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  • Writer's pictureKoinè Journal

Andrea Costa: quando la solidarietà non è mai reato

Updated: May 17, 2022


di Greta Vesprini.


Il fatto non sussiste.

Così si è pronunciata la Corte nel processo ai danni del presidente della onlus romana Baobab Experience, Andrea Costa, e di due volontari dell’associazione, tutti accusati di favoreggiamento dell’emigrazione clandestina e ora assolti con formula piena perché il fatto non sussiste.

I fatti contestati risalivano all’ottobre del 2016, subito dopo lo sgombero della tendopoli di via di Cupa, nel quartiere San Lorenzo, a Roma, in cui l’associazione capeggiata da Costa aveva allestito un punto di accoglienza per i migranti. In quella stessa data i volontari della Baobab Experience avevano dato aiuto, ristoro e solidarietà a otto cittadini del Sudan e ad uno del Ciad.

Da moltissimi anni, infatti, i volontari dell’associazione prestano aiuto umanitario a uomini, donne e bambini in transito dalla Capitale nella loro disperata fuga da guerre, fame, povertà e stupri di ogni genere.

Ad oggi, ricordiamo, sono state aiutate oltre 90mila persone grazie a presidi organizzati per aiutare chi si trova in difficoltà, ma che spesso vengono sgomberati.

In questi stessi presidi si forniscono cibo, vestiti, medicinali e un tetto per chi ne è sprovvisto.

Ma facciamo un passo indietro e partiamo dal principio del processo ad Andrea Costa e ai due volontari dell’associazione.


Perché è iniziato?

Il processo si è venuto a costituire nel settembre del 2016, per l’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’emigrazione clandestina che trovava le proprie fondamenta nel sospetto che all’interno dell’associazione Baobab si fornissero ai migranti documenti falsi per farli fuggire in diversi Paesi dell’Unione Europea.

Il presidente della Onlus e i volontari rischiavano da 6 a 18 anni di reclusione.

Le indagini a carico di Andrea Costa sono state avviate, dunque, per indagare su presunti guadagni illeciti dell’associazione intascati con la scusante dell’accoglienza.

Per questo motivo, la condotta di Costa è stata, in quel momento, equiparata a quella dei trafficanti di esseri umani.

Questo motivo ha portato ad avviare le indagini nei confronti del presidente dell’onlus romana e degli altri volontari.


La nozione di trafficante, tuttavia, implica la situazione di un soggetto che trae vantaggio economico dal commercio che porta avanti, in questo caso quello di vite umane.

In molte parti d’Europa, ma non in Italia, la legislazione prevede una distinzione tra l’intervento delle azioni umanitarie e quello dei trafficanti proprio in base al profitto materiale che se ne ricava.

Per questo vuoto legislativo italiano, dunque, è stato possibile perseguire Andrea Costa e i volontari, e per tale situazione è assai urgente una riforma dell’art. 12 del Testo Unico sull’Immigrazione, inerente le Disposizioni contro le immigrazioni clandestine.


Tornando al caso in questione, dall’iniziale sospetto di un’associazione clandestina, poi caduta nel 2020, rimane ancora aperto, però, l’episodio delle otto persone del Sudan e di un uomo del Ciad che vengono sgomberate insieme ad altri migranti in data 30 settembre 2016.

Persone, quest’ultime, che tentavano di trovare un riparo, un ristoro o una sistemazione per sopravvivere a quella situazione, dopo che il presidio, dove avevano trovato rifugio a Roma, era stato sgomberato dalle forze dell’ordine.

In questo caos generale, e nella paura, le nove persone citate poco sopra, chiedono ai volontari di Baobab un aiuto per poter raggiungere il campo della Croce Rossa di Ventimiglia.

Da questa richiesta, scaturisce l’iniziativa di Andrea Costa e dei volontari di comprare i biglietti dell’autobus per le nove persone, e una volontaria li accompagna a Genova, poi successivamente a Ventimiglia.

Una volta arrivati a Ventimiglia, però, i nove migranti sono fermati sul lungomare e vengono mandati nel centro di prima accoglienza di Taranto.


