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"Bizzarro popolo gli italiani". L'Italia e l'identità nazionale ancora da scoprire.

Updated: Oct 6, 2021


di Andrea Pipponzi.


Nel 1983 Eric Hobsbawm aprì il saggio The Invention of Tradition con un’innovativa definizione, sostenendo come le tradizioni ritenute antiche siano molto spesso il frutto di costruzioni narrative più o meno recenti, se non del tutto inventate. La tradizione non sarebbe altro che il prodotto di necessità politico-culturali attorno al quale tutte le società finiscono per collegare un sistema di idee e valori da diffondere, cercando l’affermazione della propria legittimità nel richiamo al passato. Oltre il mero aspetto politico-istituzionale Hobsbawm estese l’idea della falsa tradizione anche alla narrazione dell’identità nazionale, da intendersi come il tentativo di individuare elementi comuni che rappresentino il patrimonio sociale e culturale di un popolo. Ma dove e quando mosse i primi passi la narrazione identitaria del Bel Paese? Già nel XVII secolo il Medioevo era venuto definendosi in modo via via più netto dalla modernità, e gli eruditi europei iniziarono a guardarsi indietro nel tentativo di comparare quel passato – il Medioevo, appunto - con il loro presente. In Italia Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) iniziò un imponente progetto di raccolta delle fonti letterarie medievali (Rerum Italicarum Scriptores) mosso dalla personale consapevolezza dell’esistenza di una matrice socio-culturale condivisa del popolo italiano. A differenza dell’ambiente umanista e rinascimentale ancora legato all’esaltazione dei modelli culturali d’età classica, il Muratori evidenziò come questo primo bagliore identitario, questo patrimonio popolare, ebbe modo di esprimersi proprio durante il Medioevo. Ma fu nell'Ottocento che storici, politici, scrittori ed artisti italiani, individuarono l'epoca medievale come l’arco cronologico con il quale identificarsi. Sulla scia del neo-mediavalismo dei Romantici tedeschi infatti si diede il là a riletture dell’Età di mezzo in chiave del tutto nazionalista, cercando di trarre fuori da quei secoli le radici italiane a sostegno ed esaltazione dei fervori risorgimentali. La creazione dell’identità nazionale passò attraverso due specifici momenti della storia d’Italia. Il primo fu il Medioevo barbarico, ritenuto però come fase di rottura con le gloriose origini classiche della Penisola. Un approccio cioè teso ad affermare la continuità culturale con il mondo classico, o quanto meno con i residui di esso. Tra gli ispiratori di questo sguardo in negativo ci furono Alessandro Manzoni (1785-1873) e Carlo Troya (1784-1858), concentrati sulla demonizzazione dell’Italia longobarda come momento di barbarie e crudeltà. Il secondo filone di studi fu invece incentrato sulla storia comunale, secoli in cui il popolo italiano ebbe l’opportunità di spiccare nel panorama europeo grazie agli alti livelli istituzionali, economici, commerciali e culturali che poté raggiungere. Il primo ad esaltare le città-stato medievali fu Cesare Balbo (1789-1853). Nel Sommario della storia d’Italia (1846) sottolineò come grazie ai Comuni in l’Italia si raggiunse il più alto grado di libertà ed autogoverno, ma dove i particolarismi locali, senza il coordinamento di una monarchia nazionale, avevano reso inattuabile l’unificazione. Così come, sottolinea Balbo, poca era stata la collaborazione fra le città-stato a difesa dell’indipendenza della Penisola. Gli unici momenti di “lotta allo straniero” furono possibili solo grazie all’appoggio e alla guida papale, in cui ancora una volta lo storico riponeva le proprie speranze per il raggiungimento dell’indipendenza. Il lavoro di Balbo fu di grande ispirazione per il pensiero risorgimentale e per la costruzione di una primordiale coscienza nazionale. Nel 1848, nel pieno delle sommosse milanesi, Luigi Tosti (1811-1897) scrisse Storia della lega lombarda, un manifesto del Risorgimento italiano da cui trapelava chiaramente la volontà di costruire una narrazione anti-asburgica richiamando alla memoria la lotta dei Comuni contro l’Impero del Barbarossa. L’episodio centrale della reazione alla dominazione straniera divenne la mitizzata battaglia di Legnano (1176). Si pensi a La battaglia di Legano di Verdi, a La canzone di Legnano di Giosuè Carducci, o ancor di più al Canto degli Italiani con l’iconico verso “Dovunque è Legnano”. Né furono da meno i pittori italiani, che nei primi decenni dell’Ottocento si ispirarono allo scontro e all’emblematica difesa del carroccio per risvegliare il sentimento nazionale. “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani.” La narrazione