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  • Writer's pictureKoinè Journal

Il caporalato: una ferita ancora aperta


di Sara Gambini.


La schiavitù è stata abolita nell’800, ma ancora se ne parla nel XXI secolo, seppur con un nuovo nome, quello di caporalato. I punti in comune sono certamente le condizioni di lavoro terribili e lo sfruttamento privo di scrupoli. Tantissime sono le vittime, anche tra gli italiani.

Per avere una panoramica su chi siano le vittime di caporalato, così da intervenire più efficacemente, sono importanti i dati riportati dall’Ispettorato del lavoro, come ricorda il Direttore Bruno Giordano. I lavoratori controllati sono: al 32,7% italiani, al 12% comunitari, al 55% extracomunitari. I lavoratori vittime di caporalato sono: italiani al 4%, comunitari al 2,8%, stranieri extracomunitari con permesso di soggiorno all’80,1% e senza permesso di soggiorno al 13%. (vedi Conferenza in bibliografia)


Risulta allora evidente che la debolezza dello status giuridico crea la debolezza del lavoratore, che deve accettare delle condizioni di sfruttamento.

Ma chi è il caporale? E’ la figura che, nell’ambito di un rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, si inserisce tra le due parti e governa il processo, contravvenendo all’approccio convenzionale. Il fenomeno poggia su queste basi: controllo del territorio, controllo delle persone e silenzio delle persone. Il nome che gli viene dato nasce nell’ottocento, quando in agricoltura c’era bisogno di un controllo militare dei braccianti per conto dei proprietari terrieri. Il caporale si adopera per reperire la manodopera e si pone come suo gestore e supervisore, ingaggiandola per conto dell’azienda e tenendo per sé una parte del compenso dei lavoratori, che lui stesso ha stabilito. Si tratta in particolare di lavoratori stranieri, che di solito vivono in veri e propri ghetti. Il caporale, spesso loro connazionale, carica queste persone in furgoni in pessime condizioni e li trasporta nei campi, dove vengono sfruttati senza pietà. Questa figura sopperisce però sostanzialmente ad una mancanza dello Stato: l’accoglienza dei lavoratori immigrati, il loro trasporto e la mediazione tra domanda e offerta (compito che in teoria dovrebbe essere dei centri per l’impiego).

Attualmente si parla di nuove forme di caporalato: il caporalato urbano (presso alcune stazioni delle metropolitane), il caporalato grigio (legato alle cooperative spurie con sede in altre nazioni), il caporalato digitale. La radice comune è comunque sempre quella dell’intermediazione illecita di manodopera.


Come si è evoluta la nostra legislazione a riguardo


Per comprendere il fenomeno del caporalato in Italia è importante anche capire come si è evoluta la legislazione a riguardo. Fino al 2011 disponevamo solo del decreto legislativo 276 del 2003, noto come Legge Biagi. Dal 2011 l’intermediazione illecita diventa un reato penale. Nel 2016 la legge 199, che vede un’evoluzione della legge 603 bis, ha introdotto la responsabilità per il proprietario agricolo, che si serve del caporale per reclutare manodopera illecita. Con questa nuova legislazione c’è un chiarimento sul fatto che lo sfruttamento lavorativo può avvenire anche senza la figura del caporale, solo da parte dell’imprenditore agricolo. Nel testo dell’art. 603 si dice che vi è sfruttamento in presenza di “reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme da contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale” e di “reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, periodi di riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie…” (Osservatorio Placido Rizzotto 2022: 9). Indicando le organizzazioni maggiormente rappresentative come criterio in base al quale definire la qualità dei contratti e quindi per determinare la presenza di sfruttamento, c’è un problema: i contratti collettivi nazionali in questo paese sono 924 e, all’interno di questi, molti sono contratti pirata. L’altro problema è la qualità del lavoro, infatti molte volte oltre allo sfruttamento c’è anche una condizione generale di precarietà, che rende più ricattabili e meno liberi. Si parla infatti sempre più spesso di gig economy, ovvero “l’economia dei lavoretti”, che prevede prestazioni di lavoro occasionali a discapito della continuità e di solide garanzie contrattuali.



