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L'antifascismo come cultura trasversale. Scuola e cultura al servizio dei valori democratici

  • Writer: Koinè Journal
    Koinè Journal
  • 7 days ago
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Cosimo Bettoni, Premessa

Il seguente contributo è il risultato finale di un progetto di PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l'Orientamento) – quella che una volta avremmo più volgarmente indicato con il nome di alternanza scuola-lavoro – realizzato da Koinè Journal presso il Liceo Scientifico Sportivo Gabric-Calvesi (Brescia) e l’Istituto Tecnico Meccanico Francesco Baracca (Brescia) nel corso di questa primavera.


Un sincero ringraziamento ai ragazzi e alle ragazze che hanno coraggiosamente deciso di partecipare a questa iniziativa, con la quale Koinè torna nuovamente ad operare all’interno del mondo scolastico. Sono stati loro a decidere di trattare il tema dell’antifascismo, che – per loro stessa ammissione – li appassiona moltissimo.


Il risultato finale del loro lavoro è questo articolo, organizzato in quattro sezioni e capace di trattare la questione dell’antifascismo da prospettive uniche e differenti. Dalla camiseta blaugrana ai limoni di Montale, dal volo di Lauro de Bosis al dovere di essere antifascisti: sono tanti gli aspetti tramite i quali possiamo riflettere su un tema che non ci dovrebbe toccare solamente in quanto scolastico o accademico, ma soprattuto come liberi cittadini amanti della democrazia.

 

 

Cindy Codispoti: Il poeta volante

Un aereo in solitaria, numerosi volantini e una grande idea. Lauro De Bosis (1901-1931) credeva che da un piccolo gesto si potesse indebolire il muro dell'oppressione fascista.

Il regime fascista di Benito Mussolini, instauratosi al potere nel corso dell’autunno del salito al potere in Italia nel 1922, soppresse la libertà di parola e la libertà di stampa. Attraverso la censura le informazioni fornite dalla stampa divennero pura propaganda nelle mani del regime, scrittori e intellettuali che criticavano le azioni del governo vennero mandati in esilio o incarcerati. Lauro De Bosis nacque a Roma nel 1901, figlio di Adolfo De Bosis , fondatore della rivista Il Convito. Data la posizione sociale, la loro casa divenne un punto di incontro per intellettuali come Giovanni Pascoli, Giosuè Carducci, Gabriele D'Annunzio ed Eleonora Duse. De Bosis crebbe in un ambiente culturale ricco il quale influenzò molto le sue idee; egli si avvicinò particolarmente alla corrente dell’estetismo, dominante ad inizio Novecento.


Nel 1919 perse il fratello nel corso di incidente durante un volo di addestramento militare, nel corso del quale precipitò in mare. Nel 1928 ottenne la medaglia d'argento alle Olimpiadi di Amsterdam con il dramma Icaro, un poema in cui esprimeva il suo desiderio di libertà e di sfida. Nel corso della sua vita, De Bosis si dedicò a diverse attività: dapprima si distinse come traduttore, fu poi segretario in una società Italia-America a New York, e tenne persino un corso di letteratura italiana presso l’Università di Harvard. Nel corso dell’ultima fase della sua vita lavorò anche come portiere in un albergo a Parigi.


Spinto dall'idea di opporsi al regime fascista, con l'aiuto di Mario Vinciguerra, fondò nel 1928 l'Alleanza Nazionale, un’associazione clandestina e antifascista. Dal 1928 al 1931 furono pubblicati undici bollettini, di cui vennero ciclostilate circa 600 copie. Essi contenevano idee di libertà e democrazia. Tra i numerosi volantini che furono diffusi uno dei più importanti scritti da De Bosis fu: Italiani! Il vostro silenzio è complicità. Mussolini non è l' Italia. L'Italia è la vostra libertà che vi è stata rubata (Lauro De Bosis, volantino su Roma, 3 ottobre 1931).


