di Lorenzo Ruffi.
Le proteste antigovernative in Iran in corso dallo scorso settembre hanno rappresentato la più significativa sfida per la tenuta del sistema politico della Repubblica Islamica, ormai in vigore da più di quarant’anni. Un movimento composto perlopiù da giovani e da minoranze etniche ha sfidato apertamente il regime, mettendone in discussione la stessa sopravvivenza. Data l’incapacità dell’attuale classe politica iraniana di rinnovarsi, la difesa dell’ortodossia è parsa fin da subito l’unica soluzione per garantire il continuo della Repubblica Islamica. A difendere il regime e la sua visione gerontocratica e tradizionalista della politica e della società iraniane sono stati i Guardiani della Rivoluzione Islamica, meglio noti con il nome persiano di Pasdaran. Protagonisti della repressione delle proteste durante questo inverno, spina dorsale del sistema di sicurezza di Teheran, ma anche vettore d’espansione dell’ideologia khomeinista e delle velleità egemoniche iraniane nel Medio Oriente e nel mondo islamico, per quarant’anni questi uomini hanno costruito silenziosamente un impero alle spalle del regime, creando un sistema di potere parallelo a quello ufficiale dello Stato. Vediamo come ciò è potuto accadere.
La Guida Suprema Khamenei con alcuni vertici dei Pasdaran a Teheran
Tempi duri richiedono uomini duri
Dopo il successo della rivoluzione del 1979 e la fuga dello shah, l’Iran era un paese tutt’altro che pacificato e unito. I mullah, alla cui testa vi era l’Ayatollah Khomeini, sapevano perfettamente che per consolidare il potere non bastavano sermoni e affascinanti messaggi propagandistici presi in prestito dalla teologia sciita, ma un’armata pronta a servire la loro causa. L’esercito, ancora pieno di elementi fedeli alla monarchia o simpatizzanti di altre forze antisistema, come i comunisti del Tudeh o i seguaci di Massoud Rajavi, leader del MEK (Mojahedin-e khalq), non dava sufficienti garanzie; bisognava dunque creare ex novo una formazione paramilitare, altamente ideologizzata, che rispondesse solo e soltanto al Grande Ayatollah e ai suoi sottoposti. Mohsen Rafiqdoust, un figlio della borghesia dei bazaari, da sempre al fianco dei mullah, fu l’uomo giusto al momento giusto. Egli, insieme ad altri sostenitori dell’Ayatollah, si adoperò per raccogliere un gran numero di uomini fedeli a Khomeini e alla sua visione politica per difendere la rivoluzione dai nemici esterni ed interni. Il 22 aprile 1979, la guida della rivoluzione sancì ufficialmente la nascita dei Pasdaran, lo scudo e la spada della nascente Repubblica Islamica. Nati come una milizia altamente ideologizzata e dedita inizialmente alla guerriglia urbana per ripulire le strade di Teheran dai nemici della rivoluzione (cosa che ha facilitato l’accostamento dei Pasdaran del biennio ’79-’80 alle Sturmabteilung tedesche degli anni Venti), gli uomini di Rafiqdoust hanno lentamente iniziato ad incamerare un potere sempre più vasto. Dato il loro fanatismo e il loro vincolo di fedeltà alla Guida Suprema, i Guardiani della Rivoluzione si prestarono facilmente a perseguire quello che era, e tutt’oggi rimane, l’obiettivo strategico principale della politica estera iraniana: espandere la propria sfera di influenza al di là dei confini nazionali.
