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Writer's pictureKoinè Journal

Non dimentichiamoci del caso Assange


di Michele Mariani.


I risvolti recenti

Il 26 marzo scorso la Corte Suprema di Londra ha dato il via libera all’istanza della difesa del giornalista Julian Assange per un ulteriore appello contro l’estradizione negli Stati Uniti. Il 20 e 21 febbraio scorso si erano tenute, presso la Corte Suprema di Londra, le udienze preliminari per stabilire se Julian Assange avrebbe potuto presentare ricorso contro l’estradizione negli Stati Uniti in quanto ritenuto un pericolo per la sicurezza nazionale dopo le rivelazioni nel 2012 sui crimini di guerra commessi dal governo americano. Gli Stati Uniti si sono appellati alla violazione del Espionage Act del 1917, una legge che punisce la diffusione di documenti segreti, che per la prima volta è stata utilizzata per accusare un giornalista, cittadino non statunitense, che rischia 175 anni di carcere. Se verrà estradato si verificherà un fatto unico: a proposito di crimini di guerra non saranno puniti coloro che li hanno commessi, ma colui che li ha rivelati. 


La Corte ha così concesso la possibilità ad Assange di presentare ricorso rimandando momentaneamente la sua estradizione, chiedendo inoltre agli Stati Uniti rassicurazioni sulla tutela e il rispetto dei diritti umani di Assange.

I giudici dell’Alta Corte britannica hanno dunque espresso preoccupazione e perplessità chiedendo esplicitamente al governo americano di fornire garanzie sul trattamento che verrà riservato ad Assange negli Stati Uniti qualora fosse estradato.  


Tra le richieste della Corte troviamo: la garanzia per Assange di non essere sottoposto alla pena capitale, a discriminazioni in sedi di processo e che godrà della protezione del I Emendamento della Costituzione americana sulla libertà di stampa. Gli Stati Uniti dal canto loro ammettono che l’imputato non rischierà la pena di morte, ma affermano che non garantiranno alcuna certezza in merito alla protezione relativa al dettato costituzionale.

Gli avvocati di Assange sono ora chiamati a presentare entro il 30 aprile le obiezioni all’attendibilità delle garanzie americane, mentre gli USA avranno tempo fino al 14 maggio per depositare le critiche a quelle obiezioni. La questione passerà alla Corte Suprema di Londra il 20 maggio prossimo che dovrà tenere una nuova udienza per valutare gli elementi forniti dal governo americano e dalla difesa di Assange e decidere sull’estradizione. Senza la protezione che deriverebbe dallo scudo costituzionale non c’è più margine di incertezza su quello che accadrebbe ad Assange qualora fosse incriminato. 


Se perderà l’appello, il giornalista sarà rinchiuso in un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti, in attesa di essere processato. Salvo ricorsi in extremis, l’ultima possibilità sarebbe quella di presentare ricorso alla Corte Europea per i diritti dell’uomo

Infine resta da vedere quale possa essere l’esito di una presunta proposta di patteggiamento che il Dipartimento di Giustizia statunitense starebbe valutando, per derubricare il reato di spionaggio verso quello di “cattiva gestione di documenti riservati”. In questo modo si declaserrebbe il reato spingendo l’imputato ad ammettere la sua colpevolezza. 

Come ha affermato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, Assange è stato presentato mediaticamente come un cospiratore e sabotatore che ha messo a rischio la sicurezza pubblica, mentre bisognerebbe ribadire piuttosto che ha svolto un lavoro importante di messa a conoscenza di fatti gravissimi” -aggiungendo inoltre che- le accuse sono motivate politicamente e violano il diritto alla libertà d’espressione".

 

La libertà di informazione è sotto assedio?

Il caso di Julian Assange, giornalista australiano attivista e co-fondatore di Wikileaks, è l’emblema del rapporto tra segreto, censura e libertà di informazione e mette sotto la lente di ingrandimento lo stato di salute delle democrazie in tutto il mondo. 

Riavvolgiamo il nastro al 2010, quando il portale Wikileaks, co-fondato da Julian Assange nel 2006, rende di pubblico dominio documenti diplomatici statunitensi coperti da segreto. Tra questi una serie di notizie fornite dall’allora soldato Bradley Manning - ora, Elizabeth Chelsea Manning - su possibili crimini di guerra verificatisi durante le operazioni militari in Iraq e Afghanistan da parte degli Stati Uniti. Successivamente nel 2012 ottiene la protezione diplomatica nell’ambasciata ecuadoriana a Londra dove risiede per 7 anni, ottenendo l’asilo politico, fino a che, nel 2019, viene arrestato dalla polizia britannica e detenuto nel carcere di alta sicurezza londinese di Belmarsh. La rivelazione dei crimini di guerra compiuti dagli Stati Uniti in Afghanistan, in Iraq e nelle carceri di Abu Ghraib e nella prigione di massima sicurezza di Guantanamo, ci mostrano come le democrazie e la politica possano permettersi di allontanarsi con estrema facilità da quelle responsabilità di trasparenza e chiarezza del loro operato nei confronti dei cittadini.


