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  • Writer's pictureKoinè Journal

La storia di Tiziano: la colpa e la perdita


di Gabriele Padula.


Ho trovato Tiziano disteso sul letto della sua stanza durante l’usuale “giro visite” della mattina. Era un vecchio signore con gli occhi infossati e il volto segnato dalle rughe, dal colorito della pelle lievemente biancastro e dai capelli brizzolati. Nel complesso curato nell’aspetto (le unghie delle mani erano ben tagliate e i capelli pettinati), fatto abbastanza dissonante con i vissuti che avrebbe poi narrato. C’erano comunque dei segnali che iniziavo a cogliere per cercare di comprendere Tiziano, tra i quali la presenza, ai piedi del letto, delle sue pantofole malmesse e riparate con del nastro adesivo. Questo, che potrebbe sembrare un dettaglio irrilevante (e forse lo è), mi ha aperto nella mente l’immagine di una persona che si prende cura degli oggetti, dalle doti artigiane improvvisate di riparazione, complice probabilmente anche l’epoca in cui era cresciuto. Oltre a questo, il vestiario era abbinato con cattivo gusto e l’espressione del volto, contratta dal dolore degli acciacchi fisici caratteristici dell’età, nascondeva un lavorio incessante di pensieri e lambiccamenti. Tiziano mi ha parlato della moglie, delle patologie che la costringevano a stare a letto, delle procedure mediche cui si era sottoposta e ha condiviso la sua paura per la morte di lei. Ha parlato dei suoi errori passati che non era in grado di definire ulteriormente, ma che viveva comunque con profondo pentimento. Dai colloqui che poi avremmo fatto intuivo che, in realtà, avesse anche qualche esempio di errore commesso, che probabilmente non ha voluto condividere con me, perché comunque ero un estraneo per lui, o perché non era pronto a farlo. Avevo poi saputo che la moglie effettivamente avesse una serie di patologie mediche ma che, in realtà, fosse in grado di muoversi autonomamente.


Tiziano, nell’ultimo anno, aveva perso 30 kg di peso per via del ridotto appetito, si era ritirato in casa negli ultimi mesi senza mai uscire e non riusciva più a dormire bene: aveva difficoltà ad addormentarsi e si svegliava presto la mattina, avendo l’impressione di non essersi per nulla riposato. L’umore era visibilmente triste, come anche riportato soggettivamente dal paziente stesso. Questo tipo di tristezza, coerente anche con i temi del suo pensiero, era un tipo di tristezza che possiamo definire “vitale”, ovvero una tristezza che si declina anche a livello vegetativo, a livello delle funzioni “più prossime”, per così dire, al corpo: si insidia nel movimento, nelle attitudini del mangiare e nel dormire. Questo tipo di tristezza vitale è quella che clinicamente viene definita depressione. Da qui l’impostazione di una terapia con farmaci antidepressivi e l’inizio di una serie di colloqui giornalieri da cui sono scaturite le riflessioni e le narrazioni che seguono.


La tristezza che raggiunge una rilevanza clinica, come quella del signor Tiziano, pervade il corpo, stana la motivazione, le energie, i progetti. Il tempo viene vissuto come se il passato predominasse sul presente e sul futuro (sebbene non al livello della depressione psicotica, una depressione più grave, dove si verifica una totale cancellazione del futuro e di ogni speranza possibile, che invece in Tiziano si intravedevano), alla ricerca degli errori commessi, delle colpe, dei rimorsi. Tiziano mi diceva che non aveva speranze per il futuro, che non sapeva cosa avrebbe fatto dopo la dimissione.

Dove sarebbe andato poi? A casa? Con la moglie malata?


Questa qualità del tempo vissuto, propria della tristezza vitale, si può intuire nella tristezza esistenziale nostalgica e malinconica che talvolta possiamo vivere in noi, per disposizioni oscillatorie dell’umore o reattivamente a motivi specifici, ma mai raggiunge quella pervasività corporea e quel tempo vissuto caratteristico della tristezza patologica, della depressione.

La depressione di Tiziano sarebbe iniziata circa tre mesi prima, in prossimità del suo compleanno, quando avrebbe iniziato a pensare alla sua vecchiaia e alle implicazioni dell’età: l’approssimarsi della morte e il corpo percepito sempre più come un “limite” e sempre meno come “implicito” (a causa degli acciacchi) di quanto non fosse prima. Insieme alla realizzazione dell’approssimarsi della sua morte, ha realizzato anche l’approssimarsi della morte della moglie, di poco più piccola di lui, a cui il paziente era profondamente legato, soprattutto a seguito poi dalle “pene sanitarie” passate negli ultimi due anni da quest’ultima. In questo contesto, sembra quindi comprensibile l’emergenza del fenomeno depressivo e le tematiche del pensiero associate. Anche in questo caso però (come nel caso di Federica, nel precedente articolo) la comprensibilità del fenomeno clinico non implica causalità e il mio discorso attuale si muove sempre all’interno dell’ambito della comprensione, rimandando ad un secondo momento o ad altri contesti, il discorso delle cause in psichiatria.