L'idea di De Bosis era di sorvolare Roma in aeroplano così facendo poi lanciare su di essa centinaia di migliaia di volantini. Questa intenzione si rafforzò dopo l'incontro con Gioacchino Dolci, amico di Giovanni Bassanesi, il quale nel 1930 aveva compiuto un'azione simile lanciando su Milano oltre 150.000 volantini contro il regime fascista. De Bosis grazie ad alcuni suoi conoscenti che lo finanziarono riuscì a procurarsi un aereo di fabbricazione tedesco, il Klemm L25 (ribattezzato “Pegaso”). Nonostante le sue sole sette ore e mezza di esperienza come pilota a fine maggio del 1931 si recò in Corsica per pianificare nei dettagli il suo piano. I volantini dovevano essere stampati inizialmente in Svizzera o in Francia; tuttavia, date le difficoltà, furono stampati in Inghilterra ed erano organizzati in tre tipi: uno rivolto al Re, uno indirizzato a tutti gli italiani e uno destinato al singolo cittadino. Il 3 ottobre 1931, De Bosis decollò da Marignane alle 15:15 , vicino a Marsiglia.


Il piano di volo ufficiale prevedeva come meta Barcellona con una rotta di 225 gradi, ma appena fu fuori vista puntò verso la Corsica seguendo una rotta di 97 gradi circa. Con una quota di 4.000 metri dopo 5 ore di volo alle ore 20 circa, sorvolò Roma. Il sole era già tramontato da un paio d'ore quando De Bosis lanciò circa 400.000 volantini sopra la città. Sfruttando le ultime ore di luce, De Bosis riuscì a distinguere tutti gli obiettivi del suo piano: Piazza Venezia, via del Corso e Palazzo Chigi. Completata la sua missione tornò verso la Corsica, ma probabilmente a causa della sua inesperienza non si rese conto che era a corto di carburante. L'aereo precipitò nel Mar Tirreno, condannando De Bosis allo stesso tragico destino del fratello. Egli divenne un simbolo della resistenza al fascismo, della libertà e ottenne il soprannome di “poeta volante”.

Immagine ispirata al volo antifascista di Lauro de Bosis


Federica Carera: Eugenio Montale e l’Antifascismo: la resistenza della parola nella cultura italiana

Negli anni del regime fascista, che impose un controllo autoritario sulla società e sulla cultura, la risposta di molti intellettuali si manifestò in forme di dissenso spesso discrete ma profonde. L’antifascismo italiano non fu soltanto una lotta politica o militare, ma anche una resistenza culturale che coinvolse molti intellettuali e artisti, tra cui Eugenio Montale (1896-1981). Montale rappresenta uno degli esempi più emblematici di come la poesia potesse diventare uno strumento di opposizione silenziosa ma incisiva.


Il fascismo tentò di plasmare l’intera vita pubblica e privata secondo i suoi valori, imponendo una cultura ufficiale fatta di propaganda, nazionalismo e mito della forza. L’individuo doveva sacrificarsi al servizio dello Stato e qualsiasi voce critica veniva repressa o messa a tacere. In questo clima di censura e intimidazione, gli intellettuali antifascisti furono costretti a sviluppare forme di resistenza spesso implicite, nascoste tra le righe delle loro opere. Montale seppe utilizzare la poesia come una forma di dissenso sottile ma efficace. La sua opera è attraversata da un senso di solitudine e di incertezza che riflette la condizione di chi vive sotto un regime totalitario. Non si tratta di un antifascismo urlato o manifesto, bensì di una resistenza morale e culturale che si esprime attraverso simboli, immagini metaforiche e un linguaggio che sottrae la parola poetica alla propaganda ufficiale.


Nei versi di Montale emerge la denuncia di una realtà oppressiva e alienante, dove la libertà individuale è compressa e la verità nascosta. Ad esempio, nella poesia I limoni, Montale utilizza la natura come simbolo di un’esistenza autentica e libera, in contrasto con la falsità del regime: No, non è questo il tempo delle viole: / è tempo di limoni. Densi e gialli.

Il limone diventa immagine di verità e di resistenza, mentre il regime rappresenta l’epoca della falsità e della sottomissione.


In Meriggiare pallido e assorto, Montale descrive una condizione di sospensione e isolamento, che può essere letta come metafora della condizione dell’intellettuale antifascista: Meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro d’orto… Il poeta si ritira in uno spazio di riflessione, lontano dal fragore del mondo oppressivo, mantenendo però vivo il pensiero critico.


