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  • Writer's pictureKoinè Journal

Chi è Emmanuel Macron?


di Andrea Di Carlo.


A parte il presidente del consiglio Giorgia Meloni e la sua linea di governo pessima (per usare un eufemismo), un’altra importante figura istituzionale europea sta facendo notare per le sue derive para-totalitarie, il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron. La sua riforma delle pensioni, forzata attraverso l’Assemblea Nazionale col voto di fiducia previsto dall’articolo 49. 3 della Costituzione ha segnato definitivamente il carattere autoritario, tecnocratico e sordo alle innumerevoli proteste sindacali per ritirare una riforma simile alla famigerata riforma Fornero del governo Monti. Questa riforma è il risultato di cosa accade quando un tecnocrate, uscito dalle scuole d’élite francesi, arriva al potere. Si badi bene: lo scopo di questo contributo non è criticare il profilo ideologico del macronismo, ma di investigare le sue radici filosofiche e anche letterarie.


Macron: brevissimo schizo biografico

Emmanuel Macron nasce nel 1977 da una buona famiglia di provincia: i genitori sono entrambi medici. Il futuro presidente frequenta l’università d’élite di Parigi, l’Istituto di studi politici (meglio noto come Sciences Po) e si laurea in filosofia (con una tesi su Machiavelli e Hegel) diventando assistente del celebre filosofo Paul Ricœur (1913-2005). Viene poi ammesso alla prestigiosa École Nationale d’Administration (meglio nota con l’acronimo ENA). L’ENA è un istituto d’istruzione superiore molto selettivo, i cui membri ricoprono posti chiave nell’amministrazione dello Stato. Macron inizia qui il suo percorso amministrativo all’ispettorato delle finanze, l’organo che valuta la performance dell’economia francese. Mentre ricopre la carica di ministro dell’Economia durante la presidenza Hollande, fonda poi il suo movimento En Marche. Nella visione tecnocratica del giovane ministro, il suo movimento avrebbe superato la destra e la sinistra parlamentare, in una sorta di riedizione della Terza Via. Rieletto due volte presidente, Macron ha dimostrato di essere molto più vicino alla destra che alla sinistra (soprattutto dopo le vicende della riforma pensionistica). Al di là delle considerazioni ideologiche sul capo dello stato, la cosa più importante da rilevare è il profilo tecnocratico del presidente, lontano da ciò che preme alla popolazione e, soprattutto, a chi non arriva a fine mese.


Il NON re-filosofo

Macron, nella sua carriera politico-amministrativa, ricorda molto il re-filosofo platonico. Platone, nel suo celebre dialogo La Repubblica (380-370 prima dell’era volgare) sintetizza che la polis, la città stato, non può essere governata in modo democratico (cioè dall’assemblea dei cittadini). Essa per poter funzionare nel modo corretto deve essere governata da un re-filosofo. Quello che oggi sarebbe definito un “tecnico” o “di alto profilo istituzionale”, appartenente ad una classe politica che, vista la sua esperienza e conoscenza del mondo, può governare la città-Stato nel migliore dei modi. Non ci devono essere interferenze dal resto della popolazione, dalla plebe, perché i re-filosofi sanno quello che stanno facendo. Sono professionisti della politica.


Macron è dunque una sorta di “monarca repubblicano”; non si parla di un presidente come figura politica direttamente eletta, ma quasi di un sovrano per diritto divino che va oltre il perimetro delle istituzioni repubblicane. Esagerando, si potrebbe dire che Macron è un reazionario monarchico, ottimo interprete della post-democrazia di cui parla Crouch, cioè uno stato quasi anti-democratico che si muove ancora su linee democratiche (Crouch 2003, Vittoria 2021: 6-7). Uno sguardo cursorio alla politica macroniana direbbe che il presidente incarna il prototipo della figura platonica. Tuttavia, a differenza del re-filosofo classico, non dimostra alcun interesse a raggiungere il sommo bene, l’equilibrio sociale, ma la volontà parossistica di obbedienza al dogma del libero mercato. Macron è dunque re-filosofo in quanto tecnocrate, non interessato alle richieste legittime e democratiche dei suoi elettori, anche quelli che lo hanno votato turandosi il naso con la speranza che avrebbe impedito la vittoria di Marine Le Pen.


Come fraintendere Machiavelli

La tesi di laurea di Macron verteva sul pensiero del filosofo più frainteso del mondo occidentale (soprattutto in Francia e Italia), Niccolò Machiavelli. Macron, prima di essere eletto presidente per la prima volta, può essere considerato un outsider à la Machiavelli. Il giovane ministro socialista che abbandona il partito e ne fonda uno tutto suo rappresenta il tentativo di andare oltre la dialettica destra-sinistra in un momento in cui il gradimento dell’allora presidente François Hollande era ai minimi. La sua scommessa è vincente nel momento in cui il candidato della destra, l’ex primo ministro François Fillon, viene arrestato per corruzione. L’astutoMacron, con un candidato socialista ai minimi e un candidato conservatore dietro le sbarre, diventa il candidato di un gruppo che comprende destra, sinistra e centro, che si oppone all’offerta dell’estrema destra di Marine Le Pen.


