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Storia e leggenda di Timur Lenk. Crudeltà e imprese del più grande sovrano del XIV secolo

Updated: May 17, 2022


di Cosimo Bettoni.


Una non breve, ma doverosa, introduzione

Il nome ‘’Tamerlano’’ è un nome che evoca l’orientalismo, ma quello più puro e fatto da luoghi comuni e stereotipi che Edward Said ha magistralmente descritto nel suo celebre saggio del 1978, per l’appunto intitolato ‘’Orientalismo’’.

Sono pochi i personaggi della storia umana che, al solo sentir pronunciare il loro nome, portano immediatamente il nostro cervello ad offrirci delle rappresentazioni così stereotipate e grandiose.

Soprattutto per chi si interessa di storia il nome Tamerlano rievoca in qualche modo l’ambientazione del celebre videogioco della Ubisoft ‘’The Prince of Persia’’, fatto di sabbia, cavalli e città misteriose di cui conosciamo solo gli affascinanti nomi, come Samarcanda.

Samarcanda, la capitale dell’impero che Tamerlano riuscì a costruire attraverso le sue sanguinare campagne militari, che secondo alcuni avrebbero causato 17 milioni di morti, il 5% della popolazione vivente allora sul pianeta (J.J. Saunders 1971: 174).

Mito e leggenda si conciliano nelle biografie di Timur Lenk (1336-1405), lo ‘’zoppo’’ (soprannome dovuto alle sue menomazioni fisiche al braccio e alla gamba, causate da una caduta da cavallo), personaggio che come tutti i grandi ha avuto ‘’tanti panegiristi quanti detrattori’’ (Jean-Paul Roux 1995: 10).

A lungo Tamerlano è stato un grande personaggio orientale, avvolto da tutti pregiudizi che l’età moderna ha attribuito al continente asiatico: terra crudele e governata da despoti, e così abbiamo lo spietato sovrano ritratto da Cristopher Marlowe nel suo Tamburlaine the Great (1587).

Oggi sembra però più che doveroso andare oltre questi stereotipi, ma allo stesso tempo sembra necessario cercare da dove questi traggano origine, aiutandoci così a ricostruire la vicenda di colui che senza dubbi è possibile definire come il più grande personaggio storico vissuto nella seconda metà del XIV secolo.

Per fare questo ci serviremo di fonti diverse, tanto per area geografica di provenienza che per distanza nel tempo: la storiografia bizantina, l’opera storica di un monaco armeno vissuto tra XIV e XV secolo, la biografia redatta dal viaggiatore senese Beltramo Mignanelli e quella di Paolo Giovio, inserita nella monumentale opera degli Elogia (1551).

Ma prima di fare ciò è necessario offrire almeno alcune indicazioni chiave riguardanti la vita di Timur.


La biografia di un conquistatore

Timur era figlio di Taragai, capo della tribù mongola del tutto turchizzata e convertita all’Islam dei Barlas, e di Thakina Kathun.

Taragai faceva parte della stirpe nata con il leggendario sovrano mongolo Khaidu Khan, da cui sarebbe disceso anche Temujin, meglio noto come Gengis Khan (1162-1127), con cui dunque Tamerlano condivideva il sangue.

Dopo essersi fatto notare come comandante di cavalleria per l’emiro della Transoxiana*, alla morte di quest’ultimo egli riuscì a divenire padrone dell’area nel 1365, dopo aver sconfitto un altro capo mongolo, Ilyas Khan.

Da qui in poi la vita di Tamerlano fu un’incessante cavalcata da Samarcanda, scelta come capitale,

verso nuove terre, nuove conquiste.

Dapprima si rivolse contro le realtà politiche eredi del grande impero di Gengis Khan: tra il 1366 e il 1399 vi fu il lunghissimo conflitto con l’Orda d’Oro, seguì la campagna contro l’Ilkhanato in Persia e la grande campagna contro il sultano di Dehli in India del 1398-1399, conclusasi con il brutale saccheggio della città.

Terminata la campagna in India, Tamerlano si rivolse verso il Medio Oriente, dove erano presenti altri due grandi poteri islamici, quello dei Mamelucchi in Egitto e degli Ottomani tra Anatolia e i Balcani.

Tamerlano sconfisse dapprima i Mamelucchi, riuscendo così ad occupare e saccheggiare Aleppo e Damasco, in seguito si rivolse contro il sultano ottomano Bayazed I (1389-1402), che sconfisse e prese prigioniero nella leggendaria battaglia di Ankara (1402).

La vicenda della cattura di Bayazed da parte dei Timuridi ha generato una notevole controversia tra gli storici, causata dalle diverse narrazioni offerte nelle fonti (Milwright, Baboula 2011): alcune riferiscono che Bayazed venne umiliato e usato come poggiapiedi, altre che venne ucciso, altre ancora che visse in una lussuosa prigionia.

