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Koinè intervista Guerri: "D'Annunzio, la vita come un'opera d'arte"


di Cosimo Bettoni.


Koinè Journal intervista Giordano Bruno Guerri, storico, saggista e giornalista italiano, noto studioso del XX secolo e in particolare del regime fascista. Uno dei principali temi di studio affrontati da Guerri nel suo importante e decennale curriculum è collegato al prestigioso incarico che ricopre, ovvero quello di Direttore Generale del Vittoriale. In questa intervista infatti abbiamo chiesto al professore di parlarci della figura discussa, artistica, poliedrica e soprattutto umana di Gabriele D’Annunzio. Ciò che traspare maggiormente da queste righe, e che colpisce, è come lo storico parli dell’artista sempre al presente, quasi come se D’Annunzio abitasse ancora gli ampi saloni del Vittoriale, come se fosse una persona ancora vicina; una grande testimonianza della passione con la quale si può condurre il proprio lavoro e trasmettere la propria conoscenza.

Un ringraziamento è doveroso, a nome di tutta la redazione di Koinè, per la grande disponibilità e umanità dimostrata dal dott. Guerri nel concedersi ad un giornale gestito da giovani universitari e universitarie.

 


‘’Chiamami romanzo’’ è una celebre espressione con cui Ugo Foscolo si rivolge a sé stesso nel corso di una lettera indirizzata all’amata Antonietta Fagnani Arese. Questa tendenza all’auto-rappresentazione, alla costruzione personale della propria immagine, è forte anche nell’immaginario dannunziano. Quanta corrispondenza esiste secondo lei tra il D’Annunzio personaggio storico e quello che compare sulla pagina? Sono la stessa persona o no?

 

No, anche se sono molto simili. D’Annunzio si perfeziona, non si accontenta di essere quello che è, che è già molto, e lavora per adattare la sua figura pubblica e anche la sua vita privata a quello che desidera essere. Sintetizzando tutto come faceva lui, che aveva uno strepitoso dono della sintesi, egli ha voluto fare della propria vita come si fa un’opera d’arte.

 

Nella prefazione al ‘’Trionfo della morte’’ (1894), D’Annunzio scrive che ‘’la lingua italiana non ha niente da invidiare’’. Oggi ci troviamo di fronte ad un utilizzo sempre maggiore di termini stranieri, una situazione che accumuna l’Italia presente a quella di inizio Novecento. D’Annunzio, che agli albori del secolo scorso stava riuscendo a rinnovare la letteratura e la lingua italiana (ancora legate ai modelli manzoniani), sentiva questo problema come suo?

 

Indubbiamente lo sente come suo, specialmente quando verifica che, soprattutto nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, si sta verificando un’invasione di termini stranieri. Per un amante della lingua, un amante dei vocabolari – anche di quelli rinascimentali che qui al Vittoriale abbiamo in grande quantità – si tratta di un situazione che non si può ignorare. Quando non ha neanche trent’anni, D’Annunzio si vanta di aver già utilizzato 15.000 parole nel corso della sua vita, contro le 2000 che noi usiamo mediamente per vivere. La sua non è una vanteria, ma una cosa vera; la ricchezza del suo vocabolario, che spesso viene giudicata come fin troppo compiacente e ossessionata dal desiderio di stupire (che lo accumuna a Marino), è dovuta in primo luogo alla ricerca della parola perfetta nella situazione perfetta.

Tornando alla difesa della lingua italiana, di questa ce n’è continuamente bisogno. Proprio l’altro ieri ho scritto un articolo in merito alla decisione dell’Università di Bologna di abolire il corso in lingua italiana di Economia del turismo, tenuto presso la sede di Rimini, per il quale d’ora in avanti si userà solo l’inglese. Capisco questo tipo di scelte per Medicina ed Ingegneria, ma se si comincia ad allargare il discorso a tutte le facoltà poi inevitabilmente si passerà ai licei, alle medie, alle elementari, con il risultato che l’italiano nel giro di cento anni verrà parlato solo in famiglia o al bar, facendo la fine del dialetto.


Rimanendo sempre nell’ambito della lingua, parliamo un attimo dell’oratoria dannunziana. D’Annunzio nei suoi discorsi più celebri (Quarto, Roma ecc..) sembra coniugare una forza demostenica a quella una costante ricerca della perfezione lessicale a cui anche lei accennava prima. L’incisività ‘’barocca’’ che contraddistingue i discorsi di dannunzio è riuscita secondo lei a sopravvivere nella storia della comunicazione politica italiana nel corso del Novecento?

 

No, perché è una forma troppo difficile. Lei ha accostato due parole che vanno giustamente in contraddizione, ‘’incisività barocca’’. Il barocco per essere incisivo deve riempire tutto, e non sempre ci riesce, mentre D’Annunzio sì. Tra i primissimi ammiratori di D’Annunzio figura Filippo Tommaso Marinetti, che, prima di scrivere il Manifesto del futurismo (1909), si prende la briga di partire da Milano e andare in Abruzzo, dove D’Annunzio sta facendo la campagna elettorale per essere eletto deputato. Lui tiene dei discorsi pazzeschi di fronte a pastori e a gente di montagna, discorsi che io stesso sono costretto a leggere con l’aiuto del vocabolario. Marinetti scrive delle belle pagine dove racconta questa capacità che D’Annunzio ha di sollevare le folle ‘’come un direttore l’orchestra solleva la musica’’ facendo comunque arrivare il proprio messaggio.