Cosa può fare l’Europa


Se in Italia si è iniziato a prendere coscienza del fenomeno, in molti altri Paesi, come Germania, Francia, Spagna, il caporalato, se pure sia ben presente, viene taciuto. Bisogna uscire dall’ottica che si tratti di una situazione prettamente “mediterranea”. L’agricoltura rappresenta il 35% del bilancio europeo, ed è pertanto una delle attività più importanti. Il 15 settembre scorso la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen dichiarò che non sarebbero più stati ammessi sul mercato europeo prodotti ricavati tramite lo sfruttamento del lavoro, pensando forse a prodotti stranieri provenienti da economie del Terzo Mondo, quando invece moltissimi sono europei. Patrick Doelle, Commissario UE DG HOME, Migration Support Team Italia, menziona a tal proposito numerose azioni portate avanti dall’Unione europea, ricordando che, se pure questa non abbia una competenza specifica nella lotta al caporalato, può influire sulla problematica. Può infatti agire in materia di politica migratoria, di lavoro sociale, in materia agricola e tra l’altro può dare finanziamenti per sostenere le politiche nazionali, può promuovere le buone prassi tra gli stati membri ed ha competenza legislativa in alcune materie. Ovviamente il principio di sussidiarietà dell’UE implica che poi si rimandi alla competenza nazionale. A livello legislativo è stata fatta una direttiva europea nel 2004, per rilasciare il titolo di soggiorno alle vittime di tratta e poi una nel 2011, che concerneva lo stesso tema. Queste due direttive riguardano ovviamente non tutti i lavoratori sfruttati, ma comunque una buona parte. Dal 2009 un’altra disposizione è stata volta a sanzionare i datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Nel settore agricolo importante è la direttiva del 2019 sulle pratiche commerciali sleali nel settore agroalimentare. Sempre nel 2019 c’è stata l’adozione del regolamento europeo sulla creazione dell’autorità europea del lavoro con sede a Bratislava, con l’obiettivo di promuovere buone prassi fra i vari stati membri. E’ del 2020 il patto europeo sulla migrazione e l’asilo, che ha provato a dare una nuova spinta alle negoziazioni tra i vari stati membri ed il Parlamento europeo, per trovare un accordo sulla difficile questione della politica migratoria. La commissione europea ha detto che, oltre alla gestione emergenziale di questo fenomeno, bisogna avere una visione a lungo termine. Questo riguarda anche l’integrazione dei lavoratori di origine straniera. Sempre nel 2020 è stato presentato il piano d’azione europeo sull’integrazione per il 2021-2027 di cittadini di paesi terzi nelle società europee ed ovviamente l’ambito del lavoro è molto importante in questo contesto. I finanziamenti europei sono poi stati utili anche per l'implementazione della direttiva sulle sanzioni. Ma il fenomeno è lungi dall’essere debellato.




La FLAI-CGIL, il sindacato di strada e il Quaderno


La FLAI-CGIL nasce a Nord con la Federterra e a Sud con la Federbraccianti. A fondarla è stato Giuseppe De Vittorio, il cui padre era stato ucciso a fucilate da un caporale. L’agricoltura è ancora piena di caporalato. Il sindacato nella sua attività fa emergere il problema. Nel 1970 è stata emanata la prima legge sul mercato del lavoro in agricoltura, che finalmente metteva a sistema il modo in cui domanda ed offerta del lavoro in agricoltura si potevano incontrare in maniera legale. Di quella legge purtroppo progressivamente si sono perse le tracce. Inoltre in questo fenomeno si è inserito un nuovo bacino di forza lavoro per via dell’immigrazione. L’Agenda 2030 tra i 17 obiettivi colloca all’ VIII posto il lavoro dignitoso e questo è anche l’obiettivo della FLAI-CGIL, in accordo con l’articolo I della Costituzione. Le persone vengono reificate, il lavoro è trattato come una merce. Si ricorda che a livello legislativo non vi è il termine caporalato, bensì si parla di sfruttamento, allo stesso modo che per la prostituzione.


