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Writer's pictureKoinè Journal

Koinè intervista Mimmo Lucano: "La mia idea di Europa? Riace"


di Emanuela Carbone.


Koinè Journal intervista Mimmo Lucano, sindaco di Riace, europarlamentare, politico e attivista italiano, divenuto noto per il suo modello di gestione e accoglienza di immigrati e rifugiati politici.

In quest’intervista abbiamo parlato delle elezioni europee, del modello Riace e, inevitabilmente, della vicenda giudiziaria e umana che lo ha coinvolto negli ultimi anni.


Partiamo dalle Europee: in fase di campagna elettorale, alcune candidature, la sua, della Salis, sono state giudicate puramente mediatiche. Lei cosa ne pensa?

Io mi sono candidato perché volevo rafforzare la mia candidatura alle comunali: sono partito dal villaggio globale, da un’esperienza che è stata l’epicentro di un laboratorio sociale e politico aperto. La politica dell’accoglienza e dell’uguaglianza, ma anche l’idea di giustizia, si sono rafforzate ancora di più dopo che la mia storia è diventata un caso giudiziario: la voglia di lottare per la mia terra è stato il motore primo dietro la mia candidatura.


Non mi sono candidato con la lista di Santoro per una motivazione puramente opportunistica: avevano l’1,2% nei sondaggi e sarebbe stata una battaglia persa in partenza che avrebbe screditato anche la mia credibilità per le elezioni comunali. Ci sono trecento elettori a Riace Superiore e mille a Riace Marina e ho percepito che l’elezione al Parlamento Europeo mi ha consolidato nell’immaginario comune delle persone.


Io ho conosciuto la Salis direttamente a Bruxelles, era seduta vicino a me, e la percezione è stata quella di una grande consapevolezza di fragilità da parte di entrambi, una sensazione di inadeguatezza rispetto a quella sala immensa in cui si scelgono i destini dell’Europa.


Quando si è votato per la rielezione del Presidente della Commissione Europea, il suo partito si è spaccato a metà: lei con quale delle due sta?

A Strasburgo, quando abbiamo dovuto votare, ho avuto ancora di più la conferma delle prime sensazioni che avevo avuto, non è come fare il sindaco, non si tratta di una piccola comunità in cui si conoscono tutti, lì i livelli politici si spostano su panorama più grande e andando avanti emergono sempre differenze e contraddizioni che sono fisiologiche in un partito.

Al momento di confrontarci è scattata una prima selezione perché dei sei eletti di AVS solo in due abbiamo votato contro la Von der Leyen e per me il motivo è molto semplice: hanno un’interlocuzione con lo Stato di Israele, con Netanyahu, è in atto un genocidio e non c’è stata una presa di posizione, è un’Europa che non è mai andata oltre la visione della Nato, un’Europa silente, così come il governo italiano.


Quindi qual è la sua idea di Europa?

La mia idea di Europa è Riace, uno spazio aperto, comune di solidarietà e uguaglianza, che si fa forte delle differenze. Su una scala più ampia mi aspetto che anche l’Europa impari a rinascere dalle comunità come è successo con Riace.


In base alla corrente del suo partito di cui si sente di far parte, è a favore o contro il modello Von der Leyen? Ci spieghi meglio la sua idea.

Mi trovo contrario a quel modello, mi chiedo più che altro perché deportare e ammassare le persone quando ci sono tante case vuote, quando si possono garantire diritti, sanità, istruzione: è necessario far rinascere le comunità e ripartire da esse, fare della diversità una ricchezza. Questa è la mia esperienza e quello che spero di portare in Europa.


Io sono uno dell’estrema sinistra, con la massima convinzione, perché quell’ideale mi porta quasi ad accarezzare il sogno evangelico: una sinistra autentica, una rivolta dei borghi rurali senza chiavi alle porte dove il concetto della proprietà privata e dell’egoismo vengono disintegrati, in favore di un altruismo politico che si spende per la vita delle persone.


Lei è diventato famoso per il modello Riace, che è stato tanto apprezzato quanto criticato. C’è stato un processo ed è stata pronunciata una sentenza, ma lei crede di poter esportare questo modello in Europa? E come?

Come ho fatto a Riace, con la possibilità di ripopolare i borghi abbandonati attraverso l’accoglienza dei rifugiati, è questa la mia idea, creando delle comunità in grado di salvare se stesse avvalendosi della fortuna di poter includere e riabilitare.