Le IRGC e il consolidamento interno
La storia dei Pasdaran segue di pari passo quella dell’Iran post-rivoluzionario. La “guerra imposta” (jang e-tahmili), ovvero l’attacco di Saddam Hussein sferrato alla Repubblica Islamica nel settembre 1980 è stato fondamentale nel plasmare l’identità e la fisionomia dei Guardiani rivoluzionari. Impiegati su larga scala durante tutti gli otto anni di conflitto, i Pasdaran hanno contribuito a difendere il paese della devastante invasione irachena. Per ripagarli dello sforzo e della cieca obbedienza al regime, i vertici delle IRGC divennero de facto i veri garanti della sicurezza e della tenuta politico-militare del paese. Dopo la guerra con l’Iraq, i Pasdaran vennero organizzati in formazioni militari che riprendevano la stessa struttura dell’esercito regolare (Marina, Aviazione, Forze Speciali e terrestri) ma con maggiori fondi e potere. Il loro ruolo non restò comunque confinato alla sola funzione di difesa. La discesa di molti dei vertici del Corpo all’interno della politica e dell’economia iraniana, specie dopo la morte di Khomeini nel 1989, è stato un fenomeno accertato ed ampiamente documentato. Si calcola che ad oggi circa un terzo delle imprese nazionali sia in mano a uomini dei Pasdaran: lo stesso Rafiqdoust sarebbe a capo della “Fondazione Mostazafan”, la seconda compagnia commerciale più quotata in borsa dopo la National Iranian Oil Company, monopolista nel settore dell’esportazione del petrolio. Molti esponenti delle Guardie Rivoluzionarie hanno inoltre rivestito, o rivestono tutt’oggi, un ruolo di primo piano nella politica iraniana: durante il mandato di Ahmadinejad, i Pasdaran hanno fornito un vitale sostegno al governo attraverso l’alleanza ultraconservatrice dei Costruttori dell’Iran Islamico (M. Axworthy, Revolutionary Iran, 2013, pp. 250-256). Un ruolo tutt’altro che trascurabile è svolto nell’organizzazione e nel funzionamento delle bonyad, delle ONG in salsa islamica che servirebbero a stanziare fondi e aiuti alla popolazione in difficoltà economica sotto forma di zakàt (considerato il terzo pilastro dell’islam e consistente nella devoluzione caritatevole delle proprie ricchezze in favore dei più bisognosi).
Oltre a ciò, i Pasdaran hanno continuato a svolgere con incredibile efficacia il compito per cui sono stati fondati, ovvero assicurare la sicurezza e la stabilità della Repubblica Islamica. La repressione delle ondate di protesta che hanno scosso il paese, come nel 2009 dopo le accuse di brogli elettorali commessi dall’ex presidente Ahmadinejad per garantirsi la rielezione, è stata una costante. Tuttavia, il loro ruolo non si esaurisce di certo alla semplice repressione interna: per comprendere il vero peso dei Guardiani Rivoluzionari nella politica iraniana bisognerebbe rivolgere lo sguardo al di fuori dei confini nazionali.
Soleimani, la Forza al-Quds, e la proiezione internazionale dell’Iran
Nella notte del 3 gennaio 2020 un drone americano colpì l’aeroporto internazionale di Baghdad, uccidendo quello che era considerato il più potente signore della guerra del Medio Oriente. L’assassinio di Qasem Soleimani ha rappresentato un colpo durissimo per l’attuazione dei piani di politica di potenza iraniani nella regione e per il prestigio e l’onore degli stessi Pasdaran.
Un generale delle IRGC piange sulla bara di Soleimani
Il Comandante Ombra (A. Azizi, The Shadow Commander, 2020), soprannome affibbiato al generale iraniano dalla stampa occidentale per l’alone di mistero e segretezza che lo aveva sempre circondato, è stato il leader della formazione più importante e potente in seno ai Guardiani della Rivoluzione, ovvero la Forza al-Quds.
Questo distaccamento dei Pasdaran, creato durante la guerra contro Saddam per fornire supporto materiale e ideologico ai curdi e alle formazioni sciite che si opponevano al rais iracheno, ha fin da subito agito come motore della politica estera iraniana. La rivoluzione islamica, così come teorizzata da Khomeini, non poteva restare confinata al solo Iran, ma doveva espandersi e raggiungere ogni popolo oppresso della dàr al-islàm. Lo stesso nome della formazione rievoca questa concezione di un islam transnazionale (al-Quds, in arabo, indica Gerusalemme, la terza città santa dopo la Mecca e Medina) che non conosce confini. La Forza al-Quds ha agito in svariati contesti geopolitici per espandere la sfera d’influenza di Teheran: nel 1982 volontari iraniani riunirono gli sciiti libanesi in una formazione paramilitare per combattere l’invasione israeliana dando vita a quella che ancora oggi prende il nome di Hezbollah; durante la guerra in Bosnia, unità dei Pasdaran vennero inviate a Sarajevo per addestrare ideologicamente e militarmente le forze bosgnacche di Alija Izetbegovic; in tempi più recenti, le Forze Quds hanno operato in Iraq, organizzando la resistenza sciita all’invasione statunitense del 2003, in Siria, dove hanno sostenuto in prima persona il regime di Bashar al-Assad durante la guerra civile, ed in Yemen, dove hanno ingaggiato una guerra per procura contro l’Arabia Saudita, storico rivale della Repubblica Islamica, sostenendo e finanziando i ribelli zayditi di Ansàr Allah, meglio noti oggi col nome di Huthi.