Da un punto di vista, quindi, dell’inquadramento diagnostico, l’esperienza vissuta da Tiziano, che ha raggiunto un’intensità clinica tale da configurare un quadro depressivo, è probabilmente reattiva agli avvenimenti occorsi alla moglie e all’abbandono (o meglio anche alla paura dell’abbandono) conseguente alla possibile morte di quest’ultima.

Certo con il migliorare dell’umore e dell’episodio depressivo, venivano fuori anche elementi della personalità che, unitamente alle tematiche dell’episodio depressivo, facevano pensare ad uno stile di personalità già tendenzialmente depressivo. Inoltre, dal punto di vista della sua storia clinica psichiatrica, già in passato Tiziano aveva avuto altri episodi acuti dell’umore, sebbene di intensità minore rispetto a quest’ultimo di cui ho scritto. Per chiarezza, gli episodi depressivi non sono caratteristici solo delle personalità depressive e non tutti i soggetti con stili di personalità depressiva vivono episodi depressivi acuti rilevanti (come Tiziano). Inoltre, anche dal punto di vista terapeutico vi sono delle differenze, poiché la personalità depressiva, qualora sia patologica (perché non lo è sempre), non richiede e non giova di una terapia farmacologica.


Nella personalità di Tiziano (come anche nell’episodio acuto dell’umore che con difficoltà ho distinto dalla personalità per quanto riguarda le tematiche, ma non per la portata “vitale” dell’episodio, come già ho detto più su), in un’ottica di interpretazione psicodinamica, ho intravisto elementi di entrambi i poli in cui è possibile che le dinamiche depressive si organizzino: il polo delle problematiche introiettive (che in gergo psicodinamico vengono definite “melanconiche”), che si manifestano con sentimenti di colpa, autocritica e perfezionismo; ed il polo delle problematiche relazionali (che in gergo psicodinamico vengono definite “anaclitiche”), che si manifestano con alta reattività emotiva alla perdita e al rifiuto, sentimenti di vuoto, inadeguatezza e vergogna. Questa commistione di elementi è abbastanza caratteristica delle personalità depressive.


A parte il tentativo di inquadrare correttamente la personalità, che è utile per capire il tipo di atteggiamento relazionale da tenere con i pazienti nella speranza che sia almeno minimamente terapeutico per loro, come anche per la gestione più appropriata del caso, l’inquadramento diagnostico dell’episodio acuto è servito per impostare la corretta terapia farmacologica. Infatti, vista l’età avanzata del paziente, è stato escluso anche un esordio di decadimento cognitivo, un’evenienza abbastanza frequente e probabile.

In conclusione, un episodio depressivo viene vissuto soggettivamente, ma anche visto obiettivamente dai cari di chi ne soffre, perché, oltre alla profonda tristezza e alla perdita di interesse per ciò che normalmente il paziente apprezzava, si verificano quelle alterazioni vegetative di cui sopra, che, in realtà possono essere tanto “diminuite”, quanto “aumentate”: accelerazione/rallentamento motorio, aumento/riduzione della fame, aumento/riduzione del sonno.


La diagnosi corretta permette l’impostazione di una terapia psicofarmacologica in genere molto efficace associata eventualmente ad una psicoterapia. Il trattamento della depressione può essere ambulatoriale e anzi principalmente lo è, sebbene comunque talvolta sia necessario il ricovero. In tal senso, è importante rivolgersi ai professionisti della salute mentale per il corretto inquadramento ed eventuale trattamento del disagio psichico esperito.








Bibliografia

- Allen, F. (2014). La Diagnosi in Psichiatria. Milano: Raffaello Cortina Editore.

- Borgna, E. (2018). Noi siamo un colloquio. Bergamo: Universale Economica Feltrinelli

- Lingiardi, V. McWilliams, N. (2020). Manuale Diagnostico Psicodinamico PDM-2. Milano: Raffaello Cortina Editore.

- Scharfetter, C. (2018). Psicopatologia generale. Roma: Giovanni Fioriti Editore

- Stanghellini, G. Mancini, M. (2018). Mondi Psicopatologici. Milano: Edra




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