S. Francesco e il sultano: dialogo o conversione?
- Koinè Journal

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di Andrea Pipponzi.
Il 3 ottobre 2026 ricorreranno gli 800 anni dalla morte di Giovanni di Pietro di Bernardone, meglio noto come San Francesco d’Assisi. La ricorrenza pare caricarsi di connotati sempre più unici, tali da impegnare e mettere in fermento anche le nostre più alte istituzioni. Lo scorso 8 ottobre infatti, con la Legge 151/2025 il Parlamento ha istituito e fissato al 4 ottobre di ogni anno la Festa Nazionale di San Francesco d’Assisi, «al fine di celebrare e di promuovere i valori della pace, della fratellanza, della tutela dell’ambiente e della solidarietà, incarnati dalla figura di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia». Per la ricorrenza, scuole, amministrazioni pubbliche ed enti del Terzo settore potranno liberamente organizzare manifestazioni e celebrazioni che «promuovano i principi e gli insegnamenti di San Francesco d’Assisi, [..] con particolare riguardo ai temi della pace, della fraternità tra popoli, dell’inclusione sociale e della tutela dell’ambiente, […] alla sua storia e ai valori dallo stesso rappresentati».
La Legge, approvata anche dal Presidente della Repubblica Mattarella, non ha però esimato quest’ultimo dall’evidenziare alcune criticità. Ad esempio, scrive il Presidente nella lettera rivolta alle Camere, l’istituzione di una festa nazionale limita quelle stesse iniziative che gli enti sopracitati – e in particolare le scuole – dovrebbero promuovere. A questo si aggiunge che «la medesima giornata del 4 ottobre è qualificata sia festività nazionale, in onore di San Francesco d’Assisi, sia solennità civile, in onore di Santa Caterina da Siena. Con due diverse disposizioni normative si prevede che, con riferimento ai due Santi, vengano celebrati sostanzialmente i medesimi valori, nello stesso giorno ma con un diverso regime».
Al di là dei provvedimenti legislativi ad sanctum, il poverello di Assisi è da sempre una delle figure più affascinanti ed anticonvenzionali della storia occidentale. Senza addentrarci nelle analisi teologico-religiose dell’esperienza francescana, basti pensare alle pagine e pagine di studi che il gotha della medievistica mondiale abbia ciclicamente riservato al Santo, traendone ogni volta spunti nuovi ed intriganti. Chiara Frugoni (1995), Franco Cardini (1989; 2023), Jacques Le Goff (2002), John Tolan (2009) – e la lista sarebbe ben più lunga –, sono solo alcuni tra coloro che hanno raccontato, secondo la propria chiave di lettura, la vita mistica ed irriverente del fraticello umbro. A questi e ai molteplici altri lavori si aggiungono i recentissimi volumi biografici firmati da Alessandro Barbero (2025) e Aldo Cazzullo (2025), che cavalcando l’onda del proprio successo divulgativo hanno messo alle stampe due «libri d’occasione». Il fatto che i due autori maggiormente attenzionati dal pubblico contemporaneo abbiano deciso di indagare la figura di Francesco conferma, ancora una volta, che l’interesse per la quaestio francescana non si sia mai esaurito del tutto e che, ancor più, riesca oggi ad avvicinare – nei suoi aspetti storici, ancor prima che spirituali – un pubblico di massa.
Alla fetta largamente maggioritaria dei lettori Francesco è però noto più per quello che di lui ci sia stato narrato, che per l’uomo che fu. Ciò che sappiamo della sua vita finisce spesso per appiattirsi sugli episodi iconici della propria esperienza ascetica: il pubblico svestimento e il rifiuto della ricchezza, l’ammansimento del lupo di Gubbio, il presepe di Greccio e quant’altro sia stato rappresentato nel ciclo di Giotto della Basilica Superiore in Assisi. Per quanto tutto questo abbia plasmato il nostro immaginario francescano siamo, in realtà, vittime inconsapevoli di ricostruzioni agiografiche minuziosamente costruite, tese a presentarci un personaggio monolitico e rigidamente incastonato entro precisi schemi di santità. La Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio ad esempio, biografia ufficiale del Santo approvata dal Capitolo Generale di Pisa del 1263, diviene in questi termini un vero e proprio atto politico, che per prima tradisce la natura estremamente diversifica di Francesco.
