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Writer's pictureKoinè Journal

L'elmetto secondo Meloni


di Luca Simone.


Lo aveva annunciato durante il comizio elettorale conclusivo in Abruzzo a favore del suo amico Marsilio che “avrebbe messo l’elmetto”, ma nessuno si aspettava che avrebbe dovuto indossarlo contro i membri della sua stessa coalizione di governo. Sì, perché a dispetto della retorica dell’accerchiamento e del vittimismo straccione contro i presunti complotti di poteri forti e opposizione (fa già ridere così), i pericoli maggiori per Meloni provengono dai suoi stessi alleati e, in particolare, dal solito Matteo Salvini. Alla notizia della “vittoria” di Putin alle presidenziali russe con un rotondo 87%, il leader del Carroccio ha pensato bene di commentare che quando ci sono delle elezioni  il popolo ha sempre ragione, scatenando le ire dei suoi colleghi nella maggioranza. La Lega, infatti, rappresenta l’anello debole dello schieramento occidentale e pro-ucraina del Paese, in quanto legata da anni ormai a Vladimir Putin e al suo partito, avendo speso gran parte del proprio capitale politico internazionale ad invocare un’abolizione delle sanzioni decise dall’UE dopo l’annessione della Crimea nel 2014.


Subito Meloni è stata costretta a ribadire la sua fedeltà allo schieramento occidentale e, in particolare a Washington, dichiarando poi ai giornalisti che le chiedevano conto dell’uscita del suo vicepremier che “la posizione del governo è chiara. Il Centrodestra è molto coeso”. Purtroppo, stando a quanto si vede ad occhio nudo (non serve essere degli analisti politici professionisti) la maggioranza è spaccata tra Lega da una parte e il fronte FI-FDI dall’altra, con entrambi gli schieramenti che stanno preparando il terreno per le imminenti elezioni europee di giugno, alle quali correranno divisi. Se, infatti, il Carroccio ha deciso di aderire al carrozzone nazifascistoide antieuropeista composto da partiti come Vox, AFD e FN, Meloni e Tajani hanno scelto di appoggiare i Popolari che, con ogni probabilità, verranno riconfermati alla guida dell’Unione. La sfida, dunque, è già aperta, e vede Matteo Salvini in disperata necessità di ottenere quantomeno un successo tattico per allontanare la prospettiva di un suo rovesciamento dalla segreteria di Via Bellerio. Come mai, dunque, alla luce di posizioni politiche così apertamente dissidenti, la maggioranza non entra in crisi? La risposta, purtroppo, non getta una luce positiva sull’operato del governo.


Attualmente, l’Occidente tutto si trova dinnanzi ad una sfida molto particolare, deve infatti cercare di tamponare il declino americano evitando che il vuoto di potere creatosi a livello internazionale dall’allontanamento del principale garante dell’ordine globale possa essere riempito da una serie di aggressivi attori regionali come, ad esempio, la Russia di Putin. In questo contesto, l’Italia e, in particolare il governo Meloni, ha fatto una scelta di campo molto precisa, ha deciso cioè di appaltare l’intera conduzione della propria politica estera alle direttive provenienti da Washington. A dispetto infatti di altisonanti proclami di “ritorno” sulla scena internazionale, il governo Meloni dimostra una totale incapacità di tracciare una propria linea autonoma da quella proclamata da Biden e dai think tank americani. Negli ultimi due anni le posizioni pubbliche assunte da Meloni sono sempre andate di pari passo con quelle assunte dal presidente americano, dimostrando una totale mancanza di interesse per il ruolo internazionale del Paese. Forse l’unica reale presa di posizione da parte della Premier è avvenuta nell’intervista strappata dai due comici russi, il che è tutto un dire (ne abbiamo parlato qui).


Cosa dimostra questo? È presto detto. La rinuncia totale ad un posizionamento indipendente rispetto alle maggiori crisi globali, su modello tedesco, francese e financo inglese, rispecchia la ben precisa volontà di concentrare gli sforzi della maggioranza sulla ormai perpetua campagna elettorale che ingabbia da un decennio la politica interna italiana. Rinunciando ad esprimere una propria idea in sede internazionale, Meloni & Co trasformano le questioni geopolitiche e geostrategiche in dei semplici strumenti di propaganda, dove i dissidi interni in politica estera (vedi quello con il putiniano Salvini) che normalmente causerebbero quantomeno una crisi di governo, diventano degli innocui scambi di battute tra amici al bar. Non era questo che la presidente del Consiglio aveva promesso in campagna elettorale e, sicuramente, non è questo quello che sbandiera di ritorno da ogni singolo vertice internazionale al quale partecipa, presentato come l’ultimo tassello di una rinascita globale italiana.


Sia chiaro, l’elettorato di Centrodestra è liberissimo di subordinare la politica internazionale a quella nazionale, però sarebbe il caso di capire che più l’Italia rinuncia ad avere un proprio ruolo di rilievo nelle attuali crisi, più è probabile che rischia di subire conseguenze gravi perché ingabbiata da decisioni altrui. Conseguenze che, come abbiamo avuto modo di vedere per Ucraina e Mar Rosso, possono essere economiche e andare ad aggravare una crisi dalla quale il Paese non sembra al momento in grado di uscire.


Dunque, per concludere, la Premier dovrebbe sì mettersi l’elmetto, ma anziché contro i complotti presunti di un’opposizione che fatica ad esistere (figurarsi se in grado di macchinare complotti se non contro sé stessa), contro la propria stessa idea di governo del Paese e contro alcuni elementi della sua stessa maggioranza.

Perché delle due l’una, o con Putin, o con l’Ucraina, dovrebbe spiegarlo a Salvini.

Lo ha scelto lei come vicepremier, noi gli paghiamo solo il ponte sullo Stretto.






Image Copyright: ANSA

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