di Luca Simone.
Esattamente un mese fa, il 7 gennaio, il raduno fascista di Acca Larentia, con centinaia di nostalgici dalle braccia tese che inneggiavano al Ventennio, aveva scosso l’opinione pubblica italiana, a quanto sembra disabituata ad occuparsi tematiche simili, e scatenato una accesa campagna mediatica che condannava (in maniera sacrosanta) l’evento.
Spinto dall’onda mediatica, che sempre più ne sembra oggi dettare l’agenda politica e comunicativa, il mondo della sinistra era esploso in fragorose condanne dell’accaduto, con un grido di indignazione e stupore arrivato tanto da PD, +E e SI che accusavano il governo Meloni di connivenza ideologica con gli organizzatori e i partecipanti, quanto dai presunti riferimenti culturali di questi (Saviano, La Torre, Valerio, ecc.).
Nella polemica, però, ci si era dimenticati di un piccolo – fondamentale - dettaglio: questa commemorazione avviene ogni anno, da decenni, e senza che nessuno battesse ciglio (il lettore ci perdonerà la semplificazione, alcune denunce, soprattutto dai residenti, ci sono sempre state) anche negli anni di governo della sinistra del Paese, della Regione e della città. Perché se non è affatto strano trovare tra gli avvocati difensori dei neofascisti personaggi come Gianni Alemanno, sarebbe da chiedersi dove fossero gli amministratori di sinistra e i mass media mentre questa rivendicazione veniva continuamente ripetuta anno dopo anno.
C’è poi un secondo dettaglio, anch’esso per niente nuovo: manifestazioni simili avvengono ripetutamente anche in altre città e in altri quartieri. Senza andare a scomodare Predappio, è sufficiente pensare al Campo X del Cimitero di Milano, o, per restare a Roma, alla commemorazione minore avvenuta a Villa Glori sempre per Acca Larentia, o a quella in ricordo di Alberto Giaquinto, nel Quartiere di Centocelle, che si svolge un solo giorno dopo.
Insomma, non solo Roma non è nuova a queste manifestazioni, ma non lo è neanche il resto del Paese, ed è sconcertante quanto i media e persino chi quei luoghi li governa, siano cascati dal pero con toni di stupore davanti ai fatti del 7 gennaio. Toni di stupore che, va detto, o simboleggiano chiare evidenze di code di paglia e imbarazzo, o sottolineano quanto tutte queste personalità (mediatiche o politiche) siano lontane dal mondo reale e senza alcuna conoscenza persino dei quartieri in cui vivono o che addirittura rappresentano in parlamento. Delle due l’una – e forse la seconda è quasi peggio. La terza possibilità invece è che si ricordino di parlare di fascismo solo quando non hanno assolutamente altro da dire per mascherare una vuotezza ideologica preoccupante, ma speriamo di sbagliare…
Polemiche sulla sconcertante superficialità a parte, sarebbe lecito pensare che quantomeno qualcosa possa essere cambiato dopo il grido di indignazione del 7 gennaio. E invece eccoci di nuovo qui. Eccoci qui ad assistere a intere linee di mezzi pubblici cancellate per permettere queste carnevalate (già, perché l’ATAC ha annunciato modificazioni su ben cinque linee), a bracci tesi e a grida sguaiate che inneggiano al periodo peggiore della storia dell’Italia unita, periodo con cui nessuno ha fatto i conti, né a sinistra né a destra. Se la prima è infatti preoccupata a parlare di fascismo quando non ha altro da dire, la seconda è restia a rinnegare un passato che garantisce un bacino di voti interessante.
Le deviazioni annunciate dall'ATAC
Ad un mese di distanza, ieri 9 febbraio, sempre a Roma, si è svolta dunque una nuova manifestazione fascista, questa volta a Viale Libia, per commemorare anche quest’anno, come ogni anno, l’omicidio di Paolo Di Nella, attaccato da militanti della sinistra extraparlamentare la sera del 2 gennaio 1983 e morto sette giorni dopo per le ferite riportate. E, come ogni anno, anche questa volta (come abbiamo detto) non solo si è assistito a una nuova parata di braccia tese e croci celtiche, ma si è anche deviato il traffico di una delle strade più trafficate di tutta la capitale per ben due ore, con buona pace per i tanti che prendono il bus del servizio pubblico su quella strada per rientrare a casa la sera. Solo che, stavolta, non si è sentita una sola parola da parte di Schlein, Saviano, La Torre, Tosa, Repubblica e chi più ne ha più ne metta, unica testata ad occuparsi della questione (oltre a noi), è stata Fanpage, grazie a Valerio Renzi (qui trovate l’articolo), che ha apertamente denunciato la reticenza degli organizzatori della manifestazione (tutti della giovanile di FDI) nel dissociarsi dai saluti romani.