Nel 1219, al di là del Mediterraneo, in Egitto, Francesco incontrava il Sultano ayyubide al-Malik al-Kâmil. Quell’incontro rimane una delle pagine più sorprendenti del Medioevo: un momento di ascolto reciproco tra due uomini di fede che, pur appartenendo a mondi lontanissimi, seppero riconoscersi nella comune appartenenza al divino. Ma fu davvero così? Ricostruendo la narrazione e le interpretazioni che seguirono l’incontro, questo episodio può essere considerato apripista del dialogo inter-religioso e, per estensione, inter-culturale?
1. Jacques de Vitry e il silenzio arabo-musulmano
L’incontro tra Francesco ed il Sultano avviene nel contesto della Quinta crociata (1217–1221). Siamo a Damietta, sul delta del Nilo, oramai messa sotto assedio dall’esercito crociato dal maggio dell’anno precedente. Il 29 agosto del 1219, nell’ostinato tentativo cristiano di assaltare la città, gli uomini di al-Malik al-Kâmil – nipote del Saladino – riescono a respingere l’attacco e, nella controffensiva, a sconfiggere il grosso delle fila avversarie. Di fronte all’ennesima vittoria, il Sultano ayyubide decide allora di aprire le trattative di resa: in cambio della città di Gerusalemme, dove regnava suo fratello al-Mu’azzam, i crociati avrebbero dovuto abbandonare l’Egitto.
Sotto le mura di Damietta, al fianco dell’esercito franco, c’è anche Jacques de Vitry (1165ca. – 1240), vescovo di San Giovanni d’Acri, brillante predicatore della riforma ecclesiastica e strenuo propagandista dell’idea stessa di crociata, che per primo riporta l’avvenuto incontro tra i due personaggi. La narrazione dei fatti è rintracciabile nella Epistola VI (Huygens 1960: 123-133), scritta da Vitry tra il febbraio ed il marzo del 1220. L’Epistola si apre con la descrizione dell’Ordine dei Frati Minori, definito dallo stesso prelato religione pericolosa: non solo l’evangelizzazione viene affidata a uomini troppo giovani e immaturi, ma questi ultimi sono addirittura mal formati dal punto di vista religioso. E il loro maestro, dice Vitry, durante la tregua col Sultano decise di attraversare l’accampamento crociato per recarsi presso quello ayyubide. Giunto dal nemico, Francesco – il vescovo non lo chiama per nome, ma «maestro» – vi predica per qualche giorno, senza però ottenere alcun successo. Ma prima di andarsene, conclude Vitry, al-Malik chiede in gran segreto al fraticello di intercedere per lui, affinché egli possa abbracciare la religione «che più piacesse a Dio».
Il racconto di Jacques de Vitry non aggiunge altro, né, a nostro discapito, riporta i discorsi intrattenuti dai due. Qualche anno dopo, nella sua Historia Occidentalis (1221-1226), lo stesso Vitry tornò sull’evento, ribaltando in toto le vecchie considerazioni: la predicazione di Francesco assunse connotati eroici e l’insuccesso antecedente si trasformò in una grande vittoria cristiana. Nel XXXII capitolo dell’opera, descrivendo lo Stato della Chiesa a lui contemporaneo e il rinnovamento spirituale di quest’ultimo grazie all’evangelizzazione perpetrata, tra gli altri, dagli ordini regolari, parlando dei Frati Minori il vescovo inserisce per la seconda volta la narrazione dell’incontro. Oltre a venir meno la critica all’Ordine – ora esaltato per uno stile di vita profondamento evangelico –, l’episodio viene descritto in maniera più articolata e Francesco, da maestro impulsivo ed imprudente, si trasforma nell’eroico domatore della «bestia crudele» (al-Malik al-Kamil).
