Conclave (2025)
- Koinè Journal
- 6 days ago
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di Leonardo Protano e Stefano Lazzarini.
Conclave: il paradosso di un’istituzione
All’alba dell’improvvisa morte di Papa Gregorio XVII si riunisce il conclave per eleggere il nuovo pontefice. La pellicola diretta da Edward Berger (tratta dall'omonimo romanzo di Robert Harris) mette in risalto una questione oggi più che mai rilevante, la nomina di un nuovo Santo Padre, e ne rivela la natura ossimorica, cioè i giochi di potere e l’avarizia umana - dinamiche che hanno ben poco a vedere con il concetto di “sacro”.
Il film riesce a portare avanti la narrazione in maniera assai lucida assumendo per certi versi l’aspetto di un thriller: il conclave, guidato dal cardinale decano Thomas Lawrence (un magistrale Ralph Fiennes), è rumoroso e movimentato sin da subito e ciò è ben chiaro non appena vengono presentati i quattro candidati principali. C’è uno scontro di ideologie, ci sono i conservatori, i liberali; e la Santa Sede è teatro di una guerra politica dove i protagonisti, così profani, studiano strategicamente e senza riguardo le proprie mosse cercando di prevedere e ingannare quelle altrui. Conclave è uno scontro di interessi, assolutamente terreno, un intreccio di apparenza, di mascheramento (e smascheramento) che stona con la natura del ruolo dei cardinali, a cui è riservato l’importante compito di nominare il Papa, Sua Santità per antonomasia. Un contrasto inaspettato, lampante, diretto e orchestrato con una precisione degna di un giallo psicologico, capace di creare una forte suspense che cattura l’attenzione dello spettatore.

In un clima mefitico di conflitto e corruzione ci sono in particolare due personaggi che sembrano dar respiro e portare luce all’interno della Chiesa: il parco cardinale, arcivescovo di Kabul, Vincent Benitez (Carlos Diehz), che sorprende il collegio sin dal suo arrivo, e la suora Agnes (interpretata egregiamente da Isabella Rossellini), che riesce, in una delle migliori scene del film, a riconoscere dignità e autorità alle sorelle, taciturne e obbedienti, recitando una battuta determinante con lo scopo di denunciare i comportamenti di alcuni cardinali.
“Dio ci ha comunque dato occhi e orecchie”

Così, paradossalmente, “l’ultimo arrivato” e la responsabile dei dormitori delle suore appaiono i personaggi più retti, integri e conferiscono un senso di deferenza alla pellicola; infatti, sebbene Conclave sia un film che tratta argomenti sostanzialmente “sacri” e ci si possa aspettare quindi una patina di solennità nella narrazione, il regista predilige un racconto in forma “profana” volto a mostrare la vera natura subdola della Chiesa.
È altresì vero che questa trascendenza di cui il film e i personaggi sono spogliati è evocata dalle calzanti musiche di Volker Bertelmann e restituita visivamente dalle inquadrature, che ricordano nostalgicamente austere geometrie gotiche.