Non è mai superfluo condannare la violenza in ogni sua forma, esattamente come fece il segretario del PCI Enrico Berlinguer (a cui ci associamo in toto), che all’epoca dei fatti indirizzò questo telegramma alla famiglia Di Nella:
“La morte del vostro giovanissimo Paolo, vittima di un'aggressione disumana, che ha scosso e sdegnato ogni coscienza civile, suscita anche il commosso compianto dei comunisti. Vi preghiamo di accogliere le nostre condoglianze e la nostra solidarietà. Enrico Berlinguer”.
Una dichiarazione semplice, netta, asciutta e impossibile da fraintendere, in quanto conteneva una dissociazione totale dalle violenze dei facinorosi che all’epoca gettavano discredito sul mondo della sinistra tutta, così come dall’altra parte facevano i loro avversari neofascisti. Con buona pace di Meloni, che punta a cancellare l’esistenza di un terrorismo di estrema destra, dimenticandosi che negli anni di piombo i morti stavano da tutte e due le parti, farebbe piacere una conoscenza storica più approfondita dalla Presidente del Consiglio. Tornando all’oggi, però, la questione di questa commemorazione deve servire a farci riflettere su un tema abbastanza importante, che viene spesso sbandierato dalla politica (specialmente a sinistra) e dai mass media per cercare di compattare l’elettorato contro quella che viene definita una “minaccia fascista”. Addirittura l’allora segretario Letta impostò l’intera campagna elettorale del 2022 sulla contrapposizione tra fascisti e antifascisti (e guardacaso perse le elezioni). Lungi da noi cercare di fare un’analisi sociologica profonda su cosa significhi considerarsi fascisti e antifascisti in un Paese che non è stato neppure in grado di fare i conti con il suo passato (non siamo Corrado Augias, purtroppo), nel bene e nel male, riteniamo però necessario cercare di tracciare un quadro politico della situazione.
Si parla di fascismo solo quando fa comodo o c’è un pericolo reale? Questo è il tema che vorremmo sottoporre all’opposizione e ai grandi media che soffiano a giorni alterni sulla questione: perché il raduno di Viale Libia e le tante altre manifestazioni simili, avvenute in queste poche settimane da quella “virale” di Acca Larentia nel silenzio più assoluto da parte delle forze politiche di centro-sinistra e dei media, sono meno importanti di quella del 7 gennaio scorso?
Allo stesso modo, per provare a tenere un minimo di coerenza, che fine ha fatto la campagna promossa dal Sindaco di Sant’Anna di Stazzema su cui, con il supporto del PD e tante altre associazioni, nel 2021 erano state raccolte più di duecento mila firme per una legge contro la propaganda fascista e nazista?
Dunque, la questione è semplice. O si trova un altro modo, più serio e coerente per cercare di combattere le pulsioni autoritarie e le nostalgie per il regime assassino e liberticida fascista, oppure forse è inutile parlarne solo quando si ha la certezza di ottenere il giusto risultato mediatico che, però, scompare dopo poche ore, lasciando la questione costantemente irrisolta e scoprendo il fianco ai critici. Perché è fin troppo facile a quel punto dire: e quando c’eravate voi che succedeva? Una critica, forse maggiore, va poi ai media tradizionali, ormai abituati a trattare gli argomenti in maniera bulimica ed eccessivamente social e interessati a svolgere un lavoro che, però, non c’entra più niente con quello del giornalista e si avvicina pericolosamente a quello dell’influencer. Dopotutto, anche ad Acca Larentia, che ci voleva ad approfondire due minuti la cosa per vedere che succede tutti gli anni?
Un pericolo fascista non c’è, ma i fascisti sono un pericolo, e per combatterli non basta fare post e cavalcare l’onda mediatica. Forse, per combatterli, occorrerebbe la politica, ma questa risulta ad oggi pericolosamente latitante.
Image Copyright: Keystone
Comments