L’uso della metafora, dell’allusione e del silenzio diventa così una strategia per preservare la libertà della parola. Montale crea un “luogo” culturale alternativo a quello del potere, dove si può ancora pensare e sentire liberamente. La sua poesia diventa una testimonianza del dolore e della difficoltà di vivere in un’epoca di oppressione, ma anche un atto di resistenza attraverso la dignità della parola.


Un altro esempio emblematico è la poesia Spesso il male di vivere ho incontrato, in cui Montale riflette sull’esperienza del dolore e della sofferenza esistenziale, temi che rispecchiano anche la difficoltà morale di vivere sotto un regime autoritario: Spesso il male di vivere ho incontrato: / era il rivo strozzato che gorgoglia, / era l’incartocciarsi della foglia / riarsa, era il cavallo stramazzato.

Questi versi indicano la realtà opprimente e soffocante, ma, nello stesso tempo, attraverso l’arte poetica vi è una volontà di resistere e di non arrendersi.


Montale si distingue così come uno degli esempi più alti di come la letteratura possa diventare una forma di opposizione, non attraverso l’impegno diretto e manifesto, ma tramite la costruzione di uno spazio critico e riflessivo. La sua poesia testimonia la capacità dell’arte di resistere anche nei momenti più bui, conservando intatto il valore della libertà e della dignità umana.


Oggi rileggere Montale significa ricordare l’importanza dell’antifascismo culturale come parte essenziale della nostra storia. La sua opera ci insegna che la resistenza può assumere molte forme, e che spesso è proprio nella parola, nella poesia e nel pensiero critico che si annida il germe della libertà contro ogni forma di autoritarismo.

Eugenio Montale


Pierluigi Novaglia: Sport e politica: dallo stadio al potere, tra fascismo e resistenza

Lo sport è stato usato dai regimi totalitari come strumento di controllo, propaganda e identità nazionale e, in alcuni casi, è diventato voce di opposizione. Nel corso del Novecento, lo sport ha avuto un ruolo sempre più centrale nella vita delle persone. Da semplice attività ricreativa, si è trasformato in spettacolo di massa, simbolo di successo, veicolo di valori e in molti casi, anche strumento di potere politico. Durante i regimi totalitari, come il fascismo in Italia o il franchismo in Spagna, lo sport non fu mai neutrale. Al contrario, fu accuratamente modellato per servire gli interessi del potere. Ma, come dimostra anche la storia più recente, può diventare anche un mezzo di resistenza. Tra il 1922 e il 1943, il regime fascista guidato da Benito Mussolini attribuì un'importanza centrale allo sport. Non si trattava solo di promuovere una popolazione sana e attiva, ma soprattutto di creare l’uomo nuovo: forte fisicamente, obbediente, pronto alla guerra e devoto al regime.


La diffusione dello sport avvenne tramite strutture come l’Opera Nazionale Balilla, i Gruppi Universitari Fascisti e l’Opera Nazionale Dopolavoro. Ogni fascia d’età aveva il suo percorso sportivo, rigidamente organizzato e controllato dallo Stato. Attività come l’atletica, il pugilato e il nuoto, rispecchiavano l’ideale maschile fascista, anche se le donne, in misura minore, erano coinvolte. Lo sport divenne anche uno strumento di propaganda: le vittorie degli atleti italiani nelle competizioni internazionali erano presentate come prove della superiorità del fascismo. Il calcio, in particolare, assunse un ruolo centrale, con le vittorie ai Mondiali del 1934 e del 1938 celebrate come trionfi della nazione fascista. Ma, dietro ai successi sportivi, si nascondeva una realtà fatta di censura, indottrinamento e uso politico di ogni gesto atletico. Solo a partire dagli anni Settanta iniziarono studi seri sul rapporto tra sport e fascismo, mettendo in luce quanto fosse stato usato per controllare, modellare e plasmare ideologicamente l’intera società.