Dopo la campagna in Anatolia, Timur tornò a Samarcanda, dove rimase fino al 1404, anno in cui ebbe inizio la grande campagna di conquista della Cina, al tempo governata dalla dinastia Ming.

Il progetto di ricostituire il grande impero mongolo di Gengis Khan venne però meno quando, all’inizio del 1405, Tamerlano si ammalò, morendo a causa della polmonite nel giro di pochi giorni.

L’impero che aveva costituito non gli sopravvisse a lungo, e proprio grazie alla sua frammentazione avrebbero trovato il modo di emergere tre nuove grandi realtà politiche islamiche: gli Ottomani, i Safavidi nell’odierno Iran e i Moghal in India.


Le fonti orientali: il Tamerlano ‘’bizantino’’ e quello ‘’armeno’’

Sono due gli storici bizantini che trattano della vicenda di Tamerlano: Ducas (1400-1462) nella sua Historia turcobizantina e Laonico Calcondila (1423-1490) nelle sue Historiarium demonstrationes.

Entrambi lo ricordano come un grande sovrano e un eccellente militare, e allo stesso modo essi guardano alla sua vittoria su Bayazed come ad una punizione che Dio ha inflitto ai Turchi per la loro arroganza (Nikoloudis 1996).

Se però l’approccio ‘’tucidideo’’ di Ducas fa sì che egli si limiti a descrivere le vicende del timuride che ebbero un effettivo risvolto anche nella storia di Bisanzio, Calcondila, che ha un gusto senza dubbio ‘’erodoteo’’, dimostra invece un vivace interesse etnografico per la vicenda di Tamerlano.

La fine del libro II e tutto il libro III delle Demostrationes trattano infatti delle campagne condotte dal timuride contro i popoli dell’Asia e dell’India, che, come sempre nella storiografia bizantina, vengono indicati ancora con i loro nomi antichi, un atteggiamento che ha generato molte riflessioni tra gli specialisti (Mango 1984).

Se per gli storici bizantini Tamerlano è dunque al massimo un’occasione per dare sfogo ad un certo interesse etnografico, così non è per il monaco armeno T‘ovma Mecop‘ec‘i (1378-1446).

Egli è autore di una grande opera storiografica intitolata Storia di Tamerlano e dei suoi successori, in cui racconta della devastazione e delle tragedie causate in Armenia dalle campagne dei sovrani timuridi.

Per T’ovma la vicenda di Tamerlano è l’occasione per ribadire il ruolo di storia come mezzo per salvare dall’oblio le vicende umane (Bais 104-105: 2019) e strumento necessario ad impedire che le brutalità causate da quelli che lui chiama ‘’sovrani infedeli dell’Oriente’’ (Bais 104: 2019) si verifichino di nuovo.

Due cristianità differenti, quella greco-ortodossa e quella armena, trovano dunque modo di comunicare tramite il racconto della biografia di Timuride, differenziandosi per un solo aspetto: se

la prima, che lo conobbe solo indirettamente, vide in lui un salvatore provvidenziale (la sconfitta di Bayazed, che stava assediando Costantinopoli, diede ancora un po’ di respiro ai Bizantini), la seconda ebbe modo di sperimentarne la ferocia e la spietata crudeltà.



Il Tamerlano degli Italiani

Le imprese di Tamerlano in Medio Oriente suscitarono fin da subito l’attenzione di Genova e Venezia; i primi biografi di Timur sostengono che la famiglia genovese dei Giustiniani, che aveva il dominio su Chio, gli inviò un’ambasceria (A.M. Piemontese 1996: 213).

Per arrivare alla prima biografia prodotta in Italia su Tamerlano si dovette aspettare sino al 1416, anno in cui il mercante ed erudito senese Beltramo di Leonardo Mingnanelli (1370-1455) terminò le sue Gesta Tomorlengh, un testo basato tanto sulla possibilità di leggere le prime biografie sul timuride in arabo e persiano (lingue che Mignanelli conosceva) e sull’esperienza personale (Mignanelli ebbe modo di vedere Tamerlano sotto le mura di Aleppo nel 1394).

Il Tamerlano raccontato dal viaggiatore senese è uno straordinario condottiero e un uomo spietato, delle caratteristiche che si sarebbero conservate anche nelle successive biografie prodotte in Italia sul sovrano mongolo.

La biografia prodotta su di lui da Paolo Giovio (1483-1552), quella inserita negli Elogia, ci dimostra che l’interesse per di Tamerlano era ancora vivo all’interno della penisola.

