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Cosa dice davvero il Primo Emendamento?

Writer's picture: Koinè JournalKoinè Journal

di Andrea Di Carlo.


A causa dell’onnipresenza di serie televisive statunitensi siamo, nel bene o nel male, esposti anche al sistema legislativo d’oltreoceano. Conosciamo tutti la celebre formula “ha il diritto di restare in silenzio: qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale. Si tratta del quinto emendamento, che garantisce il diritto costituzionale al silenzio e la presenza di un rappresentante legale in sede di interrogatorio. Si tratta del celebre “avvertimento Miranda”, il prodotto della sentenza storica Miranda v. Arizona (1966) della Corte Warren. Tuttavia, c’è un altro emendamento che potrebbe essere meno noto al pubblico italiano, cioè il Primo Emendamento.

 

Il primo emendamento: le sue origini e la sua importanza

 

I Padri Fondatori avevano previsto anche degli emendamenti alla Costituzione redatti nel Bill of Rights (carta dei diritti). Questi emendamenti introdussero nella legislazione ordinaria statunitense diritti costituzionali come il non essere perquisiti in modo ingiustificato (quarto emendamento) oppure la libertà di stampa e di religione (garantiti appunto dal primo emendamento). Il testo recita “ll Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o della stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti.

 

In breve, il primo emendamento si fa garante della laicità dello stato (impedendo che gli organi legislativi impongano una religione o ne vietino un’altra) e garantisce la libertà di parola, stampa e riunione. L’emendamento è una reazione alla Chiesa d’Inghilterra e all’imposizione della fede anglicana come unica religione ufficiale (Barbera 2024). Questo atto giuridico sancisce diritti costituzionali inattingibili. Tuttavia, il primo emendamento è stato nel Novecento fino a oggi sempre oggetto di aspre contese derivate dal fatto che assicura una quasi illimitata capacità di dire ciò che si vuole.

 

La giurisprudenza del primo emendamento: luci e ombre

 

L’ampiezza di atti o discorsi protetti dal primo emendamento susciterebbe preoccupazione o scandalo in Europa, ma non oltreoceano. Tra gli atti protetti dal primo emendamento ci sono la pornografia, l’antisemitismo e le caricature. La Corte Warren, con la sentenza Brandenburg v. Ohio (1969), con cui essa decise all’unanimità che le affermazioni razziste di Clarence Brandenburg, membro del KKK, erano sì da condannare ma non potevano essere censurate in virtù del primo emendamento (Hassett-Walker 2022).

 

Se in Europa un suprematista bianco potrebbe (in teoria) finire in carcere, negli Stati Uniti resterebbe a piede libero. Questo ragionamento è quello che viene definito come “mercato delle idee”. Applicando una concezione economicistica alla giurisprudenza, l’evoluzione della società si misura, nel bene o nel male, nel modo in cui alcune idee prevalgono e altre diventano minoritarie (Ingber 1984: 3). In un paese dove il razzismo è il pane quotidiano un simile ragionamento può avere conseguenze devastanti (la sentenza stessa ne è la riprova). Tuttavia, la giurisprudenza della corte sul primo emendamento ha prodotto anche risultati positivi (in linea anche, in teoria, con una sensibilità europea). Analizzerò brevemente una serie di casi che vanno nella direzione opposta di Brandenburg. In Engel v. Vitale (1962), i giudici stabilirono che recitare una preghiera redatta da un amministratore scolastico anche se non affiliate ad alcune fede religiosa, è incostituzionale. La corte, seguendo alla lettera il dettato del testo dell’emendamento, stabilì che qualsiasi preghiera si pone in contraddizione con il divieto di imporre una religione.

 

Una decisione simile è Abington School District v. Schempp (1963), con cui i giudici vietarono il Padre Nostro nelle scuole pubbliche. Due sono le sentenze che rappresentano la difesa più forte della libertà di parola, Tinker v. Des Moines Independent Community School District (1969) e New York Times v. Sullivan (1964). In Tinker, tre studenti di Des Moines (Iowa) furono sospesi dalla loro scuola in quanto, in protesta contro la guerra in Vietnam, avevano indossato dei braccialetti neri. La scuola, con la sospensione, aveva violato la libertà di parola dei tre studenti. In Sullivan, i giudici stabilirono all’unanimità che un pubblico ufficiale non può querelare un giornale per diffamazione senza averne dimostrato un motivo valido. Questa breve disamina di alcuni casi celebri (la lista, come ci si può facilmente immaginare, è infinita) dimostra le luci e ombre del primo emendamento: si proteggono espressioni suprematiste e razziste ma, allo stesso tempo, si garantisce ampia difesa di legittimi atti di protesta contro le interferenze nella laicità dello stato e nella libertà di parola.