Una storia simile, ma con sviluppi in parte diversi, riguarda il FC Barcellona durante la dittatura franchista in Spagna (1939-1975). Nel primo periodo della dittatura, il club visse anni difficili: la dirigenza fu sostituita con uomini fedeli al regime, e ogni espressione culturale catalana fu repressa. Ma proprio in questo contesto, il Barcellona divenne uno degli ultimi spazi dove i catalani potevano esprimere, anche solo simbolicamente, la loro identità. Nel frattempo, il Real Madrid fu trasformato nel club simbolo del regime: ben finanziato, vincente a livello europeo, rappresentava la “nuova Spagna” che Franco voleva proiettare al mondo. Negli anni ’50 e ’60, il Barcellona, pur non dichiarandosi apertamente contro il regime, mantenne una posizione di sottile opposizione al centralismo franchista. Con il tempo, e soprattutto alla fine degli anni ’60, il club iniziò a rivendicare in modo più esplicito la propria identità catalana, contestando le regole della federazione e difendendo i propri diritti. Il Camp Nou, lo stadio del Barça, divenne sempre più uno spazio di libertà, dove i tifosi potevano cantare in catalano e mostrare simboli identitari. Così, il Barcellona non fu solo una squadra di calcio: fu un simbolo politico e culturale, un modo per resistere senza fare rumore.


Che lo sport possa essere anche un terreno di resistenza politica lo dimostra un episodio recente avvenuto a San Paolo, in Brasile. Nel resoconto della ricercatrice Isadora Salazar, si racconta di uno scontro simbolico tra due gruppi di tifosi antifascisti – la Democracia Corinthiana e la Porcomunas – e un gruppo nazionalista chiamato Carecas do ABC. L’evento si svolse nei pressi del SESC Pompeia, durante una manifestazione contro la filosofa Judith Butler. I due gruppi, pur tifando per squadre storicamente rivali (Corinthians e Palmeiras), si unirono per difendere valori comuni: democrazia, diritti civili, libertà di espressione. È un esempio di come lo sport possa diventare anche un linguaggio di opposizione, di solidarietà e di comunità. Anche in questo caso, come in passato, la città e lo stadio diventano luoghi di identità politica, dove il calcio non è solo una passione ma un mezzo per prendere posizione.

Dalla Roma fascista alla Barcellona franchista, fino alle strade di San Paolo, la storia ci mostra che lo sport non è mai soltanto sport. È cultura, è potere, è memoria, è lotta. I regimi totalitari lo hanno usato per controllare e modellare la società, trasformando gli atleti in strumenti di propaganda. Ma spesso, proprio in quegli stessi spazi, sono nate anche forme di resistenza, identità alternative e desideri di libertà. E forse è proprio questo il potere più grande dello sport: quello di unire, di raccontare, di far sentire la propria voce anche quando tutto intorno cerca di spegnerla.

L'FC Barcellona nella stagione 1945-46


Filippo Copeta: Essere antifascisti oggi: memoria, valori e responsabilità

L’antifascismo è un tema che spesso viene trattato a scuola o nei giorni delle commemorazioni, come il 25 aprile. Ma non sempre ci fermiamo davvero a riflettere su cosa significhi oggi definirsi antifascisti e perché sia ancora così importante parlarne.


In parole semplici, l’antifascismo è l’insieme delle idee e delle azioni che si oppongono al fascismo, cioè a quel regime autoritario guidato da Benito Mussolini che ha governato l’Italia dal 1922 al 1943. In quel periodo, conosciuto come Ventennio fascista, furono eliminate le libertà fondamentali, fu imposto il partito unico e chi non era d’accordo con il regime veniva arrestato, esiliato o addirittura ucciso. Inoltre, nel 1938 furono approvate le leggi razziali contro gli ebrei italiani. Tutto questo portò l’Italia a entrare in guerra a fianco della Germania nazista, causando distruzione, morte e divisione.


L’antifascismo non è nato tutto insieme, ma si è sviluppato nel tempo. All’inizio erano pochi a opporsi apertamente al fascismo, ma dopo l’8 settembre 1943, con l’armistizio firmato dall’Italia e l’occupazione nazista, nacque un vero e proprio movimento di Resistenza. Migliaia di persone – uomini, donne, giovani – decisero di unirsi ai partigiani per combattere contro i fascisti e i nazisti. La loro lotta portò alla liberazione dell’Italia, che avvenne il 25 aprile 1945.

Essere antifascisti oggi non vuol dire soltanto ricordare quel periodo, ma anche difendere i valori su cui si basa la nostra democrazia: la libertà, l’uguaglianza, il rispetto per gli altri, la giustizia. Sono questi i principi che stanno alla base della nostra Costituzione, scritta proprio dopo la fine della guerra e grazie al contributo di chi aveva vissuto la dittatura e voleva evitarla per il futuro.


