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  • Writer's pictureKoinè Journal

Cosa è successo al salario minimo?


di Luca Simone.


Con 153 voti favorevoli e 118 contrari, ieri, 6 dicembre, la Camera ha approvato il disegno di legge sul salario minimo. Una vittoria, però, solo apparente, in quanto le opposizioni in aula hanno protestato ferocemente al grido “Vergogna! Vergogna!”, attaccando il governo che ha deciso di stravolgere la proposta inizialmente presentata e sulla quale sembrava esserci stato un dialogo proficuo, almeno fino al “non si sa perché richiesto” parere del CNEL (l’organo è infatti costituzionalmente investito della funzione di fornire consulenza al governo in materia economica, non di indirizzare decisioni politiche col proprio parere) guidato da Renato Brunetta che aveva lo scorso ottobre sconsigliato l’adozione di un salario minimo invitando a rafforzare la contrattazione collettiva.


Un dialogo che poi si è interrotto bruscamente, dato che l’esecutivo ha scelto di infarcire di emendamenti firmati dal presidente della Commissione Lavoro della Camera Rizzotto (FDI) la proposta di legge originaria, arrivando addirittura ad eliminare la soglia minima, cancellando la proposta unitaria del centrosinistra (ad esclusione di Italia Viva) e trasformandola a tutti gli effetti in una legge delega, in quanto è il governo che in tal modo viene investito della potestà di emanare norme, rimandando ulteriormente la legiferazione parlamentare.


Nel progetto originario firmato da Conte e dai Cinque Stelle si prevedeva un compenso minimo di 9 euro lordi l’ora, una misura completamente eliminata nel testo presentato in aula ieri dal governo, che rinuncia anche a fissare una propria soglia minima, fissando invece una delega all’esecutivo sull’equa retribuzione. In soldoni, la premier non si impegna minimamente a garantire una soglia sotto alla quale è vietato retribuire un lavoratore, ma incarica il proprio braccio esecutivo di garantire una equa retribuzione, da valutarsi secondo parametri che non sono tutt’ora neppure così chiari. Il salario minimo, dunque, per come lo conosciamo negli altri paesi europei e per come era stato pensato nella proposta originaria di legge scompare totalmente.


La scelta è quella di rafforzare la contrattazione collettiva, estendendone le misure e i parametri anche a tutti quei lavoratori e lavoratrici che non rientrano all’interno dell’ombrello della stessa. Il problema è che in uno dei passaggi più duramente contestati dalle opposizioni, si legge che la modulazione della contrattazione collettiva deve fare fronte “alle diversificate necessità derivanti dall'incremento del costo della vita e correlate alle differenze dei costi su base territoriale”. Vengono cioè reintrodotte le gabbie salariali e si autorizza una contrazione e non un aumento degli stipendi, in quanto la presente situazione economica non consentirebbe ai datori di lavoro di alzare i compensi. Il problema principale della questione sta nel fatto che il governo si lava totalmente le mani dal fornire incentivi agli aumenti salariali, i quali potrebbero essere una delle poche ricette rimaste per scongiurare una spirale recessiva e inflazionistica ancora maggiore. Le gabbie salariali, inoltre, rischiano di cementare ulteriormente il divario tra Nord e Sud del Paese, aumentando le disuguaglianze e rendendo più difficile una ripresa complessiva, favorendo invece una corporativizzazione delle crisi.


Il governo in tal modo ha mostrato non solo una scarsissima lungimiranza nel non comprendere la necessità di adeguarsi agli standard europei in materia, dato che l’Italia rimane uno dei pochi paesi dell’Unione a non avere introdotto alcuna forma di garanzia minima salariale (ben 22 Paesi hanno infatti introdotto norme che assicurano una soglia salariale minima), impedendo così soprattutto ai giovani lavoratori e lavoratrici di avere accesso a compensi adeguati non solo alle loro competenze, ma anche alla possibilità di rendersi autonomi. Le politiche di natalità, passano infatti forse molto più da un provvedimento come questo che da un’altra serie di inutili manovre atte a stimolare la riproduzione, in quanto oggi appare impossibile per una giovane coppia pensare di mantenere un figlio senza alcuna garanzia di retribuzione. Al di là della propaganda, dunque, il governo Meloni ha mostrato dove è rivolta la sua sensibilità, e non certo verso le fasce più fragili e a rischio della popolazione.


Intanto le opposizioni minacciano battaglia, con Schlein e Conte fermamente decisi a contrastare questo provvedimento del governo aiutati dai loro partiti “satellite”, ma forse non dal mondo sindacale. La premier Meloni, infatti, aumentando il margine per la contrattazione collettiva ha in realtà favorito i sindacati e la loro presa sui lavoratori, dividendo in questo modo il fronte delle proprie opposizioni. Parlando questa mattina a RTL, Meloni ha infatti punzecchiato Landini e gli altri leader, invitandoli a “non accettare più contratti a cinque euro l’ora”, invitandoli dunque a prendere una posizione netta sull’argomento e costringendoli a combattere su un terreno di scontro da lei scelto. Saranno favorevoli o contrari al rafforzamento delle gabbie salariali? A quale area del Paese volteranno le spalle?


Non bisogna dunque concentrarsi tanto nel vedere cosa faranno le opposizioni in Parlamento, ma cosa faranno nelle piazze e da chi saranno accompagnate. Una seria e strutturata opposizione, infatti (cosa che ancora non si è vista in più di un anno di governo) passa anche per una maggiore saldatura con il mondo sindacale, sempre più lontano dalla sua tradizionale area politica di riferimento. Una lontananza che rischia di essere ulteriormente esacerbata da questa incursione del governo, che se non si è forse preoccupato del futuro di milioni di lavoratori e lavoratrici sottopagate, ma si è preoccupato di dividere il fronte avverso, essendoci forse anche riuscito.





Image Copyright: ANSA

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