Come i suoi predecessori, anche Giovio non sembra in grado di offrire un ritratto univoco di Tamerlano, verso il quale sembra provare, così come per tutti i grandi militari di successo (A. Cerbo 1996), una certa fascinazione.

A differenza di altri biografi però, Giovio cerca di risolvere il biofrontismo del timuride attribuendo talvolta alla sua figura un ruolo "provvidenziale".

Come per gli storici bizantini dunque, Tamerlano era stato il castigatore dell'arroganza turca, ma allo stesso tempo si dimostrava anche un esempio di magnanimità che gli stessi cristiani debbono prendere ad esempio.



Sfumature per un ritratto

Cercare di arrivare ad un ritratto univoco di Tamerlano potrebbe rivelarsi un fine quasi impossibile, sia per l’elevatissimo numero delle fonti, sia per la grande differenza contenutistica ed interpretativa che queste hanno tra di loro.

La fascinazione esercitata dalla figura di Timur è però troppo grande perché non si sia tentati di fornire un ritratto unilaterale che, in qualche modo riesca a conciliare tutto quello che gli è stato attribuito.

Tamerlano fu un militare instancabile, l’ultimo a concepire la possibilità di riunificare l’enorme impero di Gengis Khan, un uomo dotato forse di una cultura non eccezionale, ma che si fece patrono delle arti e diede inizio ad un’età dell’oro dell’Asia Centrale, quella del cosiddetto Rinascimento timuride, una stagione durata fino alla fine del XV secolo.

A voler ben vedere però, egli fu soprattutto l’ultimo grande condottiero capace di imporre come dominanti le tradizionali tattiche di guerra nomadiche, basate sull’utilizzo di arcieri a cavallo, che nel giro di pochi anni sarebbero stati soppiantati dalle armi da fuoco.

Tamerlano fu il mongolo che scelse la città, ma continuò a vivere in un accampamento fuori Samarcanda.

Egli fu dunque l’ultima sopravvivenza di uno stile di vita, quello nomadico, che da sempre aveva combattuto quello urbano, ma che ora, di fronte all’imponente sviluppo tecnico e culturale, si

trovò ad essere inevitabilmente il grande sconfitto.








Bibliografia

-Anonimo. (2009). La storia segreta dei Mongoli. Milano. Guanda.

-Bais Marco. (2019). Il senso dell’alterità nella ‘’Storia di Tamerlano e dei suoi successori’’ di T’ovma Mecop’ec’i in Les récits historiques entre Orient et Occident (XI-XV siècle). Roma. École française de Rome.

-Cerbo Anna. (1996). Il Tamerlano negli ‘’Elogia’’ di Paolo Giovio, contenuto in Oriente Moderno, Nuova Serie, Anno 15 (76), Nr. 2, La civiltà timuride come fenomeno internazionale. Volume I, Storia - I Timuridi e l’Occidente. Roma. Istituto per l’Oriente C. A. Nallino.

-Giovio Paolo. (2006). Elogi degli uomini illustri. Torino. Einaudi.

-Knobler Adam. (1995). The rise of Timur and Western Diplomatic Response, 1390-1405, contenuto in Journal of the Royal Asiatic Society, Vol. 5. Cambridge. Cambridge University Press.

-Mango Cyril. (1984). Byzantine literature as a distorting mirror, in Byzantium and its Image, History and Culture of the Byzantine Empire and its Heritage. Londra. Variorum Reprints.

-Milwright Marcus e Baboula Evanthia. (2011). Bayezid’s Cage: A Re-examination of a Venerable Academic Controversy, contenuto in Journal of the Royal Asiatic Society, Vol. 21. Cambridge. Cambridge University Press.

-Nikoloudis Nicholas. (1996). Byzantine historians on the wars of Timur (Tamerlane) in central Asia and the Middle East, contenuto in Journal of Oriental and African Studies Vol. 8. Atene. Journal of Oriental and African Studies.

-Piemontese Angelo Michele. (1996). Beltramo Mignanelli senese biografo di Tamerlano, contenuto in Oriente Moderno 1996, Nuova Serie, Anno 15 (76), Nr. 2, La civiltà timuride come fenomeno internazionale. Volume I, Storia - I Timuridi e l’Occidente. Roma. Istituto per l’Oriente C. A. Nallino.

-Roux Jean-Paul. (1995). Tamerlano, le conquiste, le atrocità, le contraddizioni del creatore di uno dei più grandi imperi della storia. Milano. Garzanti.

-Saunders J.J. (1971). The history of the Mongol conquests. Londra. Routledge & Kegan Paul.





Image Copyright: "Tamerlano sconfigge i Mamelucchi d'Egitto" miniatura di Kamal ud-Din Behzad (XV-XVI secolo)

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