di Enrico Martinelli.
Sullo sfondo delle Alpi Piemontesi, tra battaglioni partigiani, l’ultimo film dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, “Una Questione Privata” (2017), ispirato liberamente all’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio del 1963, ci descrive la resistenza armata in modo accurato, ma senza mai renderla protagonista. La storia che seguiamo per gli ottanta minuti di pellicola, infatti, è quella di Milton (Luca Marinelli), ragazzo timido, introverso e appassionato di letteratura inglese, diventato da poco partigiano: lo apprezziamo nella sua purezza per pochi minuti, finché, a causa di un dubbio insidiatosi nella sua mente, ha inizio un delirio degno di personaggio shakespeariano, che sarà il motore dell’intera trama.
Nel mentre di una ritirata partigiana, tra la fitta nebbia della città di Alba, Milton riconosce la villa appartenente a Fulvia (Valentina Bellè), ragazza con la quale lui e il suo miglior amico Giorgio (Lorenzo Richelmy) passavano intere giornate insieme prima della guerra. Giorgio è un giovane intraprendente ed estroverso, con un carattere opposto a quello di Milton, ma accomunati da una cosa: l’amore per Fulvia. Se con uno la ragazza si dilettava ad ascoltare musica e leggere letteratura inglese, con l’altro era solita correre e ballare per tutta la villa. Entrato nella casa, Milton non trova la sua amata ma la governante rimasta a custodire la villa: la signora racconta al ragazzo degli incontri fra Fulvia e Giorgio, rimasti soli dopo la sua partenza per la guerra.
Sono passati pochi minuti dall’inizio del film quando ha inizio la vera “questione privata”: sentendo le sue parole, Milton si aliena completamente dal contesto in cui si trova, la fuga disordinata dai fascisti fra i colli nebbiosi, fino a perdere il senno, come il noto Orlando, ossessionato dallo scoprire se ci sia stato qualcosa fra i due.
Purtroppo, però, Fulvia è partita per scappare dalla guerra, mentre Giorgio ha iniziato a combattere con i partigiani pochi mesi dopo di lui; quindi, ciò che resta al timido ragazzo appassionato di letteratura è farsi strada fra i reggimenti partigiani per cercare il vecchio amico. Dopo alcune vicissitudini scoprirà che è stato da poco catturato dagli Scarafaggi Neri, inconveniente che renderà ancora più complessa la sua missione per scoprire la verità. Infatti, Milton sarà costretto a cercare un fascista prigioniero dei partigiani, da poter scambiare, per avere indietro Giorgio.
Perlustrando i numerosi reggimenti su colli vicini, ci immerge nella vita quotidiana della resistenza armata, composta non da centinaia di soldati armati e generali invasati, ma da piccoli gruppi composti da persone di ogni età raramente coordinati fra loro. Tuttavia, una costante accomuna tutti i momenti descritti, dalla scena nel fienile in cui i giovani sono costretti a dormire coperti solo dalla paglia, fino alle telefonate fra reggimenti per decidere come organizzarsi durante i vari combattimenti: il clima di speranza. Per supportarsi a vicenda, infatti, si ripeteva fra compagni, come una preghiera, quanto il loro supplizio non fosse vano, ma proiettato verso un nobile fine: liberare la terra Madre.
Fra le scene aggiunte alla trama originale del libro, troviamo quella in cui Milton, durante sua odisseica indagine, si imbatte in un uomo di mezza età, inghiottito dalla pazzia della guerra, che mima i movimenti e i suoni di un batterista jazz. La regia di una delle scene più iconiche della pellicola lo descrive tramite un primo piano fisso sul volto, che punta a trasmettere i sentimenti del soldato, solo tramite i suoi occhi vitrei, mentre muove la bocca ad imitare una batteria, come impegnato in una gara di beatbox. Così, in un attimo, i suoni di piatti e rullanti rimandano al caos creato da cannoni e mitragliatrici, protagonisti di una guerra assordante, descritti anche dal poeta Marinetti nella poesia Zang Tumb Tumb.
Il finale della pellicola, come d’altronde quello del libro, rimane irrisolto, aperto alle interpretazioni dello spettatore. Infatti, nel testo originale, Milton sceglie di tornare alla villa per incontrare nuovamente la governante: purtroppo il terreno è occupato da dei fascisti che vedendolo, iniziano a rincorrerlo finché “Gli si parò davanti un bosco e Milton vi puntò dritto, come entrò sotto gli alberi, questi parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò”.
La morte dell’autore Beppe Fenoglio e la pubblicazione postuma della sua opera, ha obbligato la trama a terminare prematuramente. Questa scelta è stata rispettata dai registi, che inscenano un frenetico inseguimento avvolto nel nebbioso clima piemontese, specchio dello stato d’animo del protagonista. Infatti, come nel romanzo Cime Tempestose, che intratteneva Milton e Fulvia durante le giornate passate insieme, le ambientazioni che circondano i personaggi riflettono le loro emozioni e personalità. La tensione della scena e la fuga del protagonista si interrompono quando, Milton arriva in cima ad un colle ed esclamando “Sono vivo. Fulvia. A momenti m’ammazzavi” scompare circondato dalla sua grigia follia.
Image Copyright: Il Cineocchio
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