È importante ricordare come, per quanto concerne il rapporto sulla protezione internazionale in Italia, per quel che riguarda i paesi del Sudan e del Ciad, i nove migranti aiutati non erano clandestini ma avevano diritto alla protezione internazionale.

Anche grazie a questo passaggio, scaturirà la sentenza di assoluzione.



Giustizia è stata fatta.

Ci troviamo di fronte ad un caso di pura generosità e solidarietà nei confronti di persone che si trovavano per strada e avevano bisogno di aiuto per poter raggiungere il centro della Croce Rossa sito in Francia.

Non si tratta sicuramente di sfruttamento o favoreggiamento dell’emigrazione clandestina.

Proprio per questo, il processo, non si sarebbe dovuto neanche instaurare.

Per fortuna, la giustizia ha trionfato e la solidarietà può continuare a fare il suo corso perché solidarietà non equivale mai a reato.

Nonostante l’amaro in bocca per il fatto accaduto, possiamo tirare un sospiro di sollievo.

Infatti, è possibile continuare a offrire dei soldi a delle persone bisognose affinché possano comprarsi un biglietto dell’autobus senza essere accusati di reato.

Nonostante questa vittoria, però, non si può non pensare a casi simili che hanno riempito le pagine di cronaca.

Basti pensare a Mimmo Lucano, l’uomo che, secondo la magistratura, si sarebbe arricchito con il sistema di accoglienza che si trovava a Riace ma che, stando ai suoi conti in banca, non ha niente di quel patrimonio che gli è stato contestato in giudizio. Vengono anche in mente i casi di giustizia riguardanti le navi di soccorso delle organizzazioni non governative che nel Mediterraneo salvano quotidianamente vite umane, soprattutto quelle di bambini innocenti.

Siamo di fronte a una serie di processi che cercano di porre ostacoli ad organizzazioni umanitarie prive di scopi di lucro e che poi porta, spesso e volentieri, all’assoluzione delle stesse.


Come ha scritto Amnesty International, prima della sentenza del 3 maggio, “in Italia, come in altri Paesi dell’unione europea, il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare viene punito a prescindere dal profitto materiale per il presunto facilitatore, di fatto impedendo di distinguere fra trafficanti di esseri umani e chi fa assistenza umanitaria”. Questo concetto riassume perfettamente lo scenario che hanno dovuto subire Andrea Costa e i suoi volontari, colpevoli di aver voluto aiutare chi si trova in difficoltà e avendo teso una mano in loro aiuto.

Questo reato, infatti, dovrebbe essere contestato soltanto a chi lucra sulla pelle di persone disperate che fuggono dal proprio Paese d’origine e non a chi aiuta sinceramente e umilmente donne, bambini e uomini.

Grazie alla sentenza di assoluzione del 3 maggio, è importantissimo che questi concetti siano stati riconosciuti e poi ribaditi anche da un giudice, riconoscendo che la solidarietà non è mai reato, sperando di non arrivare più neanche a processarla. Questo porterebbe ad evitare un enorme spreco di energie, tempo e soldi.

Si conferma, in questo modo, il principio che chi aiuta non può essere accusato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, così come afferma anche una sentenza della Corte Costituzionale.


Teniamo a mente che la solidarietà non è mai reato, e che aiutare chi si trova in difficoltà dovrebbe essere un principio insito in ognuno di noi.


A fronte di queste vicende, concludo con una poesia scritta da me qualche mese fa:


“Dalla parte dei diritti

Delle cose fresche e limpide

Degli arcobaleni e dei colori

Della pace

Del coraggio di mettersi dalla parte degli ultimi e di quelli dimenticati

Dalla parte delle visioni aperte, spalancate davanti a un mare azzurro

Dalla parte di tutte e tutti, senza distinzione alcuna

Dalla parte di chi non ha voce, perché la vita è un saliscendi e non lo si dovrebbe mai dimenticare.

Ti darò la mia voce quando non l’avrai, e cercherò la tua quando mancherà a me.”





Image Copyright: Melting Pot Europa

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