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Mario Paciolla: cinque anni dopo, ancora nessuna verità

  • Writer: Koinè Journal
    Koinè Journal
  • Jul 23
  • 4 min read
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di Davide Cocetti.


15 luglio 2020: il corpo senza vita del trentatreenne Mario Paciolla, originario di Napoli, viene rinvenuto nella sua abitazione a San Vicente del Caguán, cittadina nel sud della Colombia. Cooperante italiano per l’ONU nel paese, era tra i membri della Missione incaricata di vigilare sul difficile processo di pacificazione della regione. La ricostruzione ufficiale, fornita tempestivamente dalle autorità locali, parla di suicidio; le evidenze riscontrate sul corpo di Mario e le testimonianze delle persone a lui vicine, però, rendono difficile credere a questa versione. Ciononostante, quasi cinque anni dopo, il 30 giugno 2025, il Tribunale di Roma accoglie la richiesta della Procura di disporre l’archiviazione del caso. Un punto sulla vicenda che in molti – a partire dalla famiglia di Mario – rifiutano di accettare, alla ricerca di una giustizia che sembra più lontana che mai.  

 

Il contesto: una missione ad alto rischio

 

Per capire di più sul caso Paciolla, è necessario approfondire il contesto in cui il giovane napoletano operava. A partire dagli anni Sessanta, la Colombia è stata funestata da una sanguinosa guerra civile che ha contrapposto il governo e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), movimento paramilitare di ispirazione marxista arricchito da finanziamenti esterni e dai proventi illeciti del narcotraffico. Il conflitto ha causato decine di migliaia di morti tra i due schieramenti e soprattutto tra la popolazione civile, colpita dalla brutalità dei metodi adottati da ambo le parti. Solo nel 2016, dopo anni di mediazioni, è stato finalmente raggiunto un accordo sulla fine delle ostilità – valso, tra l’altro, il premio Nobel per la pace al presidente colombiano Juan Manuel Santos, nonostante tutte le controversie legate al suo precedente mandato come Ministro della difesa e le migliaia di vittime innocenti causate dalle misure draconiane da lui adottate durante la guerra civile.

 

Le FARC accettarono dunque di consegnare le loro armi all’ONU, che a sua volta si incaricò di vigilare sul rispetto degli accordi e contribuire alla difficile pacificazione della regione. È proprio in questo delicato processo di monitoraggio che si inserisce la figura di Mario Paciolla, inviato in una delle regioni più instabili, dove la pace resta fragile e continuamente minacciata da milizie dissidenti, narcos e corruzione locale.

 

Il ruolo di Mario Paciolla nella caduta del ministro Botero

 

L’inchiesta di Claudia Julieta Duque, giornalista colombiana vicina a Mario Paciolla, ha messo in luce il coinvolgimento del giovane cooperante nelle indagini sul bombardamento di un accampamento di dissidenti FARC. L’operazione, voluta dal controverso Ministro della difesa Guillermo Botero, aveva causato la morte di almeno sette ragazzi tra i 12 e i 17 anni. Contro ogni disposizione ONU, i materiali del dossier compilato da Mario e dagli altri osservatori arrivarono nelle mani dell’opposizione, che non esitò a servirsene per mettere sotto scacco Botero e costringerlo alle dimissioni.

 

Sappiamo che in questa circostanza Paciolla cominciò a mostrare disillusione per il proprio incarico, sentendosi usato e per nulla protetto, e a temere per la propria sicurezza. Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, i timori di Mario crescono e lo spingono alla decisione di lasciare la Colombia, posto ormai «non sicuro». A inizio luglio, confida alla madre e agli amici che ha finalmente ottenuto un biglietto per rientrare in Italia: sarebbe dovuto partire il 20 di quello stesso mese. Il 13 scrive parole ancora più gravi: «Mi sento in trappola. Questo è un inferno». 

 

La morte e la duplice autopsia

 

Il 15 luglio Paciolla venne trovato impiccato con un lenzuolo. Subito dopo il ritrovamento del corpo, i primi a entrare nella casa di Mario Paciolla non furono né la polizia né il medico legale, ma alcuni funzionari della Missione ONU. Tra loro, secondo documenti e testimonianze raccolte anche da Fanpage e El Espectador, vi era Christian Thompson, ex militare dal passato torbido a capo della sicurezza della Missione. Una figura che Mario temeva, come aveva confessato alla sua ex fidanzata, e che aveva incontrato – senza preavviso – il giorno prima della sua morte. Le autorità colombiane non furono avvisate immediatamente, e quando arrivarono, trovarono una scena alterata: il computer e il telefono erano spariti, le superfici erano state pulite con candeggina, alcuni oggetti personali erano stati rimossi e portati in discarica. Sempre Thompson, secondo la denuncia formale presentata dalla famiglia Paciolla nel 2022, avrebbe coordinato l’ingresso e le operazioni dei funzionari ONU nella casa.

 

L’autopsia colombiana diede un responso inequivocabile: suicidio per impiccagione. Ma l’autopsia eseguita in Italia, pur senza poter determinare con certezza la causa del decesso a causa delle manipolazioni sulla scena e del ritardo nella consegna del corpo di Mario, rilevò anomalie significative: il solco sul collo non era descritto correttamente, mancavano foto, non c’era traccia di alcune ferite riportate dal corpo. I medici italiani sottolinearono l’incompatibilità di diverse evidenze con l’ipotesi di un suicidio e segnalarono la possibilità di un’azione violenta.

 

Una giustizia incompiuta

 

Nonostante le denunce contro Thompson e altri funzionari, nessuna indagine formale è stata avviata dalle autorità colombiane. L’ONU ha taciuto sul proprio ruolo operativo nei momenti immediatamente successivi alla morte e non ha preso alcun provvedimento nei confronti dei suoi rappresentanti. Christian Thompson è stato addirittura promosso e spostato a Bogotà nel 2023.


Con l’archiviazione del caso da parte del Tribunale di Roma, rimangono i genitori Anna e Pino e gli affetti di Mario, che non hanno mai creduto alla versione del suicidio, a «lottare per ottenere la verità processuale». La loro battaglia trova un prezioso appoggio nel Comitato Giustizia per Mario Paciolla, in prima linea per promuovere la causa e portarla a un pubblico sempre più ampio. Importante è anche il sostegno di “Libera”, “Articolo 21”, FNSI, Collettiva, Fanpage.it e di tutte quelle associazioni, organizzazioni, media, esponenti politici e più in generale della società civile che hanno risposto e continuano a rispondere all’appello della famiglia Paciolla per avere finalmente verità e giustizia. 

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