 

Nel 1897 D’Annunzio viene effettivamente eletto nei ranghi della Destra, tuttavia poco dopo si schiera apertamente con la Sinistra affermando: ‘’di là i morti, vado verso la vita’’. Oggi una scelta del genere andrebbe sicuramente letta alla luce della parola coerenza, che spesso viene agitata nel momento in cui ad un personaggio politico, o comunque di rilievo, si chiede di dare conto di aver cambiato idea o posizione. D’Annunzio come decide di giustificare questa sua decisione?

 

Ma D’Annunzio non si deve giustificare! La coerenza e il rimanere sempre fedeli alla stessa idea sono limiti; il coraggio e l’intelligenza stanno proprio nella capacità di saper cambiare idea. D’Annunzio decise di abbandonare la destra di fronte ad un caso ben chiaro, lo Stato stava infatti per varare delle leggi liberticide che a lui non andavano bene.

Praticare l’incoerenza al fine di raggiungere vantaggi personali è tutt’altra cosa, non possiamo paragonare il passaggio di D’Annunzio dalla Destra alla Sinistra a quello che fanno quei cialtroni di deputati e senatori che, per essere sicuri di avere un seggio, cambiano partito.

  

Parliamo invece del Vittoriale. Anche se a partire dal 1921, anno in cui appare ‘’Il notturno’’, la produzione letteraria dannunziana si ferma, il Vate sembra essere riuscito comunque a realizzare un ultimo capolavoro proprio tramite la costruzione della sua dimora.


Certamente! Il Vittoriale è la sua ultima opera letteraria, che lui non chiama ‘’il libro di pietre vive’’. Il Vittoriale è una storia, una storia politica, umana, artistica che lui ha creato come segno della  propria vita. È un altro capitolo del suo obiettivo del rendere la vita come un’opera d’arte.

Chi altri costruisce un simile monumento a sé stesso? Questo è un monumento a sé stesso, con la scusa del popolo italiano. La grande vena poetica dannunziana si è seccata già ad inizio Novecento,

ben prima della guerra. In questo senso Il Notturno, che è del 1912, è davvero l’ultimo colpo di genio.

La guerra e l’impresa di Fiume lo disperdono in mille rivoli, anche se nel corso dell’esperienza fiumana ha modo di scrivere quel capolavoro, anche letterario, che è la Carta del Carnaro.

 

Un’ultima domanda per concludere. Oggi la figura di Gabriele D’Annunzio è riuscita finalmente ad affrancarsi definitivamente dalla falsa accusa di essersi irrimediabilmente compromessa con il regime fascista?

 

Il mio lavoro negli ultimi diciotto anni è stato proprio questo. Tutto è cominciato con il libro D’Annunzio. L’amante guerriero (2008), uscito ancora prima di arrivare alla presidenza del Vittoriale.

È un lavoro che però è servito. Tra i motivi che stanno dietro alla rinascita del Vittoriale non c’è solo quello del suo rilancio estetico, ma proprio un generale cambiamento nella percezione dell’immagine di D’Annunzio, e questo a partire dalle scuole. I visitatori provenienti dalle scuole sono molto aumentati perché gli insegnanti non hanno più il terrore di presentare agli studenti un fascista.

Certamente c’è ancora molto lavoro lavoro da fare. Noi storici ci troviamo infatti sulla cima di una piramide, dalla quale cerchiamo di far calare delle informazioni diverse da quelle della vulgata, ma prima che queste arrivino alla base ce vuole di tempo. C’è ancora tantissima gente che crede che D’Annunzio fosse fascista. In ogni caso posso dire che buona parte del lavoro è stata fatta.

 

 

 

 

Bibliografia dell’autore sul tema

-G. B. Guerri, D’Annunzio. L’amante guerriero, Mondadori, Milano, 2008.

-G. B. Guerri, La mia vita carnale. Amori e passioni di Gabriele D’Annunzio, Milano, Mondadori, 2013.

 -G. B. Guerri, Con D’Annunzio al Vittoriale, Minerva, Bologna, 2015.

 -G. B. Guerri, Il Vittoriale degli Italiani. Guida alla visita, Silvana, Milano, 2015.

 -G. B. Guerri, Io D’Annunzio, Damiani, Salò, 2016.

 -G. B. Guerri e L. Faverzani, D’Annunzio soldato, Edizioni Artestampa, Modena, 2018.

-G. B. Guerri, Disobbedisco. La rivoluzione di D’Annunzio a Fiume 1919-1920, Contemplazioni, 2018.

 -G. B. Guerri, Disobbedisco. Cinquecento giorni di Rivoluzione. Fiume 1919-1920, Mondadori, Milano, 2019.

 -G. B. Guerri, Gabriele D’Annunzio. La vita come opera d’arte, Rizzoli, Milano, 2023.

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