forniti da tre umanisti transalpini: Johann Alexander Brassicanus (c.1500-1539), Nicolaus Olahus (1493-1568) e Martinus Brennerus (1516-1598).
A quanto affermato da Brennerus – autore della relazione più tarda, risalente al 1530 – si rifanno anche gli altri due quando affermano che era la Grecia ottomana il luogo deputato da Mattia e dai suoi agenti all’acquisto di manoscritti greci. Utilizzano tutti la stessa espressione, ex media Graecia, per riferirsi all’acquisto dei volumi direttamente dal mondo greco-ottomano.
Tale affermazione, apparentemente innocua, dimostra in realtà quanto questi umanisti siano stati esposti a un certo tipo di retorica promossa al suo tempo da Mattia: quella del sovrano come ‘’liberatore’’ della cultura greca dalla prigionia ottomana (Gastgeber, 2014: 52). Questa retorica – alla cui costruzione si dedicherà spazio nel paragrafo successivo – convinse molti intellettuali europei a ritenere il confine ugro-ottomano al tempo di Mattia Corvino più poroso di quanto fosse in realtà (Razso, 1986: 3-50). Solo nel corso della successiva epoca jagellonica questo confine sarebbe divenuto per motivi diplomatici più fumoso che in passato. Non si può escludere pertanto che dei manoscritti greci siano giunti a Buda, e quindi confluiti nella Corviniana, in un’epoca successiva alla morte di Mattia, magari sotto forma di dono nel corso di una delle molte trattative diplomatiche tra ungheresi e ottomani avvenute nei primi due decenni del Cinquecento (Fodor e Dávid, 1994: 9-45).
Una possibile via d’uscita da questo vicolo cieco è paradossalmente offerta proprio da uno di questi umanisti transalpini, ossia Martinus Brennerus, il quale, oltre a segnalare l’acquisto di volumi dalla Grecia, riporta che anche l’Italia rappresentava per il sovrano ungherese un mercato importante per l’acquisto di opere greche.
La testimonianza offerta da Brennerus trova un riscontro effettivo nell’attività di alcuni rappresentanti di Mattia in Italia, luogo in cui era facile reperire volumi in greco sin dal tempo del Concilio ecumenico di Firenze-Ferrara, al quale aveva preso parte una nutrita delegazione bizantina che aveva portato con sé un corposo numero di manoscritti come dono per l’Occidente (Geneakoplos, 1988: 350-381).
Tra gli agenti ungheresi particolarmente attivi vi furono il vescovo János Vitéz (1408-1472) e suo nipote, il poeta Giano Pannonio (1434-1472). È soprattutto su quest’ultimo che possediamo le notizie più attendibili, che ci vengono fornite dal celebre libraio fiorentino Vespasiano da Bisticci (1491-1498), il quale riporta che Pannonio:
[VI] Volendo fare una degna libraria, comprò a Roma tutti i libri che poteva avere, così greci come latini, d’ogni facultà. Venuto in Firenze, fece il simile di comprare tutti i libri greci e latini che poteva avere, non guardando né a prezzo né a nulla; ch’era liberalissimo. Nella partita lasciò parecchie centinaia di fiorini, per fare libri latini e greci che gli mancavano... Ordinò a Firenze quello che voleva che si facesse, e partissi, e andò alla via di Ferrara, e tutti i libri che trovò, comperò. Il simile fece a Vinegia...ordinò una degnissima libraria in greco e in latino, pel suo vescovado, in ogni facultà, così in teologia come in filosofia e in iure civile e canonico (Bisticci, 1859: 226-227).
Le biblioteche private di János Vitéz e di Giano Pannonio, caduti in disgrazia in quanto individuati come membri di una congiura ordita contro Mattia Corvino, vennero successivamente espropriate dal sovrano, confluendo così nel patrimonio della Biblioteca Corviniana, e costituendo la base del fondo greco di essa, allargatosi ulteriormente al tempo in cui Taddeo Ugoleto fu bibliotecario (Csapodi, 1973).