Secondo John Tolan (2009: 23-46), il differente giudizio di Vitry fu dettato dal cambiamento delle congiunture storiche. Se nell’Epistola VI, scritta dopo il successo cristiano a Damietta (5 novembre 1219), quanto fatto da Francesco finì per passare in secondo piano, nell’Historia Occidentalis, redatta dopo la disfatta della Quinta crociata, bisognava invece esaltare un episodio di riscatto. Quanto sostenuto dallo storico americano non convince però a pieno, poiché esclude dalle proprie conclusioni due aspetti a mio avviso centrali della figura di Vitry: il suo fanatismo crociato e la sua appartenenza ai ranghi ‘ufficiali’ della Chiesa. Furono quindi due, credo, gli elementi che spinsero ad esaltare l’incontro col Sultano e a vedere non solo Francesco, ma l’Ordine nella sua interezza, sotto una luce differente. Anzitutto, da propagandista dell’idea di crociata, il Francesco eroico dell’Historia Occidentalis finiva per assurgere a modello del crociato perfetto: domatore della «bestia» islamica e vincitore degli infedeli. In altri termini, Vitry crea uno strumento comunicativo utile ai suoi intenti propagandistici, con il quale esaltare gli animi e puntare nuovamente alla conquista della Terra Santa. Ma soprattutto, il vescovo di San Giovanni d’Acri era un uomo delle istituzioni, costretto ora ad affrontare, in un momento di rivoluzione religiosa, il pullulare di innumerevoli esperienze minoritiche. Quando, nel 1219, l’Ordine dei Frati Minori si reca a Damietta, la compagine ascetica fondata da Francesco ha in mano la sola approvazione ad esistere di Innocenzo III, senza però essere ancora inquadrato nella più grande impalcatura ecclesiastica. Continuando su questo ragionamento cronologico, se la redazione dell’Epistola VI precede tanto la Regola non bollata (1221), quanto la Regola bollata approvata da Onorio III nel 1223, e possiamo datare l'Historia Occidentalis tra il 1221 e il 1226, ritengo convincente sostenere che l’istituzionalizzazione dell’Ordine abbia portato con sé proprio quel cambiamento di giudizio riflesso dall’Historia. E ancora, la volontà riformatrice di Vitry poteva ora avere un ulteriore modello da esaltare: se il rinnovamento morale e spirituale della Chiesa sarebbe dovuto passare attraverso una vita d’ascesi, gli ordini minoritici in generale e quello francescano nel particolare erano perfetti ispiratori.
La veridicità presunta dell’incontro raccontato da un testimone oculare come Jacques de Vitry, ancor più perché avverso alle azioni dei fraticelli, appare alquanto inattaccabile. Eppure, la fonte francese finisce per scontrarsi con una memorialistica arabo-musulmana fatta di silenzi, dove Francesco e i suoi compagni sembrano essere passati inosservati. Né La storia perfetta di Ali Ibn al-Athir, né Il dissipatore delle angustie circa la storia degli ayyubidi di Ibn Wasil, né Lo specchio del tempo di Ibn al-Jawzi, alludono, nonostante la particolare attenzione agli eventi politici e militari di Damietta, al famigerato incontro. Analogamente silente è la Storia dei patriarchi della chiesa copta di Alessandria, testo iniziato, secondo le attribuzioni, da Ibn al-Muqaffa’ e successivamente aggiornato sino all’Ottocento, ove si raccolgono le biografie dei patriarchi alessandrini, i principali fatti degni di nota e le storie dei sovrani ayyubidi. Seppur scritta in arabo, gli eventi della Storia sono visti, vissuti e raccontati da un’ottica sì orientale, ma cristiana, ragion per cui vengono riportati con regolarità le mediazioni intrattenute nei contesti di guerra e le relazioni tra i monaci copti e i Sultani. A rigor di logica, l’incontro di Damietta avrebbe avuto tutti i fondamentali per poter essere registrato dai cronisti, ma nella sezione dedicata ad al-Malik vengono ancora una volta descritti tutti gli eventi bellici della Quinta crociata, ma dell’incontro, anche qui, non vi è traccia.
In conclusione, nessun testo arabo-musulmano riferisce di un colloquio tra il Sultano e un frate occidentale, quasi a far pensare si tratti di una falsificazione storica cristiana. In realtà il silenzio delle fonti non è conferma di falsità, ma vuoto, al contrario, da interrogare. Sempre secondo John Tolan (2009), le interpretazioni possibili potrebbero essere quattro: 1. l’incontro è avvenuto, ma non fu così significativo da essere registrato; 2. l’evento non era inquadrabile nella natura propagandistica pro-ayyubide delle cronache coeve; 3. nessuno dei cronisti arabi era presente a Damietta; 4. in condizioni di guerra, la regolare frequenza di incontri fra le parti finì per ridurlo ad uno dei tanti.