Questo paradosso che è la chiave di tutto il film ci porta ad una riflessione più che mai attuale sul ruolo dell’istituzione della Chiesa nel mondo contemporaneo.
Procedendo con ordine; dopo sette scrutini, a cinque minuti dal termine della pellicola, il collegio cardinalizio ha finalmente preso una decisione e il cardinale Benitez viene nominato Papa.
E proprio sul finale del film, che pensiamo essere privo di un grande colpo di scena, assistiamo a un dialogo riservato tra il cardinale Lawrence e il nuovo Santo Padre dove quest’ultimo rivela confidenzialmente di avere scoperto, a seguito di una recente appendicectomia, di essere intersessuale.
Una notizia rapida che scuote l’animo tanto al cardinale quanto al pubblico, un finale criticato perché troppo avventato e sbrigativo -e probabilmente lo è- ma, a mio parere, il focus è questa sensazione di spiazzamento e smarrimento, è nello scandalo del calare una tematica così delicata in un contesto come quello della Chiesa, generando confusione oltre che scalpore.
E il pubblico? Nel film non viene rivelato il Papa “Come Dio lo ha fatto” (utilizzando le parole dello stesso Benitez) e non sapremo che accoglienza possa ricevere. Ma questo non è importante: la reazione del pubblico interno alla vicenda è assente non perché irrilevante, ma perché trasfigurata. La vera reazione è la nostra, quella del pubblico in sala, chiamato a sostituirsi ai personaggi come coscienza critica. In questo modo, il film non rappresenta una risposta collettiva, ma la sollecita costringendoci a riflettere - rendendoci parte attiva e partecipe di una tematica quanto mai attuale.
Il regista, apertamente critico nei confronti della Chiesa come istituzione, attraverso il cardinale Lawrence esprime la sua posizione - ma il film è pubblico e brulicante nelle sale, e ora spetta al pubblico pronunciare il giudizio sull’interrogativo paradossale della Chiesa: rimanere fedeli al testo sacro o contraddire i propri principi per stare al passo con i tempi?
Leonardo Protano
Bagliori di un mondo morto: il conclave e la nostalgia del sacro
In un’epoca in cui l’Occidente sembra aver reciso i legami più profondi con l’immaginario religioso che lo ha nutrito per secoli, eventi come la morte del Papa e l’elezione del suo successore ci appaiono come bagliori improvvisi di un mondo che credevamo scomparso. La folla che si raccoglie in Piazza San Pietro, le telecamere puntate sul comignolo della Cappella Sistina, l’attesa collettiva per un nome e un volto che incarnino il “vicario di Cristo”, sembrano attivare – anche nei più scettici – una forma di misticismo incredulo.
Si potrebbe liquidare tutto come una forma di spettacolarizzazione mediatica, ma questo non spiega l’intensità emotiva e simbolica che molti percepiscono, anche a distanza. In realtà, il conclave mette in scena qualcosa di più profondo: la sopravvivenza di un archetipo. Come osservava Carl Jung, il bisogno umano di riferirsi al sacro non scompare: si trasforma, si traveste, si disloca. L’uomo contemporaneo, pur vivendo in una società secolarizzata, non ha smesso di avere dei. Ne ha solo cambiato volto: tecnologia, denaro, successo, identità, potere.
Nietzsche aveva annunciato la “morte di Dio” come un evento epocale, ma anche tragico: non tanto perché Dio fosse necessario in sé, quanto perché l’uomo non era (e forse non è ancora) pronto ad assumersi la responsabilità di un mondo senza trascendenza. Così, al posto del Dio cristiano, sono fioriti nuovi idoli. Ma questi nuovi culti, per quanto potenti, non toccano quel nucleo archetipico profondo che la figura del pontefice – e il rito che lo accompagna – riesce ancora a evocare.
Il conclave allora non è solo un evento ecclesiastico. È una specie di ritorno del rimosso. È come se, al di là delle convinzioni personali, qualcosa di antico e profondissimo si risvegliasse in noi nel vedere una folla invocare un nome, una guida, un senso. È un ritorno simbolico a un ordine che si credeva perduto, un bisogno di verticalità in un’epoca dominata dall’orizzontalità fluida e frammentata delle identità.
C’è anche una dimensione estetica, rituale, che affascina e trattiene: l’incenso che si leva come nebbia del mistero, le vesti cardinalizie, il latino che ritorna come lingua oracolare del sacro. È teatro, ma non solo: è ierofania. La forma non è solo ornamento, è contenuto che parla direttamente all’inconscio. In un mondo dove ogni gesto è ridotto a funzione e utilità, questi riti appaiono come scarti del tempo, come fenditure nel reale che ci rimettono in contatto con l’atemporale. E forse proprio per questo ne restiamo abbagliati, anche se non lo comprendiamo fino in fondo.
Ma tutto ciò accade, e al tempo stesso viene disinnescato. Il rischio è che questi riti si riducano a pura liturgia senza anima, simulacri di una fede ormai svuotata. L’archetipo, non riconosciuto, continua ad agire dall’ombra, generando paradossi e nevrosi collettive. L’uomo contemporaneo non ha davvero “ucciso Dio”: lo ha nascosto dietro idoli più seducenti, ma non meno totalizzanti. Eppure, come ricordava Hillman, non si tratta di “credere” o “non credere”, ma di riconoscere che il bisogno di sacro è un fatto psichico, universale, da integrare consapevolmente se vogliamo vivere nella pienezza.
Stefano Lazzarini
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