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Henrietta Lacks: la ricerca tra abuso e consenso

  • Writer: Koinè Journal
    Koinè Journal
  • 3 days ago
  • 6 min read

di Emanuela Carbone.


di Emanuela Carbone.


Nel cuore degli anni ’50, in un’epoca segnata da entusiasmi postbellici, corsa allo spazio e ricerca scientifica, il progresso sembra inarrestabile. I laboratori si riempiono di nuove scoperte, svuotandosi di domande etiche, in una patina febbricitante di esperimenti e rivoluzioni che dimentica, sotto spesse linee di indelebile nero, i nomi e il consenso di chi rende possibile tutto questo, con le proprie cellule, con il proprio corpo e con la propria vita.


Scienza e consenso: confine o traguardo?

Volontario, informato e comprensivo”, così recita il Codice di Norimberga, redatto nel 1949, in merito al consenso che ogni individuo deve fornire prima di partecipare ad un esperimento medico-scientifico: la necessità di un salvagente etico nacque dalle carte dell’omonimo processo svoltosi al termine della Seconda guerra mondiale a carico dei medici nazisti, artefici di esperimenti e martirii nei campi di sterminio, al fine di tracciare un confine tra sperimentazione lecita e tortura.


Il principio è dunque chiaro: nessun essere umano può essere coinvolto in un esperimento medico senza essere pienamente informato e libero di scegliere. Tuttavia, se al tempo la comunità scientifica celebrava il codice come una rivoluzione, la realtà era ben diversa e nella pratica medica quotidiana per gli indigenti, i colored e gli individui più vulnerabili, quel codice era lettera morta.


In questo contesto di fervore e sperimentazione, il caso più lampante resta quello di Henrietta Lacks, la donna afroamericana le cui cellule, prelevate senza il suo consenso e rivelatesi in grado di riprodursi indefinitamente, hanno contribuito a rivoluzionare la medicina moderna. Ma a quale prezzo? E quante altre storie simili sono state sacrificate in nome del progresso?

La scoperta delle HeLa


Trentun anni, cinque figli, d’animo stoico e senza assicurazione sanitaria, così si presentò Henrietta Lacks al Johns Hopkins Hospital nel ’51, lamentando forti dolori al basso ventre. Le venne diagnosticato un tumore alla cervice e, in occasione dei trattamenti per curarlo, le venne prelevato un campione di tessuto senza informarla. In quel periodo, far sopravvivere una popolazione cellulare in laboratorio e sperare che crescesse era un azzardo fantascientifico, infatti le cellule HeLa (dalle prime sillabe del nome e del cognome della donna) furono trattate esattamente come tutti gli altri campioni di tessuti umani presenti nel laboratorio del dottor George Gey. Poi la scoperta: non si trattava solo di cellule in grado di sopravvivere nel brodo di coltura, erano capaci di replicarsi rapidamente e in quantità tali da consentirne l’utilizzo per una vasta gamma di esperimenti e da diventare rapidamente un pilastro della ricerca biomedica globale.


La straordinaria resistenza di queste cellule alle condizioni più avverse ne fece anche il passeggero ideale per viaggi transatlantici verso i laboratori di tutto il mondo: una volta replicato il mezzo di coltura, le cellule crescevano allo stesso identico modo dal Canada all’Australia. 

 

Henrietta Lacks, il dolore e la vita immortale

Henrietta morì alle 00:15 del 4 ottobre 1951, “uremia terminale” la causa di morte, una grave intossicazione dell’organismo che non è più in grado di espellere le tossine con l’urina, metastasi di diverse dimensioni avevano ostruito l’uretra, avvolto i reni, le ovaie e l’utero e, come semi in un campo appena arato, avevano ricoperto tutti gli altri organi: da quel momento in poi le cellule che le erano state prelevate avrebbero vissuto più a lungo in una piastra di Petri che all’interno del suo corpo. Nessuno però chiese mai il consenso ad Henrietta o alla famiglia finché lei era in vita, mentre scienziati e aziende guadagnavano milioni grazie ai nuovi farmaci che riuscivano a testare, come il vaccino contro la poliomielite, vincevano premi per gli studi sull’effetto delle radiazioni e sul cancro, mappavano il genoma umano, spedivano le cellule nello spazio e ampliavano a livello industriale i loro laboratori: i suoi discendenti restarono all’oscuro di tutto, senza voce, senza risarcimenti, senza giustizia.


La Dichiarazione di Helsinki

La scienza avanzava e il caso HeLa si faceva simbolo di una ricerca che, per decenni, aveva ignorato un principio cardine: il consenso. La Dichiarazione di Helsinki, redatta dalla World Medical Association e adottata nel ’64, rafforza ciò che già il Codice di Norimberga sanciva, stabilendo che il benessere dell’individuo, la dignità e la sua autodeterminazione in un contesto di cura e ricerca, devono prevalere sempre sull’interesse della scienza.

Eppure, la storia di Henrietta Lacks dimostra la natura colpevole di un’etica medica paternalistica, una pratica di valori assoluti compresi tra “sì” e “no” pronunciati dall’alto di una cattedra di camici bianchi appariscenti messi di fronte al giudice della giovane disciplina bioetica: il vano tentativo di rimediare, spesso in ritardo, agli errori del passato. Negli anni successivi al ’64 furono sei le revisioni e due le chiarificazioni apportate alla Dichiarazione di Helsinki, ognuna delle quali volta a colmare i vuoti e chiarire le ambiguità lasciate dalla pratica clinica.