Va da sé che l’uomo di Stato Fiorentino sarebbe stato orgoglioso del giovane presidente. Macron è “la volpe” del capitolo 18° del Principe, dove il principe per succedere deve essere volpe e leone. Manu, entrando nella competizione nel momento in cui i suoi rivali principali erano usciti di scena, si trova proiettato verso la presidenza. Tuttavia, ed è bene sottolinearlo, il futuro inquilino dell’Eliseo avrebbe anche deluso Machiavelli. Il capitolo 17° del Principe infatti mette l’uomo politico di fronte ad una scelta esiziale: essere amato o essere odiato. La risposta del Machiavelli è semplice: tra le due possibilità è meglio essere odiato. “È molto più sicuro essere temuto che amato” (Machiavelli 2018: 865). Tuttavia questo non è il caso di Macron: egli aveva già ricoperto cariche di rilievo e non è dunque un “principe nuovo”. E in quel caso non conviene farsi odiare, ma fare in modo di essere il più possibile apprezzato, specialmente se si è stati eletti soltanto per evitare l’estrema destra e non per convinzione politica. Il presidente ha ignorato il capitolo 18° del Principe, dove Machiavelli si chiede fino a che punto il leader debba mantenere le promesse. Il leader deve essere violento (leone) e furbo (volpe) ma, allo stesso tempo, egli deve mantenere il potere e i modi con cui lo farà saranno sempre giudicati “onorevoli e da ciascuno laudati” (Machiavelli 2018: 870). Il filosofo-re non soltanto non è in grado di mantenere il proprio potere (lo dimostra il colpo di mano sulla impopolare riforma delle pensioni), ma gli stessi mezzi con cui governa (l’imposizione dei propri provvedimenti) sono lungi dall’essere popolari. Macron è l’opposto di quello che vorrebbe Machiavelli, in quanto non essendo un principe nuovo è infatti odiato. Il pragmatismo a cui invita il filosofo italiano non è qualcosa che il presidente sembra tener di conto. Macron, in nome del dogma del libero mercato, non ritirerà mai la sua impopolare riforma.


Macron è Tiberio: Tacito e il 2023

Senza un retroterra storiografico, a mio parere, non si può comprendere da dove viene il presidente. Sono dell’opinione che non ci sia differenza nel comportamento tra il Tiberio di Tacito e Macron. Negli Annales (scritti tra il 114-120 della nostra era), lo storico latino descrive l’impero di Tiberio, del quale mette in evidenza “l’arte di dissimulare” (Tacito 1978: 387). Macron è dunque come Tiberio: è riuscito a manipolare un elettorato conservatore e progressista facendolo votare per lui in quanto nuova speranza contro la sterile dialettica tra destra e sinistra. Macron stesso ha fatto di tutto per apparire come il vecchio e il nuovo allo stesso tempo, utilizzando una formula che contraddistingue la sua azione politica, en même temps.


Si può essere destra o sinistra, centro, destra e sinistra, oppure soltanto sinistra. Oppure essere il nuovo ma anche il vecchio. Macron, utilizzando il celebre titolo pirandelliano è uno, nessuno e centomila (cf. Vittoria 2021: 41). È normale che un elettorato disperato, privo di certezze ideologiche e spaventato dall’avanzata dell’estrema destra abbia preferito il dissimulatore perfetto, colui che sembra ma che non è. Un presidente al tempo stesso. Di fronte al lascito politico di Emmanuel Macron, forse gli storici scriveranno che la dissimulazione era la sua dote migliore, in quanto riusciva ad apparire quello che in realtà non era. Ai posteri l’ardua sentenza.


Non è possibile dire chi sia veramente Emmanuel Macron. È indubbiamente il freddo tecnocrate neoliberale, che rifiuta qualsiasi regola democratica pur di raggiungere i suoi obiettivi, arrivando a definirsi come definendo come Giove. Ma è anche il presidente che vuole (giustamente) l’aborto come diritto costituzionale. Quello che mi sento di dire è che Macron non è niente, soltanto colui che voleva rivoluzionare il campo politico francese trasformandolo a sua immagine e somiglianza, cioè il vuoto dello storytelling (utilizzo a posta questo anglicismo, con buona pace di Rampelli) neoliberale. Come Tiberio, egli è (forse?) un buon dissimulatore.







Bibliografia



-Crouch, Colin (2003) Postdemocrazia. Roma-Bari: Laterza.

-Machiavelli, Niccolò (2018) Il principe. Milano: Bompiani.

-Tacito (1978) Annali. Milano: Rusconi.

-Vittoria, Armando (2021) La presidenza Macron. Tra populismo e tecnocrazia. Milano: Mimesis





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