2. Costruire un santo: l’eco dell’incontro in Europa
Sebbene le prove dirette risultino alquanto scarse, la tradizione dell’Ordine francescano presenta invece l’incontro come un fatto storico, narrando con dovizia di particolari l’episodio ed esaltando con toni trionfalistici il coraggio missionario del Santo. È perciò evidente – da Tommaso da Celano a Bonaventura da Bagnoregio – il chiaro intento agiografico di questi scritti. La Vita Prima di Tommaso da Celano (1190 ca. – 1265 ca.), scritta tra il 1228 e il 1229 su incarico di papa Gregorio IX, è la prima biografia completa di San Francesco d'Assisi. Redatta pochissimo tempo dopo la morte di Francesco (1226), la Vita Prima ha un intento chiaramente celebrativo: mira a presentare il frate come un nuovo evangelista e a legittimare l'Ordine dei Frati Minori agli occhi della Chiesa. Francesco si presenta così come l’alter Christus, la cui vita deve ricalcare fedelmente quella di Gesù, così tanto da spingerlo a testimoniare la fede cristiana sino al martirio.
Al capitolo XX Tommaso da Celano racconta il celebre incontro con il Sultano al-Malik al-Kâmil, Mentre tentano di attraversare le linee nemiche, Francesco e frate Illuminato vengono catturati, percossi e maltrattati dai soldati saraceni. Con insistenza, Francesco chiede loro di poter incontrare il Sultano che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, riceve i frati con cortesia. Ben accolto, l’umbro inizia allora a predicare il Vangelo davanti ad al-Malik e alla sua corte e quest’ultimo, colpito dal fervore del frate, gli offre ricchi doni e gioielli, categoricamente rifiutati così da dimostrare il totale distacco del maestro dalle ricchezze terrene. L’episodio si conclude in linea con quanto lo stesso Vitry aveva raccontato, e cioè con la mancata conversione del Sultano e la richiesta che Francesco interceda affinché gli sia rivelata la vera fede.
Se i toni realistici di Tommaso da Celano mirino senza alcun dubbio all’esaltazione della vita del maestro, un ulteriore balzo in avanti lo compie la Legenda Maior (1263) di San Bonaventura da Bagnoregio (1217/1221- 1274). Finalizzata a comunicare la superiorità della fede cristiana su quella musulmana, qui Francesco appare quasi sovraumano, la cui vita non è altro che una continua ascesa mistica verso la conformità totale al Cristo. Il racconto dell’episodio di nostro interesse riprende, nel caso di Bonaventura, il nucleo oramai noto del viaggio in Egitto, che viene però arricchito di elementi simbolici e drammatici, enfatizzando al massimo la ricerca del martirio. La novità più rilevante è l’introduzione dell’ordalia del fuoco, che Francesco avrebbe proposto al Sultano per dimostrare «quale fede sia da ritenere più certa e più santa». Davanti a questa proposta, i consiglieri del Sultano si dileguano e al-Malik stesso rifiuta la prova temendo una rivolta popolare. Dopo aver rifiutato l'oro e i doni offerti – passaggio utile a ribadire la centralità della Povertà come pilastro dell'Ordine –, anche nella Legenda Maior torna il topos dell’intercessione francescana, cosicché Dio possa rivelare al Sultano la vera religione prima della morte.
3. Conclusioni
A fronte di questa dicotomica disparità tra le fonti occidentali ed orientali, gli storici hanno assunto posizioni differenti. Da un lato, studiosi come Frugoni (1995), Le Goff (2002), Tolan (2009) e Vauchez (2010) hanno ritenuto verosimile l’incontro, anche se in forma più sobria di quanto narrato: Francesco avrebbe realmente raggiunto Damietta e potrebbe essere stato ammesso alla presenza del sultano. Dall’altro, autori come Raoul Manselli (1980) e Donald Spoto (2002) hanno espresso un maggior scetticismo, rinvenendo nella narrazione dell’episodio una costruzione simbolica dell’Ordine minoritico, funzionale a mostrare la vocazione universale e pacifica dei frati.