La storia di Julian Assange ci permette di instaurare un parallelo con altri due casi, sempre statunitensi, di desecretamento di file e documenti coperti da segreto di stato: lo scandalo Watergate scoppiato nel 1972 durante la presidenza Nixon che lo condusse all'impeachment nel 1974 e la rivelazione dei Pentagon Papers nel 1971. Il caso Assange, il Watergate e la divulgazione dei Pentagon Papers hanno dei punti di contatto, soprattutto per quanto riguarda la questione legata alla sicurezza nazionale e internazionale del paese, dobbiamo però sottolineare un elemento sostanziale di differenza. Le accuse contro Assange da parte degli Stati Uniti non muovono tanto dalla violazione del I emendamento della Costituzione americana sulla libertà di stampa ed espressione - come negli altri due casi - quanto da quelle relative alla divulgazione di operazioni militari e diplomatiche coperte da segreto di stato. La stessa accusa fu mossa nel caso dei Pentagon Papers nei confronti di Daniel Ellsberg, ex marine ed analista militare presso la RAND Corporation (think thank di ricerca finanziato dal Pentagono che si occupa di sviluppare ricerche e analisi sulla difesa e sulle strategie militari) che divulgò la notizia alla stampa - ma solo in un primo momento poiché l’accusa fu archiviata - ma non per il Watergate. 


Tra i documenti che risultano essere la causa dell’accusa della violazione del Espionage Act risultano esserci più di 250.000 documenti compromettenti che incriminano gli Stati Uniti e le loro azioni illegali. Operazioni svolte in stretta connessione con strutture militari ed eserciti irregolari al soldo della CIA collegate a loro volta con i servizi segreti dei paesi - coinvolti direttamente e non - in questi progetti destabilizzanti al fine di creare un sistema di potere congeniale agli Usa e ai suoi alleati. Dai file desecretati sono fuoriuscite anche informazioni e documenti scottanti su banche, multinazionali e su altri centri di potere come la massoneria. Tra questi documenti i più noti sono: gli Afghanistan War Logs e gli Iraq War Logs. Questi mostrano le illegalità compiute dalle truppe americane (come il video “Collateral Murder”) e documentano inoltre come sono state divulgate all’opinione pubblica le false notizie sui progetti di costruzione di armamenti nucleari da parte dei cosiddetti Stati Canaglia (o Rogue State, coloro i quali vengono additati dalle amministrazioni americane come stati che finanziano il terrorismo internazionale e i gruppi terroristici). Questa manipolazione delle informazioni da parte degli organi di stampa ha avuto lo scopo di far aumentare il consenso e sostenere le operazioni belliche in Iraq e in Afghanistan. Come ha affermato la moglie di Julian Assange, Stella Assange: “la sentenza sull’estradizione è una questione politica e non giudiziaria”. Questa affermazione ci dimostra quanto le operazioni compiute, che dovevano rimanere segrete, rappresentino un fatto di importanza vitale per gli Stati Uniti e per tutti gli stati in generale. 


Infatti, l’amministrazione americana preme fortemente per l’estradizione di Assange anche a causa di un’altra questione specifica. Nei documenti rivelati figuravano i nominativi di diversi cittadini afghani e iracheni, che collaboravano segretamente con gli Stati Uniti per combattere i talebani e i cui nomi sono riportati sui documenti top secret che Wikileaks ha reso pubblici. 


Secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, la diffusione dei documenti segreti avrebbe  esposto le truppe americane, quelle della coalizione internazionale e i collaboratori afghani e iracheni – che fornivano loro informazioni e assistenza sul campo – al rischio di rappresaglie da parte dei talebani, perché alcuni di quei file contenevano nomi o dettagli che permettevano di identificarli. 

Anche l’ex presidente afghano Hamid Karzai definì irresponsabili e scioccanti quelle divulgazioni e affermò che: “nonostante questi individui abbiano agito legittimamente o illegittimamente nel fornire informazioni alle forze della NATO, le loro vite saranno in pericolo".

 

Libertà d’espressione o segreto di stato?

Nel linguaggio comune e secondo i diritti costituzionalmente garantiti nella maggior parte dei paesi si è soliti associare il termine democrazia al diritto di voto, alla libertà di espressione e a quella di informazione. Infatti la censura può costituirsi come arma di repressione dittatoriale nei confronti di chi prova, tramite l’utilizzo della parola, a sfidare quei sistemi di potere che si barricano dietro la giustiziabilità dello stato e confondono il diritto e la libertà d’espressione con il loro operato segreto.


Dunque la censura in una dittatura è l’arma più utilizzata per mantenere l’ordine. Mentre nelle democrazie i poteri sono autolimitati da delle carte costituzionali che riconoscono, almeno in teoria, la superiorità e la sovranità del popolo. I cittadini in una democrazia hanno diritto a essere informati e a informarsi, ad avere un’informazione che agisce nei loro confronti e che denuncia quei pubblici poteri che abusano della loro posizione di supremazia. I due regimi seppur antitetici nelle loro caratteristiche possono trovare un punto di contatto nel momento in cui si affronta la problematica del segreto di stato, che, se abusato, si trasformerebbe automaticamente sul piano della censura di stato. Gli stati democratici affermano che il segreto di stato viene utilizzato come istituto che permette di difendere azioni di tipo militare o quei rapporti tra gli stati che devono essere protetti perché potrebbero, se rivelati, destabilizzare l’ordine interno e internazionale. 


