di Luca Simone.
Superata, nemmeno troppo bene, la crisi dovuta alla diffusione degli audio da parte dei due comici russi (ne abbiamo parlato qui), per la presidente del Consiglio Meloni questa settimana si apprestava ad essere quella del riscatto. Un riscatto necessario sia sul fronte della credibilità internazionale, ampiamente danneggiata dalle dichiarazioni rese al finto presidente dell’Unione Africana, sia su quello della credibilità interna dopo i copiosi mal di pancia seguiti alla pubblicazione della prossima legge di bilancio. Se tra le opposizioni si è gridato allo scandalo, ma non si è fatto poi granché a causa dello scollamento esistente nel mai nato (e forse mai nascituro) campo largo, i maggiori grattacapi erano infatti venuti proprio dall’interno della maggioranza, con Lega e FI ampiamente insoddisfatti dalla manovra. La premier aveva dunque il bisogno di ottenere un successo, e ha scelto a tal proposito l’arena diplomatica.
In settimana è infatti arrivato l’annuncio tramite conferenza stampa congiunta con il premier socialista albanese Edi Rama della stipula di un accordo bilaterale per la costruzione di un hotspot in territorio albanese dove poter “esportare” i richiedenti asilo che giungono sulle coste italiane. Subito si sono scatenate le consuete fanfare che hanno gridato al miracolo che può finalmente risolvere la crisi migratoria che investe l’Italia e soprattutto questo governo, che a dispetto degli altisonanti proclami fatti in campagna elettorale non si è fin qui dimostrato in grado di gestire una situazione caldissima. La situazione però appare molto meno rosea di quanto dichiarato da Palazzo Chigi.
Le principali criticità internazionali sono state ammesse dalla Meloni stessa durante la finta telefonata, e trovano le proprie radici negli ambigui rapporti intrattenuti dalla destra nostrana con leader e partiti fortemente euroscettici (Le Pen, Orban) o addirittura di matrice ideologica nazi-fascistoide (Alba Dorata, Vox, AFD). Queste liaison dangereuses costano all’Italia una diffidenza internazionale soprattutto in sede europea e soprattutto nelle cancellerie Franco-tedesche, che guardano alla Meloni con malcelata diffidenza in tema migratorio, tanto da “non rispondere nemmeno al telefono”, come dichiarato dalla stessa premier. A ciò si aggiunge la schizofrenia dimostrata dall’esecutivo in materia di politica estera, tanto da passare dal Piano Mattei al memorandum con la Tunisia al bilaterale con Tirana nel breve spazio di qualche mese, lasciando esterrefatti i ministeri degli Esteri degli altri partner europei.
Questo accordo, però, oltre alle criticità politiche mostra anche numerose criticità pratiche. Non viene infatti spiegato in alcun modo quali saranno i criteri per lo spostamento dei migranti, quali saranno le procedure, se legalmente potrà essere accettato dalla Corte Europea (direttamente responsabile dell’approvazione di trattati internazionali tra paesi membri) e soprattutto in che modo il governo intende gestire le forze che dovranno essere impiegate per il mantenimento, la gestione e la proceduralizzazione dell’Hotspot. Quest’ultimo, poi, sarà interamente finanziato e amministrato dall’Italia, che secondo alcuni analisti si limiterà soltanto a spostare migliaia di migranti, senza poter garantire legalmente il loro rimpatrio (ogni procedura dovrà essere singolarmente analizzata dalla magistratura italiana), mancando gli accordi coi paesi membri (almeno la maggior parte di essi) e mancando i fondi per i costosissimi viaggi che riguarderebbero gli espulsi. Autorevoli voci come quella di Lucio Caracciolo hanno bocciato l’intero assetto di questo accordo, che si limiterebbe a “gettare la polvere sotto al tappeto ma non risolve nulla”.
I portavoce di Palazzo Chigi si sono affrettati a riprendere le dichiarazioni del premier Albanese che ha affermato come “molti paesi europei avessero cercato un approccio simile con Tirana, ma solo l’Italia è stata in grado di andare fino in fondo”. Sarebbe opportuno chiedergli e chiedere a Meloni come mai altri Paesi non siano riusciti a chiudere l’accordo e perché, forse non se la sono sentita di accollarsi per intero le spese di un provvedimento che all’atto pratico non risolverà nulla? La domanda però non è stata posta da nessuno, e l’alone di mistero che circonda la vicenda non accenna a diradarsi.
Di più ci si sarebbe attesi dalle opposizioni, che hanno criticato timidamente il provvedimento, ben sapendo che l’immigrazione è un terreno politico particolarmente scivoloso, soprattutto per chi come PD e 5S ha governato con Minniti e ha contribuito a scrivere i decreti sicurezza salviniani di epoca pre-papete. Nessuno dei leader ha avuto il coraggio politico di dissociarsi apertamente dall’accordo, che può facilmente trasformarsi nell’ennesimo buco nell’acqua in politica estera del governo Meloni. Resta da capire però se qualcuno glielo farà mai notare dato che fino a questo momento nessuno si è ancora sognato di mettere in campo un’opposizione degna di questo nome, anzi, come già ampiamente riportato, questo governo i maggiori problemi li sta trovando al suo interno. Mentre gli hotspot diventano spot, la credibilità internazionale del Paese vacilla ancora, e non è chiaro quanto ancora potrà reggere.
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