Nonostante la morte di Soleimani, sostituito dal meno energico e carismatico Esmail Qaani, la Forza al-Quds resta ancora un elemento indispensabile su cui far affidamento per il regime iraniano. L’architettura politica e strategica del Medio Oriente è stata plasmata anche attraverso l’operato di questa formazione: i fragili equilibri che sorreggono i sistemi politici in vari paesi della regione, come in Iraq, dove le milizie filoiraniane alleate delle IRGC contribuiscono a mantenere in piedi il delicato sistema etnico-confessionale, risentono pesantemente dell’influenza dell’Iran e dei Pasdaran. L’indebolimento del regime a seguito delle proteste antigovernative non ha tuttavia intaccato il vero sistema di potere che scorre parallelo a quello ufficiale. Il potere dei Guardiani della Rivoluzione è rimasto pressoché intatto, nonostante molte delle sanzioni varate dagli Stati Uniti e dalla Commissione Europea avessero come obiettivi proprio i beni dei Pasdaran. Ciò ha portato diversi analisti a dare per spacciata in partenza la rivoluzione in corso in Iran: pur trattandosi di proteste estremamente coraggiose, se non addirittura eroiche, visto la natura di massa che le caratterizza e per il fatto di avvenire in un sistema estremamente repressivo, esse non potranno veramente scalfire il nocciolo duro del sistema di potere della Repubblica Islamica, e saranno destinate lentamente a spegnersi a causa della repressione scatenata dagli organi di sicurezza del regime.
L’Iran fra indebolimento dell’esecutivo e “pretorianizzazione” dello Stato
Le proteste in corso nel paese hanno comunque ottenuto l’effetto di mettere a nudo le intrinseche debolezze di un regime gerontocratico e corrotto, incapace di riformarsi e di assecondare le richieste della giovane classe sociale iraniana. La posizione traballante del governo e la sensazione di persistente sfiducia verso gli alti ranghi della Repubblica Islamica potrebbero portare a due soluzioni: la caduta del regime, oppure il rafforzamento dello Stato attraverso l’azione di un flusso di potere nascosto alle masse e difficilmente captabile dall’esterno.
La rete di alleanze e di influenza iraniane nel Medio Oriente
Per quanto riguarda la prima opzione, il completo collasso del regime appare ad oggi altamente improbabile per una serie di motivi. In primis, il movimento di protesta, per quanto esteso, appare privo di una ben identificata leadership , e ciò comporta importanti difficoltà di coordinamento e di identificazione di un’agenda politica sufficientemente condivisa; le stesse forze antagoniste della Repubblica Islamica, come i MEK di Rajavi o l’ala monarchico-parlamentare di Reza Ciro Pahlavi, sono state esiliate fin dagli anni Ottanta, impedendo loro di diffondere i propri programmi e i loro messaggi fra gli iraniani residenti in patria; inoltre, il movimento, non potendo contare su gruppi ribelli armati ( fatta eccezione per le minoranze etniche del nord-ovest come curdi e azeri), è costretto ad affrontare a mani nude i loro carnefici, andando incontro a repressioni sempre più sanguinose. A far capire in particolare come la strada del regime change sia attualmente poco percorribile è stato l’atteggiamento delle potenze occidentali e di Israele. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno interesse ad ottenere un indebolimento del regime, ma non un suo completo collasso: se messo in posizione di debolezza, il regime di Khamenei sarà più facilmente piegabile alle richieste occidentali, su tutte la ripresa dei colloqui per gli accordi sul nucleare iraniano iniziati a Vienna nel 2015. Dal punto di vista americano e israeliano, invece, un completo collasso del regime sarebbe cosa poco auspicabile essenzialmente per il ruolo di garante dello status quo che l’Iran esercita in Medio Oriente: qualora la Repubblica Islamica cessasse di esistere, i fragili equilibri che sottostanno ai sistemi politici di Iraq, Libano e Yemen si sgretolerebbero velocemente, dando vita ad una nuova stagione di caos e instabilità a livello regionale. L’America, impegnata nella doppia sfida lanciata dalla Russia in Ucraina e dalla Cina nel Pacifico, non può permettersi in questo frangente l’apertura di un nuovo fronte instabile nella regione in cui per vent’anni ha fatto da padrona. Lo stesso Israele, ora guidato nuovamente dal sempiterno Netanyahu, per giustificare la sua politica estera aggressiva e di potenza ha funzionalmente bisogno che vi sia una minaccia costante all’esistenza e alla stabilità dello Stato ebraico, e quella minaccia si materializza da quarant’anni nella Repubblica Islamica dell’Iran. Se, al momento, la dissoluzione del regime appare una chimera, il rafforzamento del potere statale per mano di attori apparentemente secondari appare quantomai tangibile. Di fronte ad una crisi di legittimazione della classe politica ufficiale, i Pasdaran potrebbero emergere dall’ombra e inaugurare un nuovo corso della Repubblica Islamica. Il termine Praetorian State, coniato dallo storico e politologo americano Daniel R. Headrick, sembra calzare a pennello per ciò che si potrebbe verificare in Iran. Questa definizione si riferisce ad un certo tipo di sistema politico in cui sussiste una crisi di legittimità del potere centrale, colmata dall’avvento al vertice dello Stato dei militari, che divengono così i nuovi ed effettivi detentori della sovranità statale.