risorgimentale va chiaramente maneggiata con attenzione, esempio tangibile dell’invenzione della tradizione di cui parlava lo stesso Hobsbawm. La costruzione dell’italianità si lega inevitabilmente ai trascorsi geo-politici di uno Stato con una storia nazionale molto breve, mettendoci nella difficile condizione di dover capire ancora oggi quale sia la nostra identità. All’origine di questo tunnel senza fine vanno considerate la debolezza, storicamente permanente, dell’autorità statale sia prima che dopo il 1861, l’esistenza secolare dell’antagonismo tra i centri urbani, una classe di intellettuali troppo tardiva nella creazione di uno spirito nazionale, aggiungendo a tutto ciò la propensione degli italiani ad identificarsi in gruppi sociali circoscritti (famiglia, amici, fazione, partito), in contrasto con l’interesse per il raggiungimento di un bene collettivo. Di recente il nostro mondo culturale si è chiesto se l’identità italiana esista davvero, e se debba ritenersi utile o al contrario pericolosa. Si potrebbe facilmente superare lo status quaestionis definendo l’identità un processo di lungo periodo, sempre in fase di costruzione e perciò sempre mutevole. Ma più che verso l’affermazione di un’identità nazionale sarebbe bene cercare nella storia di ogni Paese gli elementi culturali comuni che possano qualificare un popolo, cercando cioè quella che viene definita identità culturale. Secondo la Dichiarazione universale dell’UNESCO sulla diversità culturale (2 novembre 2001) con quest’espressione si intende l'insieme dei riferimenti culturali tramite i quali una persona o un gruppo si definisce, si manifesta e desidera essere riconosciuto (valori, usi, costumi, linguaggio, ecc.). Questa categoria ci concede di aggiungere al semplice concetto di identità (la percezione che ogni individuo ha di se stesso), la dimensione sociologica del rapporto tra il singolo ed il gruppo. Tenendo sempre a mente la visione di Hobsbawm, benché tutto possa essere considerato inventato la propria identità culturale resta fondante per l’individuazione e l’affermazione dell’io e della comunità. Un concetto che andrebbe posto al di sopra della semplice identificazione geografica nazionale, ma anche sottoponendo l’Italia a questo sistema d’analisi viene difficile stabilire quale sia il bagaglio culturale condiviso che ci possa rendere Italiani. “Ci sono tante Italie, ma è pur vero che esiste un’Italia, che tiene insieme e comprende tutte le altre”. Nulla di più vero. Un’Italia che si riduce ad essere un contenitore geografico di numerose culture diverse. In un 2021 tutto dedicato a Dante Alighieri per i 700 anni dalla sua morte, verrebbe subito in mente la lingua come criterio qualificante per la nostra identità di popolo. Un’importanza “nazionale” data all’opera del Sommo difficile da condividere se inserita in un’Italia trecentesca divisa politicamente e culturalmente. Così come il fattore linguistico resta non determinante neanche per il più recente passato: penseremmo al Manzoni e al suo bagno dei panni in Arno, ma nel 1861, anno dell’Unità della Nazione, dei 25 milioni di italiani solo il 10% circa era in grado di parlare italiano. E ancora oggi, per quanto possibile comune denominatore, la lingua non riesce ad imporsi come cardine della nostra cultura. Un’Italia che si trasforma in Arlecchino se si evidenziano le molteplicità dei dialetti, generando più identità di gruppo che identità nazionale. Siamo un popolo ancora da costruire, tutto a favore delle numerose identità locali che invece caratterizzano il nostro Paese. Forse che l’identità culturale delle piccole comunità sia più valevole di un’identità nazionale? La risposta non può che essere un secco “sì”, ma con l’obiettivo di scoprire nel tempo gli elementi fondanti ed univoci della cultura italiana che ci aiutino a riscoprire la nostra koinè. Dopo 160 anni restiamo un Paese con un’identità nazionale tutta da definire, figli di un’unione geo-politica che culturalmente ancora unione non è.



BIBLIOGRAFIA: Balestracci, D. (2015). Medioevo e Risorgimento: l'invenzione dell'identità italiana nell'Ottocento. Bologna, Il Mulino. Delogu, P. (2003). Introduzione alla storia medievale. Bologna, Il Mulino. Galli della Loggia, E. (2010). L’identità italiana. Bologna, Il Mulino. Hobsbawm, E. J., Ranger, T. (2002). L’invenzione della tradizione. Torino, Einaudi.

Citazione facoltativa Manzoni A. (1820). Conte di Carmagnola Manzoni A. (1822). Adelchi Manzoni A. (1822). Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia Troya C. (1839). Storia d’Italia, 4 voll.

Troya C. (1842). Sulla condizione dei romani vinti sotto i longobardi


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