 

L’erosione del primo emendamento


In questa sezione, non si vogliono passare in rassegna i casi più recenti della Corte in materia di primo emendamento, ma invece descrivere perché e in quali circostanze si è lentamente giunti all’erosione di tali diritti. Il primo motivo è la formazione ideologica della corte. La Corte Warren, bastione del movimento dei diritti civili, fu sostituita dalla Corte Burger. Burger, nominato dal presidente Nixon dopo il ritiro di Warren nel 1968, avviò la sferzata a destra della corte. Il primo emendamento, tuttavia, godé piena protezione anche sotto una corte più conservatrice. In New York Times Co. v. United States (1971), la corte stabilì che i Pentagon Papers, i documenti top secret della guerra in Vietnam, dovevano essere pubblicati in difesa della libertà di stampa.

 

Purtroppo, oggi, il primo emendamento viene fatto a pezzi quotidianamente. Occorre ricordare al lettore una cosa essenziale: non si intende assolutamente sostenere atti o espressioni antisemite ma, allo stesso tempo, l’antisemitismo viene quotidianamente utilizzato per zittire le legittime proteste contro Israele. È dunque importante distinguere tra il vero antisemitismo e quello che certi partiti politici dicono essere antisemitismo. Nel gennaio di quest’anno, la rettrice di Harvard Claudine Gay fu costretta alle dimissioni in quanto, a dire dei suoi detrattori, ella non aveva fatto quanto in suo potere per contenere la presunta esplosione di atti antisemiti nella celebre università.

 

Pur condannando (come è giusto) l’esplosione di atti che potrebbero essere antisemiti, la rettrice ammonì i membri della commissione del Congresso dicendo che il primo emendamento, in quanto simbolo della libertà di espressione, esiste anche a protezione di posizioni che potrebbero essere, usando un altro eufemismo, controverse. Nonostante l’onestà intellettuale di Gay, il partito repubblicano ritenne che la sua presunta inazione avrebbe provocato un disastro e quindi con la patetica scusa del plagio fu costretta alle dimissioni. Gay non ha fatto altro che applicare la molto ampia giurisdizione della Corte Suprema sull’espressione del dissenso: esso può non piacere ma non è legittimo censurare ciò che non piace e lasciare ciò che si ritiene ideologicamente corretto.

 

In altre parole, la regola vale per tutti o non vale per nessuno. Questa non è una difesa del relativismo culturale, ma è la conseguenza del mercato delle idee, in cui una visione economicistica dell’opinione pubblica non può e non deve prevalere. Il primo emendamento ha avuto inquietanti sviluppi nella giurisprudenza della Corte Roberts (l’attuale corte, frequentemente al centro di scandali di corruzione). La corte ha affermato che rendere noto i nomi di coloro che finanziano le campagne elettorali è illegale in quanto sarebbe una violazione del primo emendamento. Rendere noto i nomi dei propri finanziatori non dovrebbe essere un atto incostituzionale, ma anzi gioverebbe alla corte e anche agli stessi politici. Non bisogna stupirci se le campagne elettorali negli Stati Uniti sono finanziate in modo illecito o in modo non chiaro oppure se alcuni dei giudici hanno ricevuto donazioni o regali non dichiarati.

 

Anche la libertà religiosa è stata significativamente ridotta dalla corte. Nella decisione 303 Creative LLC v. Elenis (2023), i giudici affermarono che un pasticciere può decidere di non fare una torta per un cliente di cui non accetta l’orientamento sessuale. La continua erosione dei diritti costituzionali ha diverse cause: un partito repubblicano sempre più estremista e pronto ad abbracciare i desiderata del nazionalismo cristiano, una Corte Suprema che diventa sempre più conservatrice e attaccata alle proprie posizioni di rendita verso cui i cittadini non nutrono la benché minima fiducia. È anche oggetto di preoccupazione il fatto che la popolazione degli Stati Uniti creda che il proprio paese sia cristiano sin dalla fondazione.

 

Cosa fare?


In conclusione, forse, bisognerebbe che la scuola insegnasse i valori costituzionali e cosa significa operare secondo quello che stabilisce il primo emendamento. L’unica soluzione è una storia comparata del diritto, dove tutte e tutti hanno contezza delle somiglianze e delle differenze. Riprendendo il titolo, dobbiamo permetter loro di protestare e di prendere posizione Tertium non datur.

 

 

 

 

Bibliografia

 

-Barbera, Augusto (2024) Laicità. Alle origini dell’Occidente. Bologna: Il Mulino.

-Hassett-Walker, Connie (2022) “Does Brandenburg v. Ohio still hold in the social media era? Racist (and other) online speech hate and the First Amendment”. Cogent Social Science 8(1):

-Ingber, Stanley (1984) “The Marketplace of Ideas: A Legitimizing Myth”. Duke Law University 1: 2-91





Image Copyright: Amir Hamja/National Geographic

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