di Lucia Cucchietti.
La storia della popolazione sahrawi è una storia di lotta continua per la propria autodeterminazione, di adattamento a condizioni di vita sfavorevoli, di volontà di indipendenza. Nel deserto dell’Hammada si vive al limite della sopravvivenza, con poca acqua e grazie alle sole risorse provenienti dagli aiuti internazionali. Questa situazione, però, non fa desistere i sahrawi, che si impegnano ogni giorno per veder riconosciuto il proprio territorio e il proprio diritto a governare su di esso. Organizzatosi nel Fronte Polisario a partire dal 20 maggio del 1973, la popolazione dell’ultima colonia africana si contende con il Marocco la dominazione del Sahara Occidentale.
La dominazione spagnola: dal 1884 agli Accordi di Madrid
Il Sahara Occidentale è un territorio di 226 mila chilometri quadrati situato nella regione del Maghreb, nel nord ovest dell’Africa, in una posizione strategica sia per gli equilibri geo-strategici sia per quelli economici. Confina a nord con il Marocco, a sud con la Mauritania, a nord-est con l’Algeria e a ovest con l’Oceano Atlantico ed è inoltre un territorio estremamente ricco di risorse minerarie, soprattutto di fosfato. Tra questi Paesi le linee di demarcazione sono artificiose, tracciate dalle potenze coloniali senza tenere in considerazione le differenze e le affinità storiche, giuridiche e etniche esistenti tra le popolazioni nomadi che si spostavano nel deserto.
Nel 1884, anno del Congresso di Berlino, il Sahara Occidentale diventò a tutti gli effetti una colonia spagnola e restò sotto il dominio iberico come provincia metropolitana dello Stato spagnolo fino al 1975, anno degli Accordi di Madrid. È durante questa fase che il popolo saharawi iniziò a insorgere, in particolare nel 1957, anno in cui la popolazione saharawi si mobilitò contro l’occupazione coloniale, lanciando un attacco contro la città di Tarfaya. Nel 1958, grazie all’alleanza tra Spagna, Francia e il sultano del Marocco Mohammed V, si mise fine all’insurrezione. Questa collaborazione gettò le basi per l’inizio delle pretese marocchine sul territorio.
Nel 1960 una risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU sancì «il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione, in virtù del quale essi determinano liberamente il proprio status politico e perseguono liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale»[1]: si affermò così l’inizio del decennio di decolonizzazione in Africa. La Spagna acconsentì all’inclusione del Sahara Occidentale nella lista dei territori interessati da quella risoluzione, riconoscendolo come territorio non autonomo e preparandosi a riconoscere il diritto del popolo saharawi all’autodeterminazione. Nel 1965-66 furono approvate due risoluzioni specifiche dell’ONU[2] che ribadirono il diritto del popolo saharawi a decidere con referendum se creare il proprio Stato o unirsi ad uno Stato esistente, stabilendo che tale diritto si debba realizzare in accordo con tutte le parti interessate, compreso Marocco e Mauritania. La Spagna non si oppose a questa soluzione, prospettando però la necessità di realizzare prima un censimento della popolazione nella regione. Tutto ciò contribuì a rafforzare le ambizioni indipendentiste del popolo saharawi, che in un primo momento si organizzò in un movimento di resistenza pacifico, per poi trasformarsi nel 1973 nel Fronte Polisario, in risposta alle sanguinose repressioni del dissenso perpetuate dalla Spagna.
Nel 1974 la Spagna completò il censimento della popolazione del Sahara occidentale - che aveva registrato la presenza di quasi 75 mila persone. La potenza coloniale si dichiarò pronta a effettuare il referendum di autodeterminazione del popolo sahrawi. Tuttavia, il Marocco si espresse a sfavore di questa decisione e chiese che si riconoscesse l’esistenza di una controversia giudiziaria sul Sahara, che coinvolgeva anche la Mauritania. Nonostante la Spagna avesse negato l’esistenza di una controversia a tal proposito, l’Assemblea generale dell’ONU approvò, pur con molte astensioni, una risoluzione[3] che deferiva la questione alla Corte internazionale di giustizia, chiedendo un parere sullo status del Sahara Occidentale al momento della sua occupazione da parte spagnola e chiese alla Spagna di posticipare il referendum per l’indipendenza. In questo parere si chiedeva alla Corte se esso fosse stato un terra nullius – cioè una terra abitata da persone senza organizzazione sociale o politica – e, nel caso in cui ciò non fosse stato, quali legami giuridici esistessero tra il Sahara occidentale, il Marocco e la Mauritania. La Corte internazionale di giustizia espresse un parere consultivo il 16 ottobre 1975, affermando che il Sahara occidentale non era una terra nullius nel XIX secolo, anche se non aveva nulla in comune con il concetto di sovranità come concepita nella cultura politica occidentale. L’area era abitata da un popolo prevalentemente nomade, diviso politicamente e socialmente in tribù guidate da capi riconosciuti come rappresentanti legittimi. La Corte escluse qualsiasi forma di sovranità territoriale sul Sahara occidentale da parte del Marocco o della Mauritania[4].
