di Luca Simone.
O Capitano, mio Capitano, ne hai combinata un’altra delle tue. Dopo aver citofonato a fantomatici spacciatori, dopo aver fatto cadere un governo dalla console di uno chalet, dopo aver praticamente sfasciato quasi in solitaria un’intera coalizione riuscendo a farti odiare non solo dagli alleati (la Meloni sbraita al solo sentirti nominare) ma anche dall’interno del tuo stesso partito, ci sei ricascato. Voci di corridoio non troppo sopite parlano di congiure di palazzo da parte delle alte sfere per silurarti alla prima occasione utile. Beh, potresti avergliela data. D’Annunzio nel suo più celebre aforisma diceva “Memento audere semper”, cioè ricordati di osare sempre, ma credo di poter affermare quasi con certezza che, alla vista di quello che sei riuscito a combinare nell’impronunciabile città polacca di Przemysl, molto probabilmente anche il Vate avrebbe dovuto ricredersi. Ma andiamo con ordine e ricostruiamo ciò che è successo.
L’8 marzo Matteo Salvini si è recato nella città al confine ucraino desideroso di incontrarne il sindaco, un simpatico ultranazionalista di nome Wojciech Bakun, esponente del partito populista Kukiz’15. Le cose però sono iniziate ad andare storte quasi subito. Bakun infatti si è rifiutato di ricevere Salvini nel palazzo del comune, invitandolo a recarsi assieme a lui ad una conferenza stampa esterna in cui lo avrebbe invitato a contestare e condannare pubblicamente il vecchio compagno di merende Putin. A quel punto, uno spaesato capitano Smith, ehm Salvini, si è limitato a seguire il suo allegro carnefice che ha iniziato la sua conferenza, ovviamente in polacco. Il leader del Carroccio ha così assistito in differita alla sua umiliazione, costretto ad attendere la traduzione simultanea mentre Bakun iniziava a fargli uno shampoo dopo l’altro. E poi il baratro. Quest’ultimo ad un certo punto tira fuori dalla giacca una maglietta con la faccia di Putin, la stessa indossata da Salvini durante la sua visita alla “pulitissima Mosca”, inveendo contro il poveretto, che ormai subodorato l’olezzo non proprio gradevole ha iniziato a bofonchiare un elenco in inglese. “Wi ar hir for de refugiis”. Basterebbe sentire in bocca a Salvini la parola rifugiati per scoppiare in una fragorosa risata, e invece il sindaco-carnefice conclude lapidario “No respect for you”. A quel punto chiunque si definisca una persona con un cuore non può non aver provato pietà per il povero Capitano che si allontana scuotendo la testa, solo per sentirsi urlare “buffone” da alcuni reporter italiani presenti sul luogo. Non si può nemmeno fare una figura di merda in pace.
Panico nella Lega. Si urla alla morte politica di Salvini, Giorgetti e Zaia si sfregano le mani annusando il sangue della preda che da anni ormai cercano di fare fuori. La base di amministratori locali piazzata da Salvini ora teme, indecisa se appoggiarlo ancora o schierarsi con i rivoltosi per aprire un nuovo ciclo. Attenzione però, non dire gatto finchè non ce l’hai nel sacco avrebbe detto il buon vecchio Trap. Salvini ha preso una bella sventola in mondovisione, ha sbagliato tutto ciò che era umanamente possibile sbagliare negli scorsi tre anni, eppure è ancora lì. La sua base è ancora forte e il riconoscimento verso colui che ha reso la Lega primo partito alle Europee è ancora grande. Vorrei inoltre divertirmi col complottismo: davvero Salvini non sospettava nulla? Davvero si aspettava di ricevere un’accoglienza trionfale nel suo viaggio per parlare di profughi…? Davvero era convinto che nessuno si sarebbe ricordato delle lodi sperticate che per anni ha riservato ad un macellaio che uccide gli oppositori? Io non credo. Potrebbe trattarsi di una mossa “purificatrice”. La necessaria figura di m. che serve a far capire al mondo che è cambiato, e ora è dalla parte giusta della Storia, oltre che un gesto di distensione verso l’ala europeista del suo stesso partito. Forse, o forse semplicemente Salvini non è il Churchill che ci hanno venduto.
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