Se esiste, dunque, un modo di guardare allo sviluppo del patrimonio corviniano greco attraverso le fonti a nostra disposizione, non può che essere quello appena presentato. Le uniche due eccezioni sono costituite dal codice Supplementum graec. 4 della Biblioteca Nazionale Austriaca e dal Rep. I della Biblioteca Universitaria di Lipsia, contenente il De cerimoniis dell’imperatore bizantino Costantino VII Porfirogenito (911-959). Solamente questi due volumi, infatti, recano alcuni degli elementi caratteristici delle corvine latine
La Biblioteca Corviniana come strumento di legittimazione del potere
La storia della Corviniana di Buda, al pari di quella di altre grandi biblioteche come quella di Alessandria, è difficile da analizzare senza notare i profondi significati politici che l’istituzione assunse nel corso del regno di Mattia Corvino, il cui merito fu quello di aver trasformato lo strumento culturale in uno straordinario mezzo di affermazione del proprio potere monarchico. Il suo intento di costruire un grande potere all’interno dell’Europa centrale passava in primo luogo dalla necessità di presentare come legittima la propria autorità ai sudditi, in particolare alla grande nobiltà ungherese. Questo progetto, per il quale vale la pena richiamarsi al concetto di Stato come opera d’arte (Burckhardt, 1955), dimostra che per il sovrano ungherese non erano le grandi monarchie europee i modelli di riferimento, bensì le signorie della penisola italiana.
Mattia e i suoi panegiristi avevano operato magistralmente nel loro tentativo di presentare il sovrano ungherese al pari dei grandi mecenati rinascimentali italiani, coi quali ovviamente il re sentiva di poter competere anche in ambito culturale. Da questo punto di vista, appare chiaro che la costruzione della sua grande biblioteca di Buda non fu solo una parte, ma il vero e proprio fiore all'occhiello di un più ampio progetto politico-culturale.
Anche la realizzazione di un fondo di manoscritti greci si rivela un elemento cruciale di questo complesso disegno che mirava a ritrarre Mattia come principale interprete della nuova stagione culturale e politica inaugurata dall’Umanesimo, nella quale il recupero del patrimonio greco era un aspetto fondamentale (Németh, 2017: 91).
Dietro il tentativo di presentarsi agli occhi del mondo come il perfetto sovrano umanista, Mattia Corvino nascondeva il desiderio di conferire legittimità alla propria casata attraverso quel diritto che emana dalla virtus, dalla areté plutarchea, su cui si poggia il nuovo Principe, da Venezia a Firenze, da Napoli alla Milano sforzesca (Tristano, 2009: 224).
Gli eventi immediatamente successivi alla morte di Mattia nel 1490 forniscono un’ulteriore dimostrazione di quanto appena detto riguardo al valore politico-simbolico del patrimonio corviniano. Quando, infatti, il figlio illegittimo del re defunto, Giovanni Corvino (1473-1504), venne spodestato dalla nobiltà ungherese, egli decise di impossessarsi dei volumi della Biblioteca paterna. Il fatto poi che la restituzione di questa, dopo la resa di Giovanni, venne inserita tra i punti del trattato che sancì la tregua chiarisce ulteriormente come essa fosse divenuta uno dei simboli del potere reale.
Così tanto prestigio era emanato dal mito della Corviniana, che persino a diversi secoli di distanza dalla sua fine, l’obiettivo di ricomporre il patrimonio della Bibliotheca Augusta di Mattia Corvino veniva continuamente ribadito dai sovrani asburgici e transilvani come mezzo per affermare il proprio ruolo egemonico nella lotta contro l’Impero ottomano e la funzione di guide culturali nell’area dell’Europa centrale (Mikó, 2002: 29).

Il Codex Lat. 417, contenete le Heroica di Filostrato.
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