Alcuni pensano che l’antifascismo non serva più, perché il fascismo è finito ottant’anni fa. Ma, purtroppo, ancora oggi ci sono movimenti e persone che si ispirano a quel periodo, magari in modo più nascosto, ma con le stesse idee di odio, discriminazione e intolleranza. Basta guardare alcuni episodi di cronaca o certi commenti sui social per rendersi conto che certi atteggiamenti non sono scomparsi.


Essere antifascisti non significa appartenere a un partito o a una certa ideologia politica. Vuol dire, invece, prendere una posizione chiara contro ogni forma di razzismo, violenza e autoritarismo. Vuol dire credere in una società dove tutti hanno gli stessi diritti, indipendentemente da dove vengono o da cosa pensano.


Come studenti e come giovani, abbiamo una responsabilità: conoscere la storia e imparare dai suoi errori. L’antifascismo ci ricorda che la libertà e la democrazia non sono scontate, ma vanno difese ogni giorno, anche con gesti semplici, come il rispetto per gli altri o la partecipazione attiva alla vita del nostro Paese. In conclusione, l’antifascismo non è solo qualcosa del passato. È un valore attuale, che riguarda il nostro presente e il nostro futuro. Essere antifascisti significa non dimenticare, ma soprattutto scegliere da che parte stare: quella della libertà, dell’umanità e della giustizia.

Celebrazioni del 25 aprile 1945







Bibliografia

Federica Carera, Antifascismo e Montale: la resistenza della parola nella cultura italiana

Zunino Pier Giorgio, Gadda, Montale e il fascismo, Laterza, Roma, 2023.

  • Bongiorno Andrea, Forme e temi della distanziazione dal potere nella poesia di Eugenio Montale, in Manganaro Andrea, Traina Giuseppe e Tramontana Carmelo (a cura di), Letteratura e Potere/Poteri. Atti del XXIV Congresso dell’ADI (Associazione degli Italianisti). Catania, 23-25 settembre 2021, Adi editore, Roma, 2023, pp. 2-14.

  • Giordano Giuseppe, La denuncia di un tradimento: il ‘’Manifesto degli intellettuali antifascisti’’, in Il Pensiero Italiano 1, 2017, pp. 37-50.

 

Cindy Codispoti, Il poeta volante

  • Fucci Franco, Ali contro Mussolini: i raid aerei anti fascisti degli anni Trenta, Mursia, Milano, 1978.

  • Peluso Rosalia, Lauro De Bosis è la religione della libertà, Le Lettere, Firenze, 2019.

  • Vacca Roberto, ‘’Storia della mia morte’’ di Lauro De Bosis è alternativa immaginata, in Testo e Senso 26, 2023, pp. 349-356.

 

Novaglia Pierluigi, Sport e politica: dallo stadio al potere, tra fascismo e resistenza

  • Salazar Isadora, Futebol, nacionalismo e antifascismo, in Ponto Urbe 22, 2018, pp. 1-4.

  • Florisbleo da Silva Ana Paula, Futebol, Identitade e poder, O FC Barcelona e sua Identificação com o Separatismo Catalão Durante a Ditatura Franquista (1939-1975), intervento tenuto nel corso del Seminário Nacional de Teoria Marxista: O capitalismo e suas crises, http://www.seminariomarx.com.br/

  • Serapiglia Daniele (a cura di), Tempo libero, sport e fascismo, BraDypUS Editore, Bologna, 2016.

  • Fonzo Emilio e Landoni Enrico, Storia e storiografia dello sport durante il fascismo, in Storia dello Sport 4, 2022, pp. 1-6.


Filippo Copeta, Essere antifascisti oggi: memoria, valori e responsabilità

  • Rapone Leonardo, L’antifascismo nella società italiana, in Studi Storici 37/3, 1996, pp. 959-968.

  • Pompeo D’Alessandro Leonardo, Il fascismo, l’antifascismo e la società italiana: un problema aperto, in Studi Storici 55/1, 2014, pp. 197-211.

  • Soronà Gregorio, Storiografia del fascismo e dibattito sull’antifascismo, in Studi Storici 55/1, pp. 213-255.

  • Trainello Francesco, Il ruolo del fascismo e dell’antifascismo nel ‘’Secolo breve’’, in Storia Contemporanea 18/2, 2015, pp. 310-317.

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