Vogliamo creare un’alternativa in Europa alle deportazioni del governo italiano in Albania, un’alternativa ai lager libici, ai campi di internamento, agli accordi con i cosiddetti “paesi terzi” in cui non vengono rispettati i diritti umani, come l’Egitto, come la Libia, la Tunisia, semplicemente con una banalità: ripopolare e riabitare le case dei paesi che tendono ad eclissarsi.


Inevitabilmente il leitmotiv di quest’intervista ci porta al processo e al modello Riace:

Quando è nata l’inchiesta verso di me c’è stata una grossa macchinazione: in maniera inconsapevole un piccolo governo locale aveva ribaltato totalmente il teorema dell’immigrazione-invasione, un assunto portato avanti dalle destre con cui sono state costruite campagne elettorali e che, a livello mediatico, tocca le pance e si traduce subito in consenso.


Riace subisce la repressione giudiziaria per questo motivo, era fondamentale denigrare e criminalizzare un modello che aveva scardinato il dogma dell’immigrazione come superlativo assoluto. È stato un processo politico, che sarei disposto a ripercorrere da capo pur di fare definitivamente chiarezza sulla vicenda e pur di far conoscere veramente il modo in cui ho agito.


Nel dibattito politico italiano mi sono permesso di dire che non ci troviamo di fronte a delle invasioni, ci troviamo di fronte alla speranza di far rinascere i paesi. Da qui è nata la volontà di ricandidarmi a livello locale, perché c’è una consapevolezza intrinseca, c’è una storia, ci conosciamo tutti quanti e se sono stato eletto per la quarta volta, vuol dire che c’è una comunità e che sa, che Riace sa.


Parlando all’amministratore calabrese e passando alla politica interna, parliamo di autonomia differenziata. Lei cosa ne pensa?

Io sono assolutamente per l’abrogazione dell’autonomia differenziata, che poi è il disegno di legge della Lega di Calderoli, di Bossi, che nasce con un’idea secessionista di separatismo del nord dal sud, l’ennesimo tentativo di aumentare un divario tra i due poli.


Io ho sempre immaginato il riscatto della nostra terra, ma l’autonomia differenziata affonda le sue radici molto indietro nel tempo: noi abbiamo subito il dominio della borghesia agraria, il dominio delle mafie, la risposta naturale avrebbe dovuto essere “ce ne andiamo, emigriamo”, ma poi chi sarebbe rimasto? Sarebbero rimaste solo due fette di popolazione: quella priva dei più elementari strumenti culturali anche per poter essere emigrante e quella che voleva lottare, che si aggrappava a quel “Riace non vuole morire”.


Quest’anno abbiamo fatto il festival dell’accoglienza e della “restanza”, un termine coniato da Vito Teti (ordinario di antropologia all’Università della Calabria, dirige il Centro di iniziative e ricerche “Antropologie e Letterature del Mediterraneo”, è autore, tra l’altro, del libro “La restanza” ndr), che la dice lunga sulla voglia di resistere e lottare, di non accettare la marginalità. L’unica cosa che mi sento di aggiungere a tutto ciò che è stato già detto è che dobbiamo avere un orgoglio, non dobbiamo rivendicare fino all’esasperazione senza fare nulla, accettando un’idea commiserevole e passiva.


Sarà questo, secondo lei, il banco di prova del campo largo? Glielo chiedo perché in Francia un campo largo è nato, in Italia invece ancora non è ben chiaro. Lei, ad esempio, appoggerebbe uno schieramento con Renzi e Calenda?

Sinceramente non lo so, non mi ritengo in grado di poter giudicare chi stia meglio con chi, penso piuttosto che ci siano delle forti incompatibilità politiche per qualcosa del genere. Le differenze passano attraverso prospettive spesso invisibili, che si vedono solo attraverso un esercizio del continuo giudicare, un aspetto che non mi piace della sinistra e che bada molto ad etichettare chi sia più di sinistra e chi meno.


Sono un antifascista, questo sì. Nel corso degli anni abbiamo visto che con atteggiamenti intransigenti abbiamo favorito il centrodestra e una tensione politica che lo ha portato al governo in Italia.


In prospettiva futura non vedo bene l’accettazione della guerra, del neoliberismo, della privatizzazione della sanità, della scuola. Il Partito Democratico ha molte responsabilità anche in questo, avendo spesso usato un linguaggio che inseguiva la destra, specie negli anni della criminalizzazione della solidarietà, con atteggiamenti poco vicini all’area progressista.






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