Inoltre, il giudizio fu rafforzato dalla visita nello stesso anno di una missione dell’ONU, che concluse che ci fosse un consenso schiacciante tra la popolazione saharawi a favore dell’indipendenza nazionale e contro l’integrazione con qualsiasi Stato confinante. Ciononostante, il re del Marocco Hassan II ordinò l’inizio della Marcia Verde, ossia un’occupazione del territorio saharawi da parte di 350mila “volontari” marocchini, che non incontrò alcuna opposizione spagnola. Essa ebbe luogo lo stesso giorno della pubblicazione del parere della Corte, il 6 novembre 1975, data emblematica, poiché mise in evidenza l’incapacità dei leader mondiali di agire a favore dello sviluppo, della pace e della tutela dei diritti delle popolazioni. La Marcia Verde venne condannata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU senza però che si facesse riferimento alla violazione delle frontiere internazionali. Il Consiglio, inoltre, sollecitò le parti coinvolte a trovare una soluzione. Essa arrivò il 14 novembre 1975, con la firma da parte di Spagna, Marocco e Mauritania degli Accordi di Madrid, che sancirono l’uscita del Paese europeo dalla contesa. Secondo questi accordi, il territorio del Sahara Occidentale venne diviso tra Marocco e Mauritania, mentre la Spagna si garantiva il 35 per cento delle miniere di fosfato e diritti di pesca nelle acque per dieci anni.
La reazione saharawi all’occupazione
La presenza militare marocchina indusse una grossa parte della popolazione saharawi a trovare rifugio in Algeria, mentre il Fronte Polisario che costituiva la resistenza armata proclamò la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) il 27 febbraio 1976. Il conflitto che opponeva il Polisario, appoggiato da Libia e Algeria (Paese in cui ha sede ancora oggi il governo in esilio della RASD, nel campo profughi di Tindouf), portò la Mauritania a ritirarsi dal Sahara Occidentale nel 1979, firmando un accordo in cui essa sanciva il riconoscimento della RASD come Stato legittimo del popolo saharawi. Nel 1984 la RASD fu ammessa come Stato membro dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) e venne poi riconosciuta da 76 Paesi nel mondo, mentre il Marocco non riconobbe l’accordo firmato nel ’79 e occupò l’area liberata dalla Mauritania. L’occupazione scaturì in un lungo decennio di conflitti e combattimenti con il Fronte Polisario e il culmine dell’ostilità tra le due parti si raggiunse con la costruzione di un muro, sovvenzionato dal Marocco, volto a dividere le zone controllate dal Marocco da quelle dove si teneva la guerriglia con il Fronte Polisario.
Tuttavia, il popolo saharawi, si dimostrò più propenso ad adottare soluzioni pacifiche, preferendo l’azione non violenta e la mediazione internazionale alla lotta armata, rispettando le risoluzioni dell’ONU, impegnandosi a sopravvivere nel deserto e a creare una società funzionale.
Il cessate il fuoco
Nel settembre 1990, a seguito della proposta congiunta dell’ONU e dell’OUA di un cessate il fuoco seguito da un referendum di autodeterminazione accettato dal Marocco e dal Polisario, re Hassan II decise di firmare un cessate il fuoco. Nel 1991 la missione delle Nazioni Unite MINURSO (Mission des Nations Unies pour l’Organisation d’un Référendum au Sahara Occidental) fu stabilita sul territorio per supervisionare l’attuazione del Settlement Plan, il piano di pace che comprendeva la fase transitoria, con il rimpatrio dei rifugiati che risiedevano nei campi controllati dal Polisario a Tindouf in Algeria, lo scambio dei prigionieri di guerra, il rientro delle forze del Polisario e la concentrazione di quelle marocchine, e la preparazione del referendum in cui il popolo saharawi avrebbe dovuto scegliere tra l’indipendenza sostenuta dal Polisario e l’annessione al Marocco. Nonostante ciò, questo referendum non vide mai la luce, a causa del perpetuarsi del contrasto tra le parti, dovuto principalmente alla politica di insediamento del Marocco per cercare di sovvertire gli esiti del referendum, complicando il processo di identificazione dei cittadini idonei a votare. Il processo di pace era paralizzato.
Nel febbraio 2000 l’approccio dell’ONU cambiò in favore dei negoziati politici come alternativa al referendum. Allo stesso tempo si metteva però in evidenza la mancata applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli.
Nel 2007 la Risoluzione 1754 del Consiglio di Sicurezza fissò la linea di base adottata da quel momento in avanti dall’ONU per cercare una soluzione politica, chiedendo al Marocco di avanzare proposte «serie e credibili» e alle parti di negoziare senza precondizioni al fine di raggiungere una soluzione politica giusta, duratura e reciprocamente accettabile, che prevedesse l’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale.
Conclusioni
Ancora oggi la comunità internazionale non è pervenuta a trovare un accordo che permetta alla popolazione saharawi di decidere liberamente del proprio futuro e di vedere finalmente riconosciuta la propria sovranità sul proprio territorio, quello del Sahara Occidentale. Nel novembre 2020 il Fronte Polisario ha riacceso il conflitto per riaffermare la soggettività politica dei saharawi, che è loro negata dall’occupazione marocchina. La ripresa del conflitto è dovuta anche alla volontà di richiamare l’attenzione della comunità internazionale, che nel frattempo aveva anteposto all’autodeterminazione di questo popolo numerosi interessi economici.
Link Bibliografici
[1] Risoluzione 1514 dell’Assemblea Generale del 14 dicembre 1960
[2] Risoluzione 2072 dell’Assemblea Generale del 16 dicembre 1965 e Risoluzione 2229 del 20 dicembre 1966
[3] Risoluzione 3292 dell’Assemblea Generale del 13 dicembre 1974
[4] International Court of Justice (1975), “Western Sahara Advisory Opinion”, ICJ Reports, p.68, para. 162
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