In ogni caso, a prescindere dalla veridicità storica dell’incontro, la storiografia contemporanea si è maggiormente interrogata sul senso del messaggio, offrendo le letture più complesse. In tutte le fonti presentate, ad esempio, il sultano al-Kâmil appare noto per la sua cultura e tolleranza, propenso ad accogliere i nemici come Francesco con curiosità e rispetto. Seppur nessun resoconto riporti il contenuto preciso del loro confronto, gli storici moderni hanno sempre convenuto nel vedere negli eventi di Diametta un dialogo islamo-cristiano ante litteram. Chiara Frugoni (1995) ha sottolineato come l’esperienza egiziana abbia influenzato profondamente la spiritualità francescana, passando da una visione di predicazione nel territorio nemico ad una visione di tolleranza. Se nella Regola non bollata i frati devono predicare «tra i saraceni», nella Regola bullata l’invito è a «non fare liti né dispute, ma essere soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio». Per la Frugoni, quindi, in queste parole si rifletterebbe la lezione appresa davanti al Sultano, cioè che la pace nasca dalle relazioni e non dalle superiorità.
Per Jacques Le Goff (2002) l’incontro di Damietta capovolge la logica delle crociate: invece di «convertire» o «vincere», Francesco sceglie di conoscere. La sua testimonianza anticiperebbe quindi la moderna teologia del dialogo, quella di una fede che non rinuncia alla propria identità, ma la esprime nel rispetto dell’altro. Questo atteggiamento rende Francesco, come osserva Le Goff, un «rivoluzionario della pace». Divenuto simbolo universale di fraternità, nei secoli successivi l’episodio è stato ripreso da papi e studiosi come paradigma di apertura religiosa. Nel 1986, Giovanni Paolo II convocò ad Assisi il primo incontro interreligioso per la pace, richiamandosi esplicitamente a Francesco. E nel XXI secolo Papa Francesco, nell’enciclica Fratelli Tutti (2020), ha ricordato quell’abbraccio ideale tra il Santo e il Sultano, nominandolo ispirazione per un mondo «che cerca la pace nonostante le differenze».
A ottocento anni di distanza, l’incontro tra San Francesco e al-Malik al-Kâmil conserva una potenza simbolica ancora intatta, su cui è bene tornare a riflettere. Come scrive John Tolan, «che l’incontro sia avvenuto o meno nei termini raccontati, esso ha prodotto una realtà più potente del fatto: un modello di pace e fraternità che ha attraversato i secoli» (2009: 17). Se le letture storiografiche hanno sempre esaltato la concordia dell’incontro, le fonti cristiane rivelano, al contrario, un atteggiamento di Francesco teso alla sopraffazione religiosa e privo di alcun interesse interculturale. Un atteggiamento pacifico forse, ma non per questo primo case of study del dialogo islamo-cristiano. Ancora una volta, l’utilizzo politico della Storia ha restituito una narrazione ideologica e debitamente costruita.
Bibliografia
Huygens R. (1960), Lettres de Jacques de Vitry (1160/1170-1240), Leiden: Brill
Cardini F. (1989), Francesco d’Assisi, Segrate: Mondadori
Manselli R. (1980), San Francesco d’Assisi, Firenze: Sansoni
Frugoni C. (1995) Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Torino: Einaudi
Le Goff J. (2002), San Francesco d’Assisi, Roma-Bari: Laterza
Spoto D. (2002), Reluctant Saint: The Life of Francis of Assisi, Viking Penguin
Tolan J (2009), Il santo dal sultano. L’incontro di Francesco d’Assisi e l’Islam, Roma-Bari: Laterza
Cardini F. (2023), L’avventura di un povero cavaliere del Cristo. Frate Francesco, Dante, madonna Povertà, Roma-Bari: Laterza
Barbero A. (2025), San Francesco, Roma-Bari: Laterza
Cazzullo A. (2025), Francesco: il primo italiano, Milano: HarperCollins









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