Tuttavia, bisognerebbe chiedersi come riuscire a tenere insieme il diritto all’informazione, la libertà d’espressione con i segreti di stato. 

Un aiuto ci proviene da Cornelio Tacito che con l’espressione arcana imperii, contenuta negli Annales (II, 36) e nelle Historiae (I, 4) , indicava i segreti del potere. Egli voleva dimostrare con questo sintagma che l’occulto fosse di per sé una proprietà intrinseca della potestà dello Stato. Lo storico, riferendosi alla storia imperiale dell’antica Roma, definiva il secretare - l’arte di dividere e nascondere alla vista - una risorsa per la città e tratto distintivo dell’agire politico e allo stesso tempo una pratica per dominare occultando le scelte dei governanti. Tacito riconosceva nel segreto un esercizio legittimo del potere considerandolo un meccanismo stabilizzatore del rapporto tra governanti e governati. La sua analisi continua ad essere molto attuale e in un certo senso permea ancora oggi i governi di tutto il mondo e i loro apparati di sicurezza. 


Dunque l’impiego del segreto è uno strumento mutevole di governo e rientra in una pratica in uso sin dal mondo antico fino agli stati moderni e in quelli contemporanei.

Da questo punto di vista anche Noam Chomsky individua nella segretezza del proprio agire uno degli aspetti fondamentali della politica e afferma che: “ C’è subito un punto da chiarire circa il segreto imposto dai governi: in realtà esso non viene imposto per motivi di sicurezza, ma solo per far sì che la popolazione non venga a sapere quello che sta succedendo con il fine di tenerla all’oscuro delle attività dei governi. A questo serve il segreto di stato”(Chomsky 2017: 20-23). 


Infatti il problema rilevante, da questo punto di vista, è che tutti i cittadini dovrebbero conoscere ciò che i propri governi tengono nascosti per mantenere la loro posizione di potere. In questo contesto l’informazione gioca un duplice ruolo dimostrandosi il quarto potere (Dondi 2015: 67-83). Da una parte può ergersi a difesa del potere tramite la segretezza, in questo caso, si qualifica uno strumento chiave per prendere decisioni all’oscuro della cittadinanza. Dall’altra parte, la possibilità di svelare ciò che i governi nascondono sotto la pretesa della sicurezza nazionale, può creare nuove opportunità per ridefinire il potere e renderlo più permeabile al controllo della cittadinanza. Infatti l’informazione in una democrazia deve seguire i principi della trasparenza e dell’accountability; quest’ultima è intesa come la responsabilità dell’operato dei poteri pubblici che deriva da un loro riconoscimento presso i cittadini. Nelle democrazie contemporanee esercitare il potere sull’informazione è sempre più funzionale a distogliere l’attenzione dagli aspetti più controversi dell’operato dei governi. I meccanismi arbitrari e selettivi delle censure ci dimostrano come il rapporto tra governanti e governati sia già ampiamente scivolato verso degenerazioni oligarchiche e strumentalizzazioni propagandistiche.


Il giornalismo d’inchiesta per le democrazie

Si dice che la prima vittima della guerra sia la verità. Il caso di Assange dimostra l’importanza di sfidare le forme di censura e le limitazioni alla libertà di stampa ed espressione, che celano rapporti di forza e i processi storici fondamentali per in-formare un'opinione pubblica consapevole e attenta.  Nonostante Assange sia accusato di aver commesso degli illeciti dobbiamo sottolineare che la sua storia è emblematica in quanto rappresenta una pericolosa deriva antidemocratica nei confronti della libertà di stampa e del diritto all’informazione.

La condanna a un giornalista per il fatto di aver divulgato la verità, come le fake-news perpetrate dai media, che manipolano le informazioni sui crimini di guerra, creano dei precedenti di estrema gravità. Un giornalismo che deve chiedere il permesso e si limita a esporre le questioni per ricoprire di lusinghe il potere ci dovrebbe portare a riflettere sulla qualità delle notizie che ci giungono per non permettere che le nostre libertà e i nostri diritti lentamente ma inesorabilmente spariscano. 


In questo modo la democrazia viene svuotata di senso, trasformandosi in un sistema di potere che reprime ogni gesto di dissenso e critica. Se la democrazia non è retta dal controllo dei cittadini sull’operato dei governi e dalla loro partecipazione alla vita sociale e politica, questa si spegne e trasforma la sfera pubblica in una zona grigia in cui la costruzione di un nemico, l’odio razziale, i fascismi e poteri totalitari, proliferano.

 





Bibliografia

Chomsky, N. (2017). Capire il potere. Milano: Il Saggiatore

Dondi, M. (2015). L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974. Bari: Editori Laterza

Tacito, C. (1987). Annales. Milano: Bur

Tacito, C. (2018). Historiae. Torino: Einaudi 






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