Dodici anni fa nasceva l’osservatorio Placido Rizzotto, ente strumentale della FLAI-CGIL, con il compito di monitorare e fare proposte in relazione allo sfruttamento che attanaglia il settore primario del nostro Paese e non solo. Ogni due anni viene pubblicato un rapporto su Agromafie e caporalato: entro fine anno si giungerà alla VI edizione. Questo lavoro dell’Osservatorio nasce dall'esperienza diretta del sindacato che è resa possibile da uno strumento innovativo, ovvero il sindacato di strada. Il sindacato dunque esce dalle sue sedi, va nei luoghi di lavoro e dimostra come il caporalato non appartenga solo al vecchio modello di sviluppo, ma faccia parte anche di quello attuale. Il primo passo alla lotta risiede infatti nella consapevolezza e nella conoscenza del problema. Quest’anno è stato presentato il Quaderno, realizzato dall’Osservatorio Placido Rizzotto, pensato per essere il primo di una collana. Come dice il presidente dell’Osservatorio, Jean René Bilongo, si tratta di uno strumento che vuole essere snello e facilmente fruibile per tutti - contrapponendosi ai rapporti di Agromafia e caporalato che erano invece volumi abbastanza consistenti- al fine di fornire uno spaccato della situazione attuale: 405 aree e località (di cui solo 194 sono nel Mezzogiorno) investite dal caporalato (Osservatorio Placido Rizzotto 2022: 18). Un altro focus importante del Quaderno è quello sulla Rete del lavoro agricolo di qualità, istituita presso l’INPS a scopi preventivi con la Legge 116/2014 e potenziata con l’art. 8 della Legge 199/2016 (Osservatorio Placido Rizzotto 2022: 9-10). Ad oggi, nonostante siano già passati 8 anni, le sezioni territoriali operative della Rete del lavoro agricolo di qualità sono ancora molto sotto l’obiettivo che si dà la legge, cioè che sia insediata e pienamente operativa in ogni provincia. Più di 2 milioni di lavoratori sono subordinati in posizioni irregolari e solo 5.978 aziende su una platea si 250.000 sono iscritte alle reti locali per il lavoro di qualità. Sono soltanto 21 le sezioni in Italia.


L’esperienza del sindacato di strada in ogni caso resta fondamentale e ha permesso a tante persone di avere un contratto di lavoro, anche se non totalmente regolare (si parla infatti di lavoro grigio), mentre in precedenza erano i contratti totalmente illegali a farla da padrone. Spesso le vittime di sfruttamento provano molta diffidenza nei confronti dei rappresentanti sindacali, che devono perciò costruire con fatica un rapporto di fiducia. Bisogna far sapere ai lavoratori che in Italia esistono delle regole, delle leggi, che si può denunciare il proprio caporale. Il caporalato può dunque essere sconfitto. Ma il percorso è lungo.

L’articolo 18 del 603 fa entrare le vittime in un percorso di reintegrazione nel lavoro regolare. La legge 199 ha fatto preoccupare molte aziende che hanno iniziato a regolarizzare la propria posizione. La sensibilizzazione deve comunque iniziare già dal consumatore, che deve diventare totalmente consapevole, al momento dell’acquisto dei prodotti, della loro origine. Questo ridurrebbe enormemente la vendita di merce ricavata tramite sfruttamento del lavoro. L’ appello dunque coinvolge tutti, dalle istituzioni ai singoli cittadini.


La speranza è quella, un giorno, non di combattere il caporalato, ma di sconfiggerlo, recuperando nella modernità le radici antiche dei diritti. Questo è il messaggio rivoluzionario: la lotta è collettiva.






Fonti

- Conferenza “Geografia del caporalato”, Sapienza, Roma, 23 e 30 marzo 2022


Bibliografia

- Osservatorio Placido Rizzotto/FLAI-CGIL (2022). Quaderno 01: Geografia del Caporalato. Roma: tipografia ostiense.


Sitografia






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