Dal rafforzamento del ruolo dei comitati etici indipendenti (Tokyo, 1975 e Hong Kong, 1989), all’introduzione di regole chiare sugli standard etici da applicare all’uso del placebo (Somerset West, Sud Africa, 1996: in seguito alla pubblicazione dello studio dell’AIDS CTG sull’azidotimidina per prevenire la trasmissione materno-fetale dell’HIV), fino all’obbligo di trasparenza nella pubblicazione dei risultati, ciascuno di questi aggiornamenti mirava ad una ricerca più equa, giusta e rispettosa. L’ultima revisione del 2024 ha incluso una modifica sottile e profondamente simbolica: al fine di riconoscere la piena soggettività e dignità dei soggetti di ricerca, questi sono stati definiti “partecipanti”. 


Non un caso isolato, ma una storia come molte altre: lo studio di Tuskegee sulla sifilide, le MST in Guatemala e la tribù degli Havasupai.


Henrietta non fu sola, il vasto cielo della medicina è trapunto di storie simili alla sua e di altri corpi, altrettanto poveri, emarginati e appartenenti a minoranze, trattati come oggetti e non soggetti di studio. Un primo caso è lo studio sulla Sifilide di Tuskegee (1932 – 1972), condotto dal Servizio Sanitario Pubblico degli USA, che coinvolse circa 600 uomini afroamericani, di cui 399 affetti da sifilide: i partecipanti non furono informati circa la loro patologia e non gli fu somministrato alcun trattamento, nonostante la contestuale scoperta della penicillina come farmaco efficace. Ma a quale scopo? Quello di osservare il decorso naturale della malattia. Lo studio si concluse nel ’72 dopo aver suscitato l’indignazione dell’opinione pubblica, avvalorando ancora di più la necessità di misure etiche presenti nella Dichiarazione di Helsinki.


In Guatemala, tra il 1946 e il 1948, alcuni ricercatori statunitensi in collaborazione con le autorità guatemalteche, condussero esperimenti su oltre 5000 individui vulnerabili tra orfani, prigionieri, soldati e pazienti psichiatrici: 1300 di loro furono infettati con malattie sessualmente trasmissibili come gonorrea, sifilide e chancroide, senza il loro consenso. In questo caso lo scopo era quello di testare la penicillina come farmaco preventivo, ma gli esperimenti rimasero sconosciuti al mondo fino al 2010.


Il caso della Tribù Havasupai si protrasse per un ventennio (1990 – 2010), da quando i membri della tribù in Arizona iniziarono a fornire sangue all’Arizona State University per uno studio sul diabete: scoprirono solo in seguito che quei campioni erano stati utilizzati in altri studi per i quali non avevano fornito il consenso, come ricerche sulla schizofrenia, sull’inbreeding e sulla migrazione. Tutto ciò violava le loro credenze culturali e spirituali, per questo, nel 2010, la tribù ricevette un risarcimento e la restituzione dei campioni biologici.


Quanto è sottile, ad oggi, il confine tra scienza e abuso?

I casi sopracitati affondano le loro radici nel passato, ma le fronde sono ben visibili anche in questo tempo storico, un riflesso evidente di un sistema fallace, che inciampa ogni qualvolta venga anteposto il progresso alla giustizia. Nonostante l’etica della ricerca abbia fatto notevoli passi avanti, dall’altro le frontiere della medicina personalizzata, della genetica predittiva e dell’intelligenza artificiale, pongono nuovi interrogativi: la storia di Henrietta Lacks ricorda che dietro ogni campione biologico c’è una storia, una persona, un diritto e che la scienza, nell’ottica del costante progresso, non può e non deve permettersi di ignorarlo. La questione è dicotomica: cosa può fare la scienza con il corpo umano? e cosa invece dovrebbe fare?


Nel 2025 la normativa italiana sulla donazione di tessuti a scopi scientifici è chiara: il DPR del 10/02/2023, entrato in vigore il 13/05/2023 disciplina ai sensi dell'articolo 8 della legge 10 febbraio 2020, n.10, le modalità e i tempi di conservazione, richiesta, trasporto, utilizzo e restituzione del corpo del defunto oggetto di disposizione post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica. Una legge che prevede l’espressione del consenso attraverso le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), ovvero un atto pubblico, privato autenticato o privato consegnato all’Ufficio dello stato civile del comune di residenza. Si tratta di una dichiarazione sempre revocabile, che viene consegnata all’ASL di appartenenza e trasmessa alla banca dati DAT.


Nonostante i progressi normativi, permangono degli interrogativi cruciali: le storie di Henrietta Lacks, dei pazienti di Tuskegee e della tribù Havasupai ci ricordano che la scienza, senza un’etica solida, rischia di trascurare la dignità individuale.

Il progresso scientifico ha un prezzo e la questione è: chi lo paga davvero?

 


 

 

Bibliografia

-“La vita immortale di Henrietta Lacks”, Rebecca Skoot, 2022, Adelphi Edizioni


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