Il termine, traducibile in italiano con “pretorianismo”, deriva dalla pratica, diffusasi specialmente nella fase tardo-antica dell’Impero Romano, per cui molto spesso, in assenza di un imperatore universalmente riconosciuto, erano appunto i vertici militari (i pretoriani) a detenere effettivamente il potere. In un contesto di insicurezza e debolezza, i Guardiani Rivoluzionari potrebbero facilmente sopperire alla carenza di effettiva potestà governativa prendendo essi stessi il potere, in maniera diretta o indiretta. L’ipotesi più plausibile è che il governo iraniano riesca a mantenersi in piedi grazie alla repressione delle proteste, magari concedendo qualche apertura rivendendo articoli costituzionali secondari, così come recentemente affermato dallo stesso presidente Raisi, ma il peso politico esercitato dai Pasdaran è sicuramente destinato a crescere.
La politica estera iraniana del domani: visioni e strategie dei Pasdaran
Il movimento antigovernativo, nonostante la sua fisionomia acefala e dispersiva, ha avuto il merito di far effettivamente luce sul sistema di potere in Iran, smascherando i reali rapporti di forza che si celano dietro la Repubblica Islamica. Con un incremento dei poteri dei Guardiani della Rivoluzione e con una società sempre più marcatamente militarizzata e repressiva, resta da chiederci come si evolverà la politica iraniana nei confronti degli altri Stati. La rinnovata recrudescenza fra blocchi antagonisti a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e delle tensioni sino-americane nello stretto di Taiwan lascia immaginare che anche la posizione internazionale dell’Iran, saldamente legato a Mosca e Pechino, non si ammorbidisca nel breve periodo.
Il presidente Raisi in un discorso al parlamento
Il supporto logistico e militare offerto da Teheran a Putin (gli unici paesi ad aver assistito militarmente la Russia erano state Siria e Corea del Nord) attraverso la vendita dei noti droni kamikaze (shahed 136) rappresenta la chiara volontà del regime dell’Ayatollah Khamenei di restare legato al blocco antioccidentale. La stessa richiesta di aderire ai BRICS, l’alleanza economica guidata da Russia, Brasile, Cina, Sudafrica e India è da interpretare in tal senso. Una radicalizzazione della politica interna farebbe da specchio ad una radicalizzazione in politica estera: i Pasdaran sono stati fin dall’inizio il vettore d’espansione dell’Iran al di fuori dei propri confini, ed un loro maggior potere all’interno del paese si rifletterebbe in un posizionamento ancor più assertivo del regime in politica internazionale. L’Iran è sempre stato un paese dalle velleità egemoniche ed imperiali: lo fu sotto la dinastia safavide, lo è stato sotto i Pahlavi, lo è oggi sotto la Repubblica Islamica. Questa è una costante che non cambierà, ma che subirà accelerazioni o regressioni a seconda da chi sarà al comando. I Guardiani Rivoluzionari non permetteranno che la posizione internazionale del paese subisca un mutamento in senso peggiorativo, mantenendo l’ordine in patria col pugno di ferro, così come consolideranno i legami con quelle forze che hanno permesso all’Iran di espandere la sua sfera d’influenza ai quattro angoli della regione. In un Medio Oriente in cui ormai le superpotenze non fanno più da padrone, toccherà a medie potenze come la Turchia, l’Arabia Saudita, Israele e, appunto, l’Iran spartirsi l’intero bottino. L’equilibrio di potere, emerso a fatica dopo il congelamento della guerra in Siria e in Yemen, rischia di essere messo a repentaglio dall’azione di questi protagonisti: l’indebolimento dell’Iran, reale o percepito, potrebbe portare uno di questi attori a fare la prima mossa, causando una nuova stagione di instabilità e conflitto nella regione.
Bibliografia
M. Axwhorty, Revolutionary Iran: A history of the Islamic Republic, Oxford University Press, 2013
A. Azizi, The Shadow Commander: Soleimani, the U.S. and Iran’s global ambitions, Oneworld Pubns Ltd, 2020
Bibliografia consigliata
F. Wehrey, The rise of Pasdaran: assessing the domestic roles of Iran’s islamic revolutionary guard corps, RAND Corporation, 2009
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