di Luca Simone.
Non si fa altro che parlare di quello che è successo a Bologna lo scorso sabato 9 novembre, perché, in caso ce lo fossimo dimenticati, tra una settimana esatta l’Emilia-Romagna andrà al voto. Lo spettacolo andato in scena nella città felsinea, dunque, fa da sfondo alle ultime battute di una campagna elettorale che vede il governo Meloni e il Centrodestra impegnati a giocarsi il tutto per tutto per strappare alla Sinistra anche la casa-madre emiliana, la “regione rossa” per eccellenza. Ed è esattamente partendo da questa piccola constatazione (di cui molti analisti, soprattutto a destra, si sono dimenticati), che deve partire un’analisi leggermente più approfondita dei fatti di Bologna.
Lo scorso sabato, non si sa come, il Viminale ha autorizzato una manifestazione di 300 camerati di Casa Pound proprio davanti alla stazione di Bologna, quella che nel 1980 fu vittima di un attentato fascista che causò 85 morti. Si tratta di una decisione che, a detta dello stesso sindaco di Bologna Matteo Lepore, lascia parecchio perplessi, in quanto era scontato che una città come Bologna, studentesca, da sempre sensibile verso i temi dell’antifascismo militante e infarcita di centri sociali (alcuni dei quali certamente violenti, ma non tutti), avrebbe reagito in maniera poderosa. È esattamente in questo clima, dunque, che si è giunti alla giornata del 9 ottobre, con una città militarizzata per impedire che i due cortei entrassero in contatto e si scatenasse la guerriglia urbana.
La guerriglia urbana, ovviamente, è successa lo stesso, e alzi la mano chi ne è rimasto stupito. Stando a quanto spiega in modo puntuale il Corriere di Bologna, i fatti si sono svolti così: “Quando il corteo antifascista arriva in piazza VIII Agosto incontra un cordone di agenti di polizia, perché superato quel tratto, a poche centinaia di metri, c’è l’altra manifestazione, quella di CasaPound e Patrioti. È lì che i manifestanti decidono di cambiare percorso, cercando di aggirare via Indipendenza attraversando il parco della Montagnola, così da poter arrivare facilmente al corteo degli estremisti di destra. Sfondano quindi il cancello non presidiato fino ad arrivare alla Scalinata del Pincio, che dà proprio di fronte a piazza XX Settembre. Ad attenderli una decina di poliziotti che prova ad opporsi, ma gli antagonisti tirano dritto lanciando bastoni, petardi, bombe carta. Partono le cariche, durano alcuni minuti, i manifestanti riescono comunque a superare gli agenti, ma sono costretti a fermarsi di fronte a un secondo cancello. A quel punto, il corteo antifascista ritorna in piazza Nettuno da dove era partito.” (link all’articolo completo)
La violenza politica va SEMPRE condannata. Una premessa doverosa da fare di questi tempi per non essere accusati di supportare il “terrorismo rosso” dei “pericolosi” collettivi, ma bisogna riconoscere anche che poche colpe materiali hanno i poliziotti che, diretti male e comandati peggio, (pare che addirittura uno dei funzionari della questura prendesse ordini sul campo da un esponente di Casapound) hanno caricato a iosa i manifestanti. L’analisi dei fatti, però, non può non far sorgere alcune legittime domande. Come è stato possibile autorizzare ai massimi livelli una manifestazione neofascista a Bologna, in clima pienamente elettorale e per giunta di fronte ad un monumento contro l’estremismo e il terrorismo fascista come la stazione di Bologna? Come mai gli avvertimenti del sindaco Lepore sono stati ignorati?
A voler pensare male si potrebbe quasi dire che la manifestazione sia stata autorizzata ai massimi livelli perché si è cercato in tutti modi lo scontro, la violenza, la provocazione, di modo da poter utilizzare le manganellate dei poliziotti e le sassaiole dei collettivi come strumento elettorale per raccattare qualche preferenza. A voler pensare male si potrebbe quasi arrivare a dire che la concessione della piazza a Casapound ad una settimana dal voto sia stata l’ultima risorsa messa in campo dal governo per cercare di erodere consenso alla Sinistra in una città complessa come Bologna.
Un’altra riflessione riguarda Casapound. Il “movimento” che ama definirsi “marmo contro la palude” e si autocelebra come esempio più fulgido di italianità, valore e virtù, come giustifica il suo assenso a farsi strumentalizzare dal potere come carne da cannone da mettere in prima linea per avere voti? Davvero Casapound non riesce ad essere qualcosa di un po’ più evoluto rispetto ai movimenti neofascisti degli anni di Piombo, mero strumento nelle mani di altri?
Ma c’è ancora un’ultima domanda, forse la più preoccupante di tutte, da doversi porre. Se Casapound ha accettato di essere usata come manovalanza e punching ball per i collettivi, cosa le è stato promesso in cambio?
Detto ciò, la violenza va sempre condannata, anche e soprattutto quella dei collettivi estremi, composti da esaltati senza arte né parte, che fanno della protesta la loro unica raison d'être. Manifestare, scendere in piazza, è un gesto doveroso e onorevole, perché la piazza è il sale della democrazia e della libertà. Menare le mani è solo ed esclusivamente un aiuto che si dà a chi intende chiuderle le piazze. Sarebbe il caso di